Nonostante il passaggio di consegne, sarebbe riduttivo definire questa struttura come la casa di un progetto culinario votato alla rappresentazione della biodiversità Peruviana. La fortezza di Av. Pedro de Osma è a tutti gli effetti il luogo in cui si sviluppa un programma ed un progetto politico. Una cucina manifesto. Una cucina che è allo stesso tempo sociologia, antropologia, arte e filosofia.
Nella narrativa, nelle intenzioni e nelle azioni di Martinez convergono infatti i temi delle risorse naturali, del valore economico della terra, del sostentamento dei produttori, del senso di responsabilità, di un’autosufficienza spinta quasi ad un’antica nozione di protezionismo.
In un mondo in cui la ricchezza di un Paese si è spostata dalle sue risorse naturali a quelle monetarie e all’abilità di scambiare beni e servizi nel mercato globale, la cucina del Central si fa avamposto di una rivoluzione agricola che vuole ribaltare questo paradigma e pagare tributo alla ricchezza rurale del Peru, alla sua biodiversità ed ai suoi 90 microclimi.
Nel menu non c’è traccia di quella cucina di conforto che ha conquistato palati in giro per il mondo. Non c’è ceviche, tiradito, lomo saltado. Non c’è la costante dell’acidità del lime. Non c’è pesce crudo. Non ci sono le storiche influenze giapponesi o cinesi.
C’è il Peru, “una cucina di paesaggi ed ecosistemi che mette insieme non soltanto ingredienti posti a simili altitudini ma sposa pienamente le condizioni culturali di quella realtà”. “È una cucina agricola che è allo stesso tempo in evoluzione, nello sforzo di dare risposte antropologiche al legame dell’uomo con la Terra, all’ossessione del popolo Peruviano per il cibo e l’alimentazione”.
E nonostante gli ingredienti raccontino le spiagge di Paracas, le acque del Nanay e le altitudini delle Ande, non affondando le radici nel bagaglio della memoria della maggioranza dei commensali (anche Peruviani), il messaggio è universale: “l’importanza del cibo come elemento nutriente, salutare, medicinale e spirituale. Elemento che dà all’essere umano la forza di muoversi, capire, vivere. Cibo che deve essere buono, ma soprattutto capace di creare quel collante, quell’umami emozionale, che faccia da connessione tra il commensale e l’ecosistema.”