COP28: l’accordo c’è, ma cosa cambia?

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In definitiva tutto cambia ma niente cambia. Descrivere questa COP sul cambiamento climatico di Dubai è davvero molto complesso. Figurativamente questa COP è come una montagna russa, che ti porta verso l’alto, all’inizio a fatica, poi accelera e alla fine ti lascia cadere nel vuoto, velocemente.

Ogni cosa accaduta a Dubai in questi 15 giorni è stata di rilevanza mondiale e ha ridefinito un nuovo inizio. Quella di Dubai è stata la COP che si è svolta in un contesto geopolitico difficilissimo, con una crisi di diritti umani a Gaza senza precedenti, una crisi che è entrata nei negoziati e che ha portato l’Iran ad abbandonare il summit e a chiudere il suo padiglione. Oltre a tutto questo, quella appena conclusa è stata la COP guidata da un petro-Stato, affidata al CEO di una controllata statale che fa affari con le fonti fossili, in un luogo in cui protestare è illegale e vige un sistema di sorveglianza digitale, un Paese dove le detenzioni arbitrarie per gli omosessuali sono la normalità secondo Amnesty International Italia.

Definire una COP non è mai facile, non si può parlare di successo o fallimento (a meno che non sia clamoroso) perché le COP non sono solo l’accordo finale ma sono tante piccole gocce che vanno ad arricchire, anno dopo anno, la discussione sulla giustizia climatica o quella sui combustibili fossili.

Proprio sui combustibili fossili e sul loro abbandono, immediato o graduale, si è concentrata la discussione e impantanata per due giorni a Dubai. Discussione così tanto bloccata che il Presidente della Cop Sultan Al Jaber a tre giorni dalla fine prevista ha convocato il “majlis” usanza araba, che indica le assemblee dove si risolvono problemi e si cerca di trovare una soluzione. “Volevo abbattere le barriere – dice Al Jaber – e riunire i ministri in un’unica stanza, sotto un unico tetto, seduti in cerchio, portando avanti una conversazione sincera, trasparente, da persona a persona. Ed è esattamente così che facciamo in questo Paese”. Il majlis avviene in una delle sale più grandi dell’Expo Dubai City, dove attorno al Presidente, ministri e leader mondiali - assente il ministro Italiano - hanno palesato i loro obiettivi e le loro posizioni per l’accordo finale.

Cop28 conference

Con un solo giorno di ritardo, grande traguardo se pensiamo allo stato dei negoziati solo 2 giorni fa, e con una approvazione lampo nei primi minuti della Plenaria, la COP 28 ha prodotto il suo risultato. Nel primo “Global Stocktake” I quasi 200 Paesi partecipanti alla COP28, hanno concordato per la prima volta di abbandonare i combustibili fossili per evitare di peggiorare i già pesanti effetti del cambiamento climatico.

Nonostante sia ormai noto che le emissioni derivanti dai combustibili fossili sono di gran lunga il principale motore del cambiamento climatico, quasi 30 anni di negoziati internazionali sul clima non avevano ancora mai portato a un accordo globale per ridurne ed eliminarne l’uso.

Nella versione finale dell’accordo non c’è un vero e proprio riferimento alle parole “eliminazione graduale” dei combustibili fossili, come chiedevano in molti, tra cui soprattutto i Paesi del Sud del Mondo, ma c’è un richiamo alla necessaria “transizione dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere l’azzeramento netto entro il 2050”.

L’accordo ha valenza storica perché per la prima volta nella storia del più importante appuntamento globale di diplomazia climatica, all’interno dell’accordo finale c’è un riferimento al progressivo abbandono dell’utilizzo di gas, carbone e petrolio per raggiungere la neutralità climatica.

La Cop28, la COP delle prime volte, sarà ricordata per aver segnato l’inizio di questo processo, l’inizio della fine per i combustibili fossili, anche se il lavoro è ancora tanto e la strada verso una transizione reale ancora lunga. Oltre all’uscita dai combustibili, altri obiettivi presenti nell’accordo sono: “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030”.

È prevista anche l’accelerazione degli sforzi globali per ridurre gradualmente l’energia prodotta dal carbone che non prevede tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2 e l’aumento di impegni “verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzare combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio ben prima o intorno alla metà del secolo”. Si richiede ai Paesi di “accelerare le tecnologie a zero e a basse emissioni, tra cui, tra l’altro, energie rinnovabili, nucleare, tecnologie di abbattimento e rimozione delle emissioni come la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo del carbonio e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio”.

Cop28 apertura

Verosimilmente questo accordo è però imperfetto, come tutti i documenti che vengono prodotti in questi summit o dalle Nazioni Unite. Nessun obbligo è preposto a creare delle politiche e i tempi per la realizzazione di obiettivi sono troppo dilatati, tutto affidato alla volontà dei singoli Paesi senza nessun organo che faccia da garante per la realizzazione di politiche concrete.

A livello di finanza climatica, un traguardo importante della COP di Dubai è stato l’istituzione del Fondo Loss & Damage, il fondo con cui i Paesi più ricchi finanzieranno quelli più esposti agli effetti della crisi climatica. L’istituzione del fondo è arrivata dopo anni di dibatto alla COP27 del 2022 ma non era ancora stata concretizzata. I fondi promessi sono 700 milioni di dollari per il momento, mentre secondo le stime servirebbero più di 400 miliardi di dollari all’anno.

In sostanza, un traguardo storico è stato tagliato ma molte questioni finanziarie restano aperte: non ci resta che vedere cosa accadrà quest’anno e nelle prossime due conferenze sul clima, quella in Azerbaigian (COP29) e quella più importante in Brasile (COP30).

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