La Sobreria ci insegna l’arte della socialità ai tempi dell’alcool free

Tra un sorso di birra (rigorosamente analcolica) e due patatine Sofia mi aiuta a rispondere a tutti quegli interrogativi che spesso mi faccio quando si parla di alcool, e che secondo me in realtà ci facciamo un po’ tutti.

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I bollenti spiriti in materia di bevute si risentiranno al solo pensiero di bere senza ubriacarsi, né tantomeno essere vagamente brilli. Ma un nuovo modo di concepire la convivialità senza alcool è possibile e vi spiego perchè!

Per farlo mi sono avvalsa delle parole di chi ne sa decisamente più di me, ovvero Sofia Girelli, graphic designer e founder de La Sobreria, una community nata su Instagram per analcolisti curiosi e stanchi di rimanere nell’anonimato.

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Ho incontrato Sofia al Cheers Pub di Milano, a due passi da Parco Lambro, proprio perché uno dei pochi pub che serve anche birra analcolica artigianale. La difficoltà, mi spiega Sofia, spesso sta nel fatto che in Italia anche in una città come Milano è ancora difficile trovare nei locali proposte analcoliche che non siano le solite bevande industrializzate o altamente processate. E così, a riprova della sua teoria ne ho ordinata una anch’io per scoprire con piacere che - alcool a parte - non le manca assolutamente nulla!

Tra un sorso di birra (rigorosamente analcolica) e due patatine Sofia mi aiuta a rispondere a tutti quegli interrogativi che spesso mi faccio quando si parla di alcool, e che secondo me in realtà ci facciamo un po’ tutti. Ad esempio:

Davvero abbiamo ancora voglia di bere alcolici?

Per noi italiani il consumo di alcolici è sempre andato a braccetto con l’idea di socialità.
Come scrive anche De Sutter nel suo libro “L’Arte dell’ebbrezza”, bere alcolici insieme ad altre persone è una specie di sodalizio. Suggella un legame autentico e a tratti primordiale, che si instaura buttando giù le barriere che la società ci impone. Era così ai tempi dei nostri nonni, e così è stato per i nostri genitori. Oggi però qualcosa sta cambiando,
mi dice Sofia. Molte persone lo fanno per motivi legati alla salute, ma c’è anche chi lo fa per seguire al meglio uno stile di vita fit o nuovi trend. Quello che conta però, è che sempre più persone si sentono pronte a ridurre il consumo di alcolici, ma desiderano lo stesso bere prodotti stimolanti, di qualità e che guardino con attenzione all’ambiente.

Perché c’è bisogno di una community?

Quello che mancava prima che Sofia creasse La Sobreria era proprio questo: una zona franca in cui trattare gli analcolici con lo stesso valore e gli stessi riguardi che si ha nei confronti di una bottiglia di vino, o di un superalcolico. Come sostiene anche lei, in Italia siamo troppo legati al consumo di alcool in quanto parte della nostra identità gastronomica, e questo porta spesso ad avere una considerazione escludente e a tratti discriminante nei confronti di prodotti quali kefir d’acqua, kombucha, mocktail e quant'altro. Per questo sulla sua pagina trovano grande spazio la divulgazione, così come i racconti dei Talenti in Fermento, realtà di produttori giovani e audaci che si sono messi in gioco in questo settore. Solo attraverso la spiegazione di un glossario dell’analcolico e tante curiosità su questi prodotti è infatti possibile dargli valore, nobilitarli e normalizzarne il consumo.

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Può esserci artigianalità anche nelle bevande analcoliche?

Nella nostra chiacchierata, Sofia mi ha fatto scoprire tantissimi prodotti di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. Tra questi ci sono le cosiddette bevande funzionali, ovvero quelle bevande progettate per garantire un’esperienza simile a quella della sbronza attraverso la disinibizione e a principi rilassanti, eccitanti e divertenti; il tutto senza lasciarti i postumi del giorno dopo. Un progetto che all’estero ha già preso un’ampia fetta di mercato, soprattutto tra i giovani. Questi prodotti permettono infatti non solo di simulare l’effetto degli alcolici, ma di farlo senza svuotarsi il portafoglio. Inoltre, il retaggio culturale legato all’alcool in alcuni paesi europei - così come negli States - stigmatizza molto chi ne fa uso, rendendo la soglia di tolleranza del “socialmente accettato” sempre più bassa.

Al contrario in Italia, la cultura del bere si pone su un piano completamente diverso, se non diametralmente opposto. È chiaro quindi che fra campanilismi dei produttori e drink iconici della mixology italiana, queste nuove soluzioni si scontrano ancora con un’idea di artigianalità respingente ed esclusiva, non mettendoli in una posizione favorevole sul mercato. Ogni regola però ha la sua eccezione, e la nostra è Dhaze, una bevanda funzionale arricchita di terpeni plant-based e altre sostanze naturali che favoriscono il rilassamento. Questa bevanda è stata realizzata per rispondere ai sempre più forti sintomi di ansia e stress della Gen Z, e tra i primi luoghi a distribuirla c’è stato l’Oval Lingotto durante il C2C. Un esempio di come bevande analcoliche e situazioni di svago e socialità possano coesistere, al pari di artigianalità e produzione artificiale.

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