Il prezzo del clima: come ne risente la tavola?
Il consumo senza freni di alimenti altamente impattanti ci sta portando letteralmente alla devastazione del pianeta. Ci sono soluzioni?
Parlare di clima è diventato una sorta di tic inconsapevole, un argomento-soprammobile che pare essere completamente avulso dalla vita quotidiana di ognuno di noi.
C’è da dire che i media tendono a parlare in termini numerici troppo alienanti e distaccati dalla realtà per comunicare davvero il senso di urgenza necessario. Discutere di 2050 oggi, anche se non poi tanto lontano, è fuorviante e procrastina la presa di responsabilità.
Mai sentito parlare di "Earth Overshoot Day”? Coniato dal Global Footprint Network, il termine indica il giorno nel quale l'umanità consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta per l'intero anno. In altre parole, il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra coincide con l’esaurimento ufficiale delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di offrire nell’arco dei 12 mesi. Essenzialmente? Un debito.
Ciò che rende questo calcolo inquietante è che la scadenza è stata sempre più anticipata: dal novembre che si aveva attorno agli anni Settanta al luglio di oggi, 29 luglio 2021 per la precisione. La data nella quale abbiamo già depredato il frigo di casa nostra degli ingredienti che sarebbero dovuti arrivare fino a capodanno.
Con questi ritmi, per recuperare, avremmo bisogno dell’equivalente di quasi 2 pianeti, ma forse anche questo risulta un po’ troppo distante dal quotidiano. Vediamo allora di avvicinare il problema ad uno dei punti più sensibili di quasi tutti, ricchi e non: il portafoglio.
Il cambiamento climatico comporta l’andamento anomalo del meteo, e tutto questo incide notevolmente sull’incremento dei prezzi delle materie prime. La devastazione delle produzioni ha limitato fortemente la reperibilità, a fronte di una domanda in costante crescita. L’Indice FAO dei prezzi dei prodotti alimentari, il FFPI (FAO Food Price Index) ha registrato un preoccupante incremento dei costi delle materie prime rispetto all'anno precedente, circa il 28%, il risultato più alto degli ultimi dieci anni. Questo significa ovviamente una cosa sola: spesa più cara. Per tutti: gli agricoltori hanno dovuto sopportare un’aumento dei costi energetici e degli imballaggi, gli allevatori hanno visto una maggiorazione perfino nei cibi degli animali, i consumatori finali si trovano ad avere la disponibilità economica di prima, ma meno possibilità di spesa.
Torniamo a dare un po' di numeri su come il cambiamento climatico influisce sul prezzo della spesa: dagli ultimi report della FAO è emerso che nella regione mediterranea il riscaldamento supera del 20% quello medio globale, rendendo il nostro Paese particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico. Nel 2021 l’Italia ha registrato un aumento del 65% di eventi atmosferici estremi, quali grandinate ed ondate anomale di calore, rispetto agli anni precedenti.
Alcuni settori, come la produzione agricola, sono stati penalizzati in modo grave: il miele è arrivato a perdere circa il 95% della produzione, la frutta vede un calo medio del 27%. Ma anche il calo significativo del 10% del riso, e quello spaventoso dell’olio, arrivato fino all’80% in meno di produzione. Non va meglio sul piano internazionale: giganti come USA e Canada hanno segnato una diminuzione del 40% del raccolto di grano, che sta condizionando il mercato anche in Italia. All’innalzamento dei prezzi nordamericani, hanno fatto seguito anche quelli italiani. Il costo medio del grano è aumentato del 27% circa, con un conseguente incremento anche dei suoi derivati quali pizza, pane e la nostra amata pasta. In un “vecchio” studio pubblicato su Science si evidenziava, tramite modelli matematici, come senza eventi estremi avversi avremmo ottenuto un 5,5% in più nella produzione globale di grano (tra il 1980 ed il 2008). Ciò non si è verificato.
Anche il caffè, come il grano, è un problema antico: “La glaciazione in Brasile è stata la peggiore dell’ultimo ventennio e si parla di una perdita del 40% sui nuovi raccolti” ci dice Nicolò Zorloni, co-founder della torrefazione romana Nudo Kopi Roasters. Negli ultimi dieci anni, infatti, i coltivatori brasiliani (e non solo, si calcola anche tutta la fascia tropicale, tipica della produzione del caffè) si sono scontrati con siccità sempre più frequenti e con gelate più rigide e prolungate, che bruciano le piante e annullano i raccolti.
Riprendendo il concetto iniziale di “sovrasfruttamento”, più le zone forestali vengono abbattute, meno regolari saranno gli eventi atmosferici nelle zone limitrofe. Risulta fondamentale adattare le coltivazioni a repentini sbalzi ed eventi avversi, siano essi risultanti in siccità o ghiacciate. Abbiamo a che fare con un cane che si morde la coda, ovviamente. Consumiamo senza freni e consumiamo alimenti altamente impattanti che, sommati a tutti gli altri, devastano i climi. Le materie prime scarseggiano e dunque rincarano. Se non si riuscirà di fatto a trovare una soluzione alla mancanza di materia prima incrociata alla crescita demografica, a pagarne le spese saranno specialmente le miliardi di persone sotto la soglia di povertà.
Oltre all’insicurezza alimentare di troppi esseri umani, l’aspetto più importante e generalizzato da considerare è il rischio della perdita di biodiversità: un problema devastante se si considerano gli effetti a lungo termine sulla specie umana. Questa ci fornisce non solo il cibo che mangiamo, ma ripulisce aria ed acque e gioca un ruolo chiave nei medicinali. La scomparsa di anche una sola specie porta ad un mutamento irreversibile. Secondo i dati del IUCN (International Union for Conservation of Nature), quelle a rischio estinzione si aggirano intorno ad 1/3 di quelle esaminate. Il mutamento dei microclimi ha diversi effetti sugli organismi viventi: in primis lo spostamento delle aree climatiche favorevoli ad una determinata specie, facendo si che anche questa si veda costretta a migrare; ma anche l’alterazione della sincronia tra periodo riproduttivo e disponibilità di cibo per le specie migratorie (che modificheranno le rotte o cesseranno di migrare), la proliferazione di nuove specie invasive e tanti altri di conseguenza.
Se è vero che una parte decisiva dell’impronta ambientale viene data da certi paesi e non dipende direttamente dalla popolazione stessa, è altrettanto palese però come l’unica azione realmente attuabile da parte nostra sia quella di comprare responsabilmente e con testa, di evitare ogni tipo di spreco, ma sopratutto comprare e quindi consumare soltanto il necessario e lo stagionale.