Mascolinità tossica e cibo: cosa mangiano i “veri” uomini?

L’attenzione ad un nuovo tipo di alimentazione e a una rinnovata società odierna, ha rinserito nel dibattito culturale lo studio tra maschilità e cibo, argomento che affonda le sue radici nella sociologia del XX secolo.

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Un argomento finito nel dimenticatoio grazie ad un crescente marketing controverso diffusosi capillarmente negli anni Novanta e Duemila, ma che non ha mai cessato di esistere.

Già, perché il vegetarianesimo, il veganesimo, il flexitarianesimo non sono “invenzioni” recenti, bensì scelte di vita marginalizzate e fortemente limitate che negli ultimi dieci anni hanno finalmente ottenuto un riconoscimento societario, seppur in piccola parte.

Ce ne accorgiamo di meno rispetto ad altre cose, ma concepiamo anche il cibo in cibo da maschi e cibo da femmine. E questo si riflette sulla nostra alimentazione.

Ma andiamo per gradi; il testo del sociologo francese Pierre Bourdieu, “La distinzione”, apre la letteratura sull’argomento: negli anni Novanta viene approfondita soprattutto nella tradizione anglofona.

Dagli studi condotti, emerge un netto binarismo di genere che si accompagna ad una precisa definizione dei processi di mascolinizzazione dal punto di vista sociologico.

Vengono rilevati quindi, dei veri e propri alimenti considerati “maschili” non solo sotto il punto di visto alimentare, ma anche simbolico e culturale: primo fra tutti, la carne.

La carne non solo simboleggia la maschilità, ma anche il cosiddetto “machismo”, la forza che rimanda all’uomo delle caverne, alla caccia, a tutto ciò che rende un individuo forte e coraggioso, in un’allegoria stantia e immobile.

Di recente, molti studi hanno evidenziato che la nostra alimentazione cambia in base al nostro genere: uno studio dell'ANSES francese, per esempio, ha mostrato che gli uomini mangiano il 50% in più di salumi rispetto alle donne e quasi il 100% in più di carne.

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Tale distinzione, si ritrova non solo nella cultura sociale ma anche nel brand marketing: i prodotti ad origine vegetale e light, sono infatti targhettizzati per un pubblico quasi esclusivamente femminile, come alcolici e carni risultano prioritari nelle pubblicità dedicate ad un pubblico prettamente maschile.

I dissertori della tesi secondo la quale vi sia un precondizionamento all’interno delle nostre scelte sul cibo, evidenziano che sotto il punto di vista proteico e alimentare nella sua totalità, la carne sia maggiormente indicata per il sesso maschile sia per la predisposizione ed il bisogno di un pasto sostanzioso che li conduca a fine giornata che per l’aspetto tipicamente sportivo e ludico.

I sostenitori della tesi secondo la quale le persone che scelgono uno stile di vita differente sotto il punto di vista alimentare siano discriminati, sostengono anche che il sesso maschile rappresenti il carnefice e allo stesso tempo la vittima di queste credenze. Tale concetto, viene spiegato superbamente nel libro “Uomini e diete; cibi, maschilità e stili di vita” di Vulca Fidolini che porta avanti un indagine in cui intervista una serie di coppie che hanno intrapreso la scelta di attuare uno stile di vita vegano, vegetariano, flexitariano o non.

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Gli uomini vegeteriani o vegani? Non sono veri uomini, almeno per la maggior parte della popolazione.

Non solo sono diffuse credenze sbagliate riguardo all’alimentazione e al fabbisogno nutrizionale che molti cibi animal free possono fornire, ma vi continua ad esistere uno stereotipo di ridicolizzazione verso gli uomini che non mangiano carne.

C’è però un barlume di speranza generale, più specificatamente, nel Nord Europa.

L’approfondimento di un approccio aggressivo all’alimentazione, come al tema della sostenibilità ambientale, sta vivendo infatti un lento cambiamento, che si impegna a superare le dialettiche intra-genere e binarie.

Si sta diffondendo infatti un’attenzione legata al cibo concepito non più unicamente come dimostrazione della propria virilità, ma come anche come attestazione di impegno sociale e ambientale anche se il giudizio è ancora forte.

Uno studio pubblicato nel novembre 2021 su «Plos One», basato sulle abitudini alimentari di 212 britannici, afferma che una dieta vegetariana emette il 59% in meno di gas serra rispetto a una dieta convenzionale. In media, la dieta degli uomini presi in esame ha avuto un impatto ambientale maggiore del 41% rispetto a quella delle donne, soprattutto a causa della differenza nel consumo di carne e, in misura minore, di alcool. Nel mondo le persone che hanno adottato un regime vegetariano sono in maggioranza donne. Il rapporto del Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico (Ipcc) nota che il consumo di carne, più forte tra gli uomini, ha un impatto climatico rilevante."

Le distinzioni non riguardano solo il genere, ma anche l’orientamento sessuale e l’età: in particolare, la generazione dei millennials risulta più sensibile alle tematiche di attenzione alimentare, come le persone provenienti dal centro città e con un livello di istruzione più alto.

Lo stigma sociale è ciò che condiziona moralmente queste scelte, in particolare nel nostro paese, in cui l’attenzione verso stili alimentari ambientalisti è ancora indietro rispetto al resto d’Europa.

Inoltre molto spesso la scarsa offerta, scoraggia il consumatore, fattore che non si può più dire del costo dei prodotti animal free che ormai si equivalga nella quasi totalità a prodotti contenenti carne.

Un tema di cui non possiamo più smettere di parlare.

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