Una zuppa azteca per celebrare la resistenza indigena

L’identità indigena permane nella memoria e nella cultura latino-americana. Nella musica, nei rituali popolari, e, ovviamente, in cucina, possiamo notare gli echi di un passato indigeno glorioso. Sicuramente, anche nella ricetta della zuppa Azteca.

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Cristoforo Colombo non ha scoperto l’America. Quelle terre, chiamate con altri nomi, erano già abitate da 100 milioni di Americani quando i conquistadores approdarono sull’attuale isola di San Salvador, Bahamas, il 12 ottobre 1492. Ed è proprio il 12 ottobre che, ogni anno a partire dal 1869, negli Stati Uniti e in Europa si festeggia l’inizio dell’oppressione delle popolazioni indigene. Si festeggia il colonialismo e la supremazia bianca, celandoli dietro nomi fuorvianti come “Columbus Day” negli USA o “Fiesta Nacional de España” nella penisola Iberica.

L’identità indigena però permane, nella memoria e nella cultura latino-americana. Nella musica, nei rituali popolari, e, ovviamente, in cucina, possiamo notare gli echi di un passato indigeno glorioso. Sicuramente li vediamo nella ricetta della zuppa Azteca.

Una ricetta antica che si presta a contaminazioni e varianti. Gabrièl oggi ci racconta la sua, per festeggiare il 12 ottobre, finalmente, come la Festa della Resistenza Indigena.

12 Ottobre: la Giornata della Resistenza Indigena

Il 12 ottobre come “Columbus Day” è stato celebrato per la prima volta dalla comunità italiana a San Francisco nel 1869. Ci vorrà ancora qualche anno ma nel 1937, su impulso dei Cavalieri di Colombo, un associazione cattolica di mutuo-soccorso, Roosevelt stabilì che il Giorno di Colombo diventasse festa nazionale in tutto il paese. Successivamente la “festività” è stata poi adottata anche in Spagna e in Italia. Nel 2004 una direttiva del Presidente del Consiglio Berlusconi indisse la Giornata nazionale di Cristoforo Colombo, il 12 ottobre di ogni anno. Ma perché il governo statunitense ha accolto a braccia aperte una giornata di festa di una minoranza di immigrati? Sappiamo che l’identità statunitense è molto giovane, poggia su basi fragili. Come abbiamo detto le popolazioni autoctone di quei luoghi hanno visto cancellata quasi completamente la loro cultura e la loro storia dai popoli giunti successivamente, che hanno subito spinto per creare una nuova identità che potesse unire inglesi, scozzesi e irlandesi sotto la stessa bandiera. Ecco che emerge una discriminante importante: ci sono immigrati bianchi, e immigrati non bianchi. Nel 1937 Roosevelt voleva dimostrare la possibilità di "americanizzazione" degli immigrati spagnoli e italiani. Attraverso queste ricorrenze (come anche la Festa di san Patrizio) si voleva consolidare l'unione del popolo bianco americano. Tutte le persone bianche, anche non-WASP, erano ben accette negli Stati Uniti d'America. Cruciale fu anche l’influenza delle teorie e organizzazioni razziste come il Ku Klux Klan. Infatti, fino al recentissimo 1986 con il Martin Luther King Day, non vennero mai istituite feste nazionali per popoli di origine non bianca.

Ad oggi i popoli indigeni sono relegati ai margini della società, spesso per strada a chiedere l’elemosina, mai integrati realmente nella società bianca, devono continuare a resistere alle corporazioni e ai governi che calpestano i loro diritti, invadono i loro territori e addirittura li uccidono. Il razzismo è un problema quotidiano. Allo stesso tempo, la resistenza indigena sta crescendo.

A gran voce e a livello internazionale, le organizzazioni indigene e i loro delegati stanno portando avanti la lotta contro lo sfruttamento capitalista. La rivendicazione indigena passa anche attraverso i simboli e le ricorrenze. Con la crescente consapevolezza indigena la giornata ha cambiato finalità in sempre più stati a partire dagli anni ’90. La Bolivia celebra il “Giorno della decolonizzazione”, il Messico il “Dia de la Raza”. Negli Stati Uniti si sta tentando di contrapporre al Columbus Day un “Indigenous Peoples’s Day” l’11 ottobre. Buona abitudine sarebbe anche quella di non associare il nome del continente americano esclusivamente con gli USA. Troppe volte quando sentiamo dire America pensiamo solo agli Stati Uniti, cancellando tutto il resto. Questa però non deve rimanere una politica di sola facciata. È importante riconoscere che la cultura indigena non è mai stata cancellata del tutto. Per fare un esempio, dopo che la popolazione indigena fu convertita con la forza al cristianesimo e adottò questa nuova fede come facciata, mantenne, con altri nomi, numerosi rituali politeisti preispanici. Nei murales di Diego Rivera a Città del Messico l’oppressione e la sofferenza indigena è rappresentata chiaramente. Anche in cucina tradizioni, ingredienti ed usanze preispaniche, azteche e maya in Messico, permangono e arricchiscono una delle culture culinarie più articolate al mondo.

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Gabriél - Questo è per tutti quelli come me, sangue misto meticcio”.

Canta così Gabriel Renteria Linda, in arte Ganoona, una figura di un libro che ben lo rappresenta, in quel capolavoro che è Cucurucucù, canzone che ha ripreso da un pezzo originale messicano (che a sua volta aveva ripreso anche Battiato). Perché Gabriel è un musicista sì, un grande musicista, incontenibile in un solo genere, autore di una musica che è sua e che solo sua potrebbe essere, in quanto frutto della sua storia. Infatti, è proprio attraverso la musica come lavoro e la cucina passione che Gabriel è riuscito a coniugare con armonia quei due mondi che si porta dentro e si vive fin da piccolo, non di certo senza anche qualche difficoltà: l’Italia, Milano e il Giambellino; e il Messico, Chihuahua e Delicias, luogo di origine di suo padre Adrian. Adrian cresce proprio in questo paese, una famiglia di nove fratelli: “i miei genitori facevano i contadini, ai tempi c’era ancora tantissima agricoltura, in particolare nella mia zona si produceva cotone e uva”. Negli anni Adrian, fa vari lavori, poi con i risparmi decide di fare una vacanza in Italia con due amici, destinata a cambiargli la vita per sempre, anche se lui ancora non lo sa: in un ostello a Napoli, infatti, conosce Valentina, di Milano e tra i due è subito amore. Per un po’ vanno avanti a distanza, lui si laurea in Filosofia, finché non decide di raggiungerla in Italia. “Chissà com’era Milano negli anni Ottanta, quando sei arrivato con tanti sogni e tanta barba”, canta sempre Ganoona. Inizialmente Adrian insegna spagnolo, poi lavora per un lungo periodo all’azienda Bull, fino a ottenere la doppia cattedra in Filosofia del Diritto.

Gabriel inizia ad ascoltare musica messicana quando era ancora nella pancia. Fin da piccolo trascorre lunghi periodi in Messico, tant’è che oggi lo conosce molto bene e lo ha girato quasi tutto. Negli anni ha un rapporto controverso nei confronti di questa doppia appartenenza: prova un profondo e forte senso di appartenenza a due mondi, ma allo stesso tempo “non so dov’è casa mia, quello che cerco non esiste, non c’è Itaca né Ulisse”.

Dopo un periodo non facile si avvicina alla cucina: “tutto è nato dalla grande frustrazione di dover aspettare di andare in Messico per mangiare messicano come si deve”. Così inizia a documentarsi, a sperimentare, a guardare programmi, video ricette e soprattutto a cucinare a casa, per gli amici. “La mia grande passione è per la materia prima”. In questo modo Gabriel inizia a trovare un’armonia tra quei due mondi a lungo in conflitto: “la cucina e la musica sono diventati i due modi per vivermi bene la mia messicanità a Milano, mi hanno aiutato a livello identitario, uno per piacere, l’altro per lavoro”.

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Anche perché tutte le volte che ha provato a rinnegare una delle parti, sentiva che gli mancava un pezzo: “quando sono qui mi manca il Messico e quando sono là mi manca l’Italia”. E l’aereo diventa proprio il simbolo di questo passaggio, tant’è che come canta nella canzone: “partire è un po’ come morire, solo in aereo divento claustrofobico, è cresciuto un fiore strano sull’albero genealogico”.

Oggi Gabriel porta avanti tutte le sue passioni, insegna musica sia privatamente che in alcune scuole, porta avanti il suo progetto di musica indipendente con lo pseudonimo Ganoona, insegna cucina italo-messicana al Laboratorio di Antropologia del cibo, dove si occupa anche della gestione della didattica.

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La zuppa Azteca

Questo piatto di origine preispanica, anche noto come zuppa di tortillas, nasce a Tlaxcala, capitale dello stato omonimo situato nella parte centro-meridonale del paese. In lingua indigena náhuatl tlaxcalli significa “il posto delle tortillas”. Elemento cruciale della dieta indigena ed ingrediente principale delle tortillas, il mais era praticamente una divinità per Aztechi e Maya. Era usanza bollire il mais in recipienti di pietra, per ammorbidirlo e facilitare la digestione. Venivano poi aggiunti avocado, carne, lime, pomodori e peperoncino. Successivamente, con l’arrivo degli spagnoli, le comunità indigene adottarono la tradizione dei piatti brodosi e la zuppa azteca assunse la forma odierna: un brodo di carne, pomodoro e chile pasilla, all’interno del quale vengono aggiunte e striscioline di tortilla fritta e gli altri ingredienti tradizionali. Per queste ragioni la zuppa Azteca rappresenta l’unione gastronomica di entrambe le civiltà, il baluardo di una convivenza pacifica e ricca di influenze culturali tra popoli diversi. L’incontro tra culture come arricchimento, non come annichilimento reciproco. Gabrièl cucinando questo piatto in Italia ha sentito l’esigenza di personalizzarlo in armonia con la natura inclusiva e meticcia del piatto stesso, adattandolo al gusto italiano e agli ingredienti disponibili. Il brodo di carne è diventato vegetale, in armonia con un concetto di sostenibilità. Invece del formaggio tipico che a volte viene aggiunto Gabrièl ha inserito un ingrediente simbolo della penisola: il gorgonzola. Il resto della ricetta è invariato. Il risultato è una zuppa sapida ma rinfrescante, con note acide, dolci e piccanti che raccontano la storia di due continenti e migliaia di anni di storia.

La ricetta della zuppa Azteca

Ingredienti

Una zucchina

¼ di cipolla

Uno o mezzo chile de arbol (o peperoncino secco italiano)

Una tortilla

Un fior di zucca

20/30 g di gorgonzola

olio di semi

olio evo

sale

uno spicchio di lime

Procedimento

Far cuocere le zucchine a pezzi in acqua bollente salata con il chile de arbol. Scolare le zucchine e metterle in acqua e ghiaccio. A parte stufare la cipolla in padella. Frullare il tutto e allungarlo leggermente con il brodo di zucchine piccante.

Friggere le striscioline di tortillas in olio di semi a 160° / 180°. Saltare in olio evo gli straccetti di fior di zucca. Tagliare a cubetti lo zola.

Servire la zuppa calda, con le striscioline di tortillas fritte, gli straccetti di fior di zucca, i cubetti di zola e qualche goccia di lime.

La cooperazione tra culture diverse è possibile, la resistenza e la rinascita indigena in tutta la latino america sono possibili, anzi, sono reali. Questa zuppa meticcia ce lo ricorda con il suo mix unico di sapori. La si può servire a temperatura ambiente in estate, per rinfrescare le gole o calda, d’inverno, per scaldare i cuori. Buona Giornata della Resistenza Indigena a tutti!

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