Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, la tradizione veneta d'importazione fa tornare tutti bambini, celebrando una speciale unità d'Italia.
Come una santa siciliana, patrona di Siracusa, protettrice degli occhi e dei ciechi, sia divenuta la festa prenatalizia più celebrata in Veneto, è uno di quei miracoli in grado di annullare le distanze tra Nord e Sud, soprattutto quando si tratta di patrimonio culinario regionale.
In Veneto, la storia dei dolci di pasta frolla di Santa Lucia, detti puoti, è legata indissolubilmente all’omonima festa, molto sentita principalmente nelle città di Verona, Venezia e Vicenza. Nella “notte di Santa Lucia”, che si colloca tra il 12 il 13 dicembre, sacro e profano, come spesso accade, si mescolano. È una di quelle feste che fa rivivere il ricordo di bambini, che fa sprofondare nella nostalgia dei frollini appena sfornati, nell’epifania di quel profumo di burro fuso e vanillina che pervade tutta la casa. Il momento è catartico, riaffiora anche quella smania e trepidante attesa, quella la letterina meticolosamente scritta qualche giorno prima con i propri desideri, lasciata sul davanzale, in attesa che la Santa nella notte la faccia sparire.
Isotta Rosboch
La leggenda narra che intorno al XIII secolo si era diffusa una grave ed incurabile epidemia di “mal d’occhi” che aveva colpito specialmente i bambini. I genitori allarmati avevano così deciso di domandare la grazia a Santa Lucia, protettrice degli occhi e dei non vedenti, portando i figli in processione nella notte del 12 dicembre per le vie delle città. Come tutte le processioni che si rispettino, anche questa doveva essere impegnativa e faticosa; perciò, si tenne scalzi e senza mantelli. I bambini naturalmente non volevano camminare scalzi nel freddo della più lunga e buia notte dell’anno; per convincerli i genitori promisero loro che Santa Lucia, al loro ritorno, avrebbe fatto trovare loro dei doni e dei dolci speciali, i cosiddetti puoti. E così, naturalmente, accadde e l’epidemia terminò subito.
Da quel momento in poi la leggenda si fece tradizione e ogni notte del 12 dicembre i bambini veneti aspettano l’arrivo della Santa, che porta loro tantissimi doni e i famosi dolcetti a bordo del suo asinello volante (el mussetto), sempre accompagnata dal suo fedele aiutante Castaldo. Tradizione vuole inoltre che si lasci un piatto sul tavolo della cucina con del pane e una tazza di latte per far ristorare la Santa, del buon vino per Castaldo e una carota per l’asinello, carico di doni e dolciumi. La notte del 12 dicembre si va tutti a letto presto, per evitare di incrociare per casa Santa Lucia che, si dice, accechi con la cenere i bambini che trova ancora svegli per far dimenticare l’accaduto. La mattina del 13, al risveglio, che di solito per l’agitazione avviene parecchio prima dell’alba, la magia si compie, Santa Lucia fa trovare tutti i dolciumi e regali desiderati nella letterina.
Reperti storici: una letterina a Santa Lucia (Isotta Rosboch)
La secolare tradizione ha reso i puoti il dolce tipico di Santa Lucia. In dialetto veneto “puoto” significa bambolotto, infatti la loro forma ricorda quella di un fanciullo. La ricetta? Quella dei frollini: burro (parecchio), sale, zucchero, farina e uova. Come ogni tradizione e ogni ricetta che si rispetti però, le varianti sono infinite, ma il minimo comune denominatore resta la creazione di un biscotto di pasta frolla profumato e fragrante, cosparso di abbondante zucchero a velo che evoca inevitabilmente le nonne.
Chi voglia assaggiarli pur non avendo parenti veneti pronti a sfornarli, non deve che andare a Verona, in Piazza Bra, dove ogni anno si ripetono i “bancheti di Santa Lussia”, una vera e propria fiera dove trovarne di ogni tipo, più o meno artigianali. Ma solo se si è stati buoni e bravi tutto l’anno, certificandolo a Santa Lucia via letterina 4.0 in direct alla sua pagina Instagram ufficiale (esiste, è @santalucia.official). Pure le sante si aggiornano al contemporaneo. Ma i biscotti, grazie alla memoria, sono sempre quelli.