Cosa mangeremo ancora, dopo il cambiamento climatico?

Il climate change prospetta conseguenze molto gravi per la stabilità della produzione alimentare mondiale. Quali soluzioni ci sono, se ci sono?

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Il discorso sul cambiamento climatico è uno di quei classici argomenti polarizzanti non tanto in termini basilari di esistenza, quanto di dettagli e metodologie. Sono molti a preoccuparsi del clima, pochi a comprenderlo w ancora meno ad agire in maniera coerente, per quanto possibile in questo mondo, al fine di collaborare tangibilmente. Quando leggiamo i rapporti delle varie organizzazioni e li vediamo puntualmente stracciati, viene voglia di chiedersi come sia possibile porre tanta attenzione alla costruzione del metaverso (ovviamente altrettanto fondamentale) piuttosto che a come salvare il “verso” nel quale viviamo.

Ora poniamo una necessaria premessa: questo articolo non può e non vuole essere una profonda analisi scientifica del problema, bensì un volo panoramico che possa dare qualche spunto per approfondire il tema in privato, per fare un po’ di compiti a casa.

Ricordate i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile redatta nel “lontano” 2015 dall’ONU? L’accordo firmato dai 193 Paesi membri ruotava attorno ai grandi aspetti in materia di equilibrio ambientale e sociale e si poneva l’obiettivo di trovarvi un equilibrio entro 15 anni. Ne sono già passati 6.

Ma andiamo in zona franca e parliamo di cibo. La stagionalità è da sempre riconosciuta come la stella da seguire quando si decide di acquistare del cibo, ma anche di scegliere un ristorante in cui mangiare “bene”. Difficile che un’anguria sia saporita in inverno. Difficile che esista, in realtà. Eppure ormai sappiamo benissimo quanto il buon senso sia stato ampiamente surclassato dall’abitudine, seguendo il vecchio principio psicologico secondo il quale, una volta proposta una comodità non dovuta in maniera ripetitiva, verrà considerata un diritto e non un privilegio. Sarebbe curioso vedere la reazione di chi entra al supermercato o nei mercati contadini, qualora venissero esposti solo prodotti stagionali, in tutte le loro apparentemente insolite varietà.

La reperibilità extra-stagionale è diventata legge di mercato e deriva dalle possibilità tecnologiche. Ma non è comunque vero che il sapiente e rispettoso anziano contadino riesca a mantenere la propria attività immutata come faceva ai tempi d’oro.

Cosa sta succedendo alle stagioni?

A causa dell’aumento della temperatura media globale, favorito in maniera decisiva dalle attività umane, le stagionalità stanno subendo mutamenti molto forti. Oltre al canonico “soprammobile” della fusione dei ghiacci, emblema della possente de-sensibilizzazione verso un problema devastante, ci sono infatti altre conseguenze latenti, definite "drammatiche" dagli addetti ai lavori. E l'agricoltura è di fatto uno dei settori maggiormente danneggiati da questo fenomeno. Ad esempio, uno dei tanti aspetti conseguenti al surriscaldamento è l'insufficienza idrica, che porta a danni talvolta irreversibili ad interi sistemi agro-alimentari. Le precipitazioni sono in graduale diminuzione di frequenza ma sempre più intense, con un conseguente cambiamento dei regimi di portata dei fiumi e di accumulo di umidità nel suolo. Gli eventi estremi quali siccità, grandine e ondate anomale di calore aumenteranno, innescando potenzialmente incendi, alluvioni e frane; ciò comporta rese molto variabili di anno in anno e poca continuità.

Le estati torride, dal canto loro, influiranno direttamente e sempre di più sul raccolto e sulla disponibilità di acqua. L'innalzamento delle temperature influisce già sulla durata della stagione vegetativa: in certe zone del Mediterraneo, a causa del calore anomalo e della mancanza di acqua, alcuni prodotti estivi potrebbero essere coltivati in inverno e nuovi prodotti trovano spazio dove mai avremmo pensato. I famosi avocado siciliani, assieme ad altri frutti tropicali, stanno man mano prendendosi sempre più spazio, trovando terreno fertile -è il caso di dirlo- al posto dei colleghi agrumi. Anche se questo aspetto potrebbe favorire un consumo di ingredienti alternativi più sostenibile, essendo questi coltivati “in casa”, le facce di una moneta sono sempre due. Considerando da un lato che il cambio delle temperature e le variazioni delle stagioni rendono possibile l’esplorazione di nuovi metodi e prodotti, dall’altro rischiano di togliere molte altre prelibatezze dalle nostre tavole o, perlomeno, di renderle sempre più rare e meno gustose.

Uno scenario globale raccapricciante è emerso in recente studio dell’Institut National de la Recherche Agronomique in Francia, sui terreni destinati alle vigne: secondo i dati forniti, entro una trentina di anni potrebbe scomparire fino al 56% delle regioni vitivinicole mondiali, ed oltre l’85% entro un’ottantina. Trenta. Ottanta anni. Non migliaia. Certo, altri Paesi potrebbero giovare di tale cambiamento, ma per le regioni dell’Europa meridionale quali Spagna ed Italia il paradigma potrebbe essere contrario..

Per non parlare dei funghi, abitanti del nostro pianeta da circa 1 miliardo di anni, che rischiano di sparire sempre a causa del forte calore. Tra l’altro questo si porterebbe dietro anche un’ulteriore catastrofe: l'ectomicorriza, la simbiosi mutualistica tra un fungo che circonda le radici di una pianta e la pianta stessa, è la relazione di protezione e crescita che avvolge il 60% di tutti gli alberi al mondo. La scomparsa di questi funghi potrebbe creare uno squilibrio catastrofico anche per le superfici boschive. I cambiamenti delle temperature, poi, possono potenzialmente influire sulla proliferazione e diffusione di alcune specie di insetti o erbe infestanti, con conseguenze scontate da un punto di vista qualitativo e quantitativo.

Se tutto questo poi non basta a far percepire la gravità del problema agli scettici, posto che ancora esistano, in futuro si prevedono conseguenze molto più gravi per la stabilità della produzione alimentare, in caso di eccessivo aumento della temperatura globale. Infatti, ciò comporterebbe, assieme alla rapida crescita demografica, una diminuzione drastica delle risorse disponibili ed una conseguente esposizione di un vastissimo numero di persone alla fame, innescando così migrazioni di massa ed inevitabilmente conflitti.

Cercare metodi e soluzioni alternative, informarsi, al fine di salvaguardare un territorio ed un’intera storia culinaria, è vitale in questo stadio già tardo del tema. Il graduale ma totale riadattamento della catena agricola ci attende alla fine del tunnel e sta ad ognuno di noi saper gestire un problema immenso, che pare quasi essere troppo complesso per essere risolto, perlomeno in questa epoca molto distratta e poco pragmatica.

(Foto apertura Simona Cannataro/Casa CoS)

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