Caterina Ceraudo: L’Essenzialità della Natura
Incontriamo Caterina Ceraudo, stella rossa e verde Michelin, Chef di Dattilo tra essenza e natura.
Nel piccolo paesino calabrese di Strongoli la Chef Caterina Ceraudo, stella rossa e verde Michelin, orchestra il ristorante Dattilo, coronamento dell’azienda agricola di famiglia. La sua forza e determinazione le permettono di portare avanti una cucina brillante, essenziale ed autentica. Una di quelle rare mete che tenta di dare forma nuova alla Calabria, regione bellissima e ricca di storie, forse troppo poco considerata dal panorama internazionale.
Caterina ci ha raccontato la sua storia, la filosofia e il suo rapporto tra vita privata e lavoro.
La tua è una storia diversa da molte: ce ne parleresti?
Possiamo dire che il mio è stato un percorso inverso. Alla fine dei miei studi liceali scelsi di volermi laureare in “Viticoltura e Enologia” presso l’Università di Pisa, forse influenzata dall’essere cresciuta nell’azienda vitivinicola di famiglia. Durante le pause dagli studi tornavo a casa e davo una mano in cucina, nel ristorante annesso all’azienda. Ed è probabilmente qui che, piano piano, la mia passione per il mestiere si è rafforzata. Così tanto, da spingermi ad iniziare un nuovo corso formativo presso l’ “Accademia Niko Romito”, seguito da un periodo di lavoro al “Casadonna Reale”. Lì ho imparato quanto importante e profondo sia questo universo dell’alta cucina, quanto riesca a farti esprimere e sentire bene: un vero e proprio innamoramento. La similitudine alla realtà di famiglia, dovuta alla non centralità della zona, e l’approccio rispettoso ed essenziale verso l’ingrediente, hanno reso quell’esperienza impareggiabile.
Cosa comunicano le tue creazioni?
La mia è una cucina molto immediata, di facile comprensione, semplificata ma non sempre semplice. Lavoro su gusti prevalentemente riconoscibili dal palato degli ospiti, esaltando al massimo una materia prima che selezioniamo con perizia ed estrema attenzione alla qualità e all’etica. L’ingrediente si fa attore protagonista, magari affiancato da qualche spalla, ma rimaniamo comunque su un numero molto basso di diversità. Talvolta un piatto può anche svilupparsi lungo un solo prodotto, centrandone l’anima, lavorandovi al cuore. La complessità di un processo dalla resa essenziale favorisce un’accessibilità lampante, arricchendo l’esperienza contemporanea con una sensazione di golosità e godimento puro.
Prendiamo i “Bottoni di mandorla, nduja e brodo di bucce di patate”, dove il piatto viene costruito attorno al ricordo olfattivo del mio viaggio a Spilinga per scoprire le nduje artigianali. Un tempo venivano messe a stagionare in piccole case con la brace accesa, infondendosi di un particolare sentore umido ed affumicato; lo stesso che ho voluto traslare nel brodo di bucce, terroso ed intenso, connesso al mondo.
Sottolinei spesso il forte impegno verso la sostenibilità: come la affrontate al Dattilo?
Essere sostenibili è molto difficile e passa attraverso tante azioni. Dalla non scontata propensione alla cucina micro-stagionale, all’auto produzione di materia prima. E noi lavoriamo da sempre su questi irremovibili pilastri: mio padre fu il primo ad aver intrapreso agricoltura biologica in Calabria, insegnandomi il rispetto per i viventi, per le radici che ci nutrono, per il prodotto che lavoriamo ed offriamo.
Nonostante ciò, la naturalità ed il suo rapporto simbiotico con l’umano si raggiungono anche attraverso altri tipi di azioni, coadiuvanti. Allora si comincia a pensare alla riduzione di scarto ed al riutilizzo del “rifiuto”, inserendo piatti circolari come la “Spigola, emulsione di spigola e limone candito”, dove sia il pesce che l’agrume vengono impiegati nella loro interezza.
Ma si pensa anche all’impianto fotovoltaico, che ci permette di essere autonomi ed energicamente più puliti, ed a fornitori esterni che dovranno essere in linea con la nostra filosofia.
In fin dei conti a noi viene spontaneo essere in equilibrio, forse per il luogo in cui siamo nati e per il contatto stretto con un ecosistema rigoglioso e prospero. Ne respiriamo la vitalità, ne godiamo l’energia.
Come vi hanno cambiato le stelle?
Trovo affascinante come il turismo gastronomico si sia ampliato verso la cucina d’autore: non si visitano solo i musei, ma anche i ristoranti. Siamo quindi stati sorpresi da una nuova clientela, che viaggiava per venire a trovarci, attenta ai dettagli, entusiasta di fare nuove scoperte. È chiaro come, tutto questo, porti ad un aumento della pressione verso le aspettative da rispettare, ma fa anche parte di ogni mestiere. Questo è un punto di inizio, che ci consente anche di ripensare l’organizzazione del personale e lasciare più spazio all’umano, alleggerendo quando possibile e lavorando più efficientemente. I giovani devono trovare incentivi a lavorare in un mondo che, alle volte, è troppo pesante ed annichilente. Dopotutto il tempo è del singolo, ci appartiene, è privato, mentre lavorare è una necessità che cerchiamo di rendere più vicina possibile alla nostra passione.
Il ripensamento, il dubbio, la convinzione e la continuità hanno fatto di Caterina Ceraudo una delle esponenti più importanti della nuova cucina italiana.
La sua Calabria, la sua larga storia familiare parlano di rispetto, di autenticità. Raccontano la delicatezza della natura accompagnata dal saper fare umano, genuino, che le regala nuova poesia.
A Strongoli non si capita per caso, probabilmente, ma è proprio l’avventura a rendere speciale il viaggio; e la meta è dolcissima, gentile e possente.
L’arrivo è un sistema circolare e virtuoso, confortevole e appagante nella sua unicità. È il mostrare il nuovo senza urlarlo, senza cercare l’elemento straniante e bizzarro, rimanendo perfetta fotografia di un luogo ma anche di un tempo e celebrando, amorevolmente, il sollievo della vita.