Ángel León: La Poesia del Mare

Un dialogo con lo “Chef del Mare”, mente rivoluzionaria del ristorante spagnolo Aponiente, tra grano marino, mortadella di pesce e futuro delle acque.

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Il mare è da sempre quell’elemento affascinante, maestoso ed oscuro, poetico e spaventoso che colpisce l’uomo nel profondo dell’anima. Sublime nell’accezione estetica, ovvero capace di portare, grazie alla sua ineffabilità, ad uno stato di estasi e di sopraffazione rispetto all’infinita potenza della natura. Ed il mare, Ángel León, lo ha nel sangue.

Lo Chef del tre stelle Michelin Aponiente, sito in un mulino a marea del diciottesimo secolo, ha dimostrato quanto ancora il mondo acquatico sia sconosciuto, anche da un punto di vista gastronomico. Plancton, salumeria di pesce, grano marino rivoluzionario e “luce del mare” commestibile, presentata ad Harvard qualche anno fa: un continuo lavoro di ricerca scientifico ed umanistico, avanguardista e filosofico, che lo rende una delle persone chiave per il futuro del nostro Pianeta.

Abbiamo dialogato della sua passione blu, di innovazione e di impatto ambientale perché, ricordiamoci, quella poesia la stiamo distruggendo.

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Perché il mare è così importante per te?

Ho un rapporto molto speciale con questo elemento, è come un salvatore.

Con mio padre andavamo spesso a pesca attorno alla baia di Cadice, tornando a casa con del pesce freschissimo. Mi occupavo io di pulirlo, era come un rituale: mi piaceva accarezzare le scaglie e sentirne la scivolosità, apprezzarne il profumo. Aprivo la pancia e guardavo cosa avesse mangiato, così da preparare meglio l’esca successiva.

Il mio carattere non mi consentiva di trovarmi a mio agio con lo studio, ma il mare era la fuga, mi dava sollievo e riposo. Mi comunica una calma antica, confortante.

Le onde, il ritmo, il suono, cantano una dolce-salata melodia che scalda l’anima.

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Come si è formato il pensiero dietro Aponiente?

È stato naturale, per me, dedicare la mia carriera a questo universo. Molti pensavano che saremmo falliti, che non avremmo avuto abbastanza varietà per offrire un menù di ricerca in costante avanzamento. Ma si sbagliavano.

La superficie terrestre è coperta in larga parte da acque salate, delle quali conosciamo molto poco in termini di risorse utilizzabili.

Le possibilità sono molteplici e mandiamo questo messaggio attraverso giochi seri di parallelismo col mondo terrestre, come nel caso della salumeria di mare. Mortadella di spigola, chorizo di triglia, prosciutto di tonno: stagioniamo con le stesse spezie, diamo le stesse forme, ma sostituiamo la carne.

Forziamo la comparazione, obblighiamo a ripensare il pesce con un nuovo sguardo rispettoso ed aperto all’impossibile, anche pensando a menù vegetali di mare senza proteina animale, introducendo il concetto di giardino sottomarino, di coltivazione subacquea.

Con Aponiente abbiamo dato nuova vita a questo mulino abbandonato, uno dei più grandi d’Europa, e ripensato il significato del “mangiare pesce”, trovandoci di fronte ad ingredienti bizzarri ma estremamente interessanti, quale il “grano marino”.

Seguiamo la stagionalità più ferrea e coroniamo la biodiversità come unico mezzo di raggiungimento di un’ alimentazione sostenibile ed in equilibrio con la Terra.

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Grano marino: una scoperta fondamentale in campo alimentare, forse decisiva nel cambiare le sorti della Terra. Ce lo racconteresti?

Qualche tempo fa, mi capitò di leggere un articolo del 1973 sulla rivista “Science” che raccontava di come la pianta della “Zostera marina” fosse, da generazioni, parte della dieta della popolazione indigena messicana dei Seri.

Era una specie che popolava le nostre acque, ma non era mai stata coltivata in maniera controllata. Rimasi folgorato, non riuscivo a trattenermi: col team di R&D e diversi scienziati, abbiamo subito avviato lunghe ricerche, studiando per oltre cinque anni gli aspetti genetici e nutrizionali e presentandone i risultati alla FAO.

Per la prima volta nella storia siamo riusciti a coltivare scientemente questo prodotto, pensandolo nella sua applicazione alla dieta umana.

Con il nostro “orto” acquatico, localizzato nel “Bahía de Cádiz Natural Park”, capiamo questo incredibile tesoro allo scopo di riproporla in larga scala, sognando una banca di semi che estenda la produzione in altre aree del mondo.

L’importanza a livello mondiale di questo “superfood” risiede in molti aspetti. Ad esempio, il fatto che richieda il solo impiego di acque salate lo rende adatto ad essere coltivato senza lo spreco di due risorse scarse quali acqua dolce e terreno. Poi è un perfetto alleato della vita marina, ricostituisce la biodiversità, crea vita. Ha grossissimi vantaggi a livello ambientale, protegge le coste ed ha una resa altissima, facendosi portatore potenziale di ricchezza ed impiego di nuova forza lavoro. Assorbe CO2 ed ha benefici importantissimi per l’uomo, superiori ai cereali tradizionali. Si può utilizzare in maniera diretta, così come si presenta, ma anche sotto forma di farina e di derivati.

L’impatto sulla dieta globale potrebbe dare una sferzata decisiva alla lotta contro il cambiamento climatico e le crisi umanitarie: l’opportunità è troppo grossa per lasciarsela sfuggire.

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La desertificazione del mare è anche dovuta ad un’insensata domanda dei consumatori. Ci parleresti dei vostri ingredienti?

Ci siamo da sempre concentrati sui pesci meno commerciali e locali, provenienti dalla Baia di Cadice, che la domanda comune non comprende e che non fanno parte della moda del momento o del gruppo canonico di specie preferite. L’omologazione e l’impoverimento delle nostre spese è un silente e spietato omicida ambientale.

Poi la ricerca si amplia, rimandando sugli stessi binari, verso nuove piante alofile delle nostre zone paludose, arrivando all’incredibile plancton.

È un atto di responsabilità individuale, un impegno nei confronti di se stessi ed un regalo alle future generazioni. Capire il significato di biodiversità e farlo proprio è, di nuovo, il passaggio necessario a rendere la distribuzione meno distruttiva.

Che si tratti di una verdura, di un pesce o di una carne, dobbiamo sempre ricordare come i fattori fondamentali siano prossimità e differenziazione: dobbiamo uscire dalle due, tre opzioni che il mercato ci offre e guardare alla molteplicità degli ecosistemi attorno a noi.

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Pesca etica: si può dialogare con l’industria?

Ad Aponiente, dal primo giorno, abbiamo lavorato per una pesca sostenibile, attraverso metodi antichi ed artigianali.

Nelle saline abbandonate dei dintorni sono state create piscine naturali, dove i pesci e le piante proliferano. Attraverso un sistema di dighe, gli abitanti del mare entrano nei vecchi spazi poco profondi della salina, rimanendovi intrappolati.

Una sorta di “spa” per creature marine che, grazie ad una vita calma e senza predatori, cresceranno ricchi di grassi e dunque avranno un sapore e consistenza molto interessanti.

Questo è solo un esempio, che pare risalire all’epoca dei Romani, di come si possa pensare alla pesca in un modo diverso.

Logicamente è l’industria a dover proseguire queste nostre piccole azioni, a dover confermare questo approccio, altrimenti sono sforzi vani.

È anche vero che siamo poco sostenibili in moltissimi aspetti della nostra esistenza: esserlo significa dover ripensare anche la più piccola delle azioni. Snervante, forse, ma dipende da quanto grave sarà la conseguenza della pigrizia.

Penso che sia una mutua relazione, dove molti cittadini spingono i grandi al cambiamento, ed i grandi permettono a tutto il resto della società di trasformarsi.

Il nostro settore gode, oggi, di riflettori incredibili e noi chef possiamo sfruttarli a pieno, facendoci messaggeri, portatori di cultura e rivoluzione.

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Ed ecco che il mare, tra temuto abisso oscuro e luogo di intrattenimento estivo, assume una nuova connotazione, importantissima.

Vederlo come una risorsa sconosciuta apre la mente verso soluzioni diverse, certamente da raffinare ed adattare al commercio, ma inevitabilmente percorribili.

Ángel León lavora incessantemente col mare, ma si sente bambino, è un’estensione naturale del suo essere umano, del suo sentirsi vivo, è per lui vita. E la vita chiede se stessa, esiste, ovunque ve ne siano le minime condizioni.

Dovremmo forse volere questa vita indietro? Dovremmo forse, tra proiezioni virtuali e assordanti socializzazioni sterili, ricordarci del nostro corpo e della nostra anima? È forse possibile ritrovarsi a dover creare organi di tutela per evitare che chimica e scarsa etica tocchino cibi che da sempre sono invece in equilibrio col mondo?

Abbiamo contaminato la natura e adesso la rivogliamo sana, non gradiamo più i nostri ibridi. Dobbiamo renderci conto che essere evoluti, nella storia, ha anche significato saper tornare sui propri passi ed ammettere l’errore, sapersi fermare.

Sentiamoci, come León, bambini: proviamo ad invertire il processo e torniamo a guardare al mondo con stupore, con curiosità e, beh, coscienza: perché non siamo proprio bambini, siamo responsabili. Troveremmo come la bellezza, dopotutto, sia molto più vicina di quanto si pensi.

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