Zhigyalov Hats: il piatto simbolo dell'identità armena

La casa dello Zhigyalov hats è la Repubblica dell’Artsakh, spesso chiamata Nagorno-Karabakh. Un piatto “povero” preparato e tramandato da mani sapienti, capaci di trasformare farina ed erbe di campo in una poesia.

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Lo Zhigyalov hats è un simbolo. Una sfoglia sottile di pane che abbraccia ingredienti semplici e, allo stesso tempo, migliaia di anni di storia. La storia di un popolo, oggi in esilio. Un piatto semplicissimo che ha il potere straordinario di evocare casa, anche quando casa non c’è più.

La casa dello Zhigyalov hats è la Repubblica dell’Artsakh, ormai Repubblica in esilio, mai riconosciuta, spesso chiamata Nagorno Karabakh. Terra di tradizioni antichissime e biodiversità preziose. Tra le ricchezze millenarie di questo territorio c’è anche un enorme patrimonio culinario, come lo Zhigyalov hats, simbolo di un sapere antico. Un piatto “povero” preparato e tramandato da mani sapienti, capaci di trasformare farina ed erbe di campo in una poesia. A raccontarci questa storia oggi è la cuoca armena Shaké Pambakian.

L’Artsakh: una Repubblica in esilio

Un anno fa, nel settembre del 2023, è successo quello che molti temevano già da tempo. La regione dell’Artsakh, in Armenia, è stata isolata, e, neanche tanto lentamente, epurata.

La voce di Shakè è ferma quando parla di questa storia: triste ma mai rassegnata. Con parole asciutte e immagini dolorose racconta che, ad oggi, quasi nessun armeno calpesta una terra talmente antica e ricca da custodire non solo la storia del popolo armeno, ma anche quella di tutti i popoli.

Conteso tra gli armeni, che se la sono visto sottrarre dall’URSS, e azeri, a cui fu impropriamente ceduto da Stalin nel 1921, questo territorio è popolato da più di 5000 anni. Vi si trovano 400 chiese e monasteri antichissimi, tra cui quello che ospitò il chierico Mesrop Mashtots, inventore dell’alfabeto armeno nel V secolo. Il popolo armeno ha sempre di cercato di convivere in armonia con la natura ricchissima di queste terre. Puntando all’ecologia già dai primi anni ‘90, sperimentando con l’idroelettrico e con forme di coltivazione sostenibile. Tutto questo è stato poi distrutto con il fosforo e le bombe a grappolo. Nel 2020, dopo un violentissimo attacco da parte degli azeri, gli armeni si vedono strappare dalle mani la terra che avevano riconquistato appena 20 anni prima, dopo lo scioglimento dell’URSS. Il prezzo era stato caro: due anni di guerra e decine di migliaia di vittime. Con questo sacrificio nasce la Repubblica dell’Artsakh, che però non viene mai riconosciuta dalla comunità internazionale. Il 27 settembre 2020 l’Azerbaijan attacca nuovamente il territorio armeno e in 44 giorni di scontri occupa gran parte della regione. Gli armeni firmano un cessate il fuoco che doveva essere garantito nel tempo dalla Russia. Con la crisi Ucraina però questa promessa viene meno. Il 12 dicembre 2022 l’unica strada che unisce l’Artsakh al resto dell’Armenia viene bloccata da sedicenti ecologisti. Il blocco dura nove mesi. Le forze azere aprono il blocco solo per far uscire gli armeni, ormai in ostaggio. Nel settembre 2023 l’Artsakh è stato completamente abbandonato dalla popolazione autoctona. 120.000 persone strappate dalla loro casa, accolte però a cuore aperto dal resto degli armeni. Una popolazione di 2 milioni e mezzo di persone ha accolto questo enorme numero di esiliati in un territorio grande come la Lombardia e li ha ospitati nelle caserme e nelle scuole. Il popolo armeno non si è lasciato dividere e non ha creato tendopoli. Ha aperto le porte di casa. L’Artsakh è cancellato? Forse sulle nuove cartine. Il fuoco della resistenza, però, è sempre vivo. Anche se represso con la violenza viene alimentato dove la mano dell’oppressore non arriva: nella cultura, nell’arte, nelle cucine, nei cuori delle persone che conoscono e conosceranno questa storia, come Shaké.

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Chi è Shaké?

Shakè è forse una delle cuoche che meglio incarna e rappresenta i significati e il senso più profondo della cucina di casa. È proprio tra le mura domestiche, attraverso i racconti e le ricette di sua mamma Vartuhi, di sua nonna Ievpimé e di sua suocera Lizet, e delle altre donne della famiglia, che Shakè apprende gran parte del mondo armeno, quello di cui sente forte l’appartenenza, pur non avendoci mai vissuto. Shakè, infatti, nasce a Milano, da genitori cresciuti rispettivamente in Grecia e in Italia, conosciutisi nella comunità armena e da nonni sfollati in Austria e Svizzera. “I miei nonni si sono sposati con un matrimonio combinato, ma nella cultura armena c’è libertà di scelta; ad esempio, se la futura sposa al momento del primo incontro porta il caffè dolce o amaro è un segnale”. Quando Shaké si sposa, lo fa con un uomo, Samuel, armeno, talmente innamorato che non pretende nulla da lei. “Portava le nostre figlie Maral e Gayané a scuola e poi tornava sempre a casa solo per fare colazione insieme a me”. Ed è proprio questa forse la molla che fa scattare in lei la voglia di iniziare a cucinare.“ Non posso non dare a chi amo cose buone da mangiare, perché cucinare è prima di tutto un atto d’amore. Così negli anni Shaké ha imparato ed è diventata bravissima. Shaké è anche una delle cuoche della comunità armena di Milano: “È importante insegnare la cucina armena, in modo che le nostre giovani armene imparino la tradizione, affinché non vada ancora più perduta”. Un’altra grande passione di Shaké è la permacoltura e quel meraviglioso orto che ha casa, dove coltiva di tutto: insalata, patate, frutta, aromatiche, cavoli, zafferano. “Quando devo preparare da mangiare, esco e vedo quello che c’è, quella che la mia terra mi offre”. Ed è un po’ così che in Artsakh è nato lo Zhigyalov hats.

Pane e verdure: Zhigyalov hats

Nella guerra dei 44 giorni con cui gli Azeri hanno riconquistato l’Artsakh è proprio questo piatto semplicissimo a essere diventato il simbolo del territorio e della cultura della regione. Nel dialetto armeno dell’Artsakh hats vuol dire pane, e Zhigyalov significa verdura. Niente di più semplice, quello che ha tenuto in vita generazioni e generazioni di nostri antenati, in tutto il mondo. Questa preparazione mostra molto dello spirito che muove l’armeno in cucina: usare la ricchezza che la natura offre valorizzandola nel modo più semplice possibile, senza alterarla.

Si tratta di un piatto primaverile ed autunnale, periodi in cui la terra è più ricca di erbe e profumi. Non esiste una ricetta ufficiale, grammature o simili. C’è il sapere di mani esperte, tramandato spesso a voce. Se chiedi a un armeno come preparare il pane per questo piatto ti dirà: “Farina e acqua calda quanto basta.”. E poi? “Poi vai nel campo e prendi tutte le erbe che trovi.”. In questa indicazione apparente generica però si cela una grande ricerca di equilibrio. Infatti, bisognerà utilizzare almeno 4 erbe che siano amare, 4 dolci, 4 aspre, 4 piccanti. Pensate la gioia di correre nell’orto per vostra nonna, imparare dai lei a conoscere le mille sfumature di verde che crescono dalla terra, sentirvi a casa, felici e presto sazi. Queste immagini si aprono nel cuore di ogni armeno quando assaggia questo piatto, ed è la stessa gioia che pervade la voce di Shakè. Gioia e solennità. Sì, perché i gesti che portano alla creazione prima del pane e poi della sua farcitura di erbe e spezie hanno qualcosa di liturgico

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