Cosa significa 'Natale' oggi? La risposta non è per niente banale

Il mio rapporto con il Natale è cambiando negli anni; quando ero piccola era la mia festa preferita, crescendo è diventata un’ansia assoluta, camuffata da luci, pandoro e mascarpone.

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Qual è la prima cosa che vi viene in mente quando pensate al Natale? La maggior parte delle persone pensa ai regali, d’altronde parliamo della festa che più ha subito le influenze del capitalismo. Per me il Natale è sempre stato un insieme di dramma, culture completamente diverse che cercano di conciliarsi e tanto tanto cibo. Il mio rapporto con il Natale è cambiando negli anni; quando ero piccola era la mia festa preferita, crescendo è diventata un’ansia assoluta, camuffata da luci, pandoro e mascarpone. Tra una canzone di Mariah Carrey e Michael Bublé la corsa last minute per i regali è sempre stata una costante, come l’ansia per l’organizzazione minuziosa, l’arrivo dei parenti e le soffocanti aspettative. Come la maggior delle donne il mio posto è sempre stato in cucina, assorbita dalla preparazione del menu che deve essere sempre impeccabile. Solo col tempo ho capito che oltre all’influenza del capitalismo durante il Natale il patriarcato bussa più forte che mai in tutte le case. Il pranzo a casa mia è rigorosamente cucina italiana a pranzo, cibo senegalese a cena e infine la torta come dolce perché è anche il compleanno della mia sorella maggiore. Ho una famiglia molto numerosa e una delle poche cose che non ho smesso di apprezzare del Natale è che in qualche modo anche se durante l’anno litighiamo, durante le feste troviamo sempre il modo di comprenderci, di fare pace e di trovare uno strano equilibrio che ci porta ad avere buoni propositi per l’anno a venire. Con gli anni mi sono resa conto che si danno per scontate un sacco di cose; in primis che tutti festeggino il Natale, in secondo luogo che tutti abbiano una famiglia, un pasto caldo, un tetto e i soldi per fare regali. È arrivato il momento di farci come società le giuste domande quando ci rapportiamo ad altre persone, alle loro storie o culture, anche in relazione al Natale. Ho deciso di chiedere ad alcune persone con origini e background diversi di raccontarmi il loro rapporto con il questa ricorrenza.

Ho chiesto aRaffaela Campolongo, una studentessa impegnata nel quotidiano nella divulgazione di temi femministi di raccontarci la sua esperienza e come il suo percorso politico e femminista ha inciso sulla percezione di questa festa:

“Per me il Natale è un momento di incontro con la mia famiglia, amici e amiche che rivedo quando torno in Calabria. Nella mia vita è sempre stato questo: treni da prendere, pasti abbondanti, casa piena di parenti, fracasso, voci che si sovrappongono, caos. Il femminismo ha inciso tantissimo sulla mia percezione di questa festa. Mi ha permesso di pormi molte domande che hanno cambiato il mio modo di vivere il Natale. Col femminismo i miei ideali si sono rafforzati e questo a volte causa scontri non indifferenti sulle tavole natalizie dove le cosiddette “battute goliardiche” sono all’ordine del giorno.”

Al di là dei momenti di ritrovo, comunque il periodo che precede questa festività è per me estremamente stressante perché il Natale nella nostra società capitalista è legato ad una serie di imposizioni da cui la gente non riesce a svincolarsi.

“Ne risultano città piene di persone che corrono e ti gridano addosso appena intralci il loro cammino perché in ritardo con i pacchetti da preparare a mezzanotte dopo una giornata di lavoro sottopagato. La mia domanda per tutto il mese di dicembre è solo una: ma perché? Con un percorso di acquisizione della consapevolezza io mi sono slegata dalla tradizione dei regali come obbligo sociale, spreco di soldi (che mancano) e accumulo di oggetti (che non userai mai). E ora se tutto va bene arriverò a casa di parenti a mani vuote, camminando in punta di piedi sperando di non essere provocata.”

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Raffaella Campolongo

La seconda domanda che ho fatto a Raffaella riguarda la possibilità di parlare di Natale in un’ottica non cristiana e bianco-centrica nell’Italia del 2022:

“Se ne potrebbe parlare, ma il problema sarebbe trovare persone disposte ad ascoltare e realtà propense ad integrare. Questo Paese è costituito da una moltitudine di culture rappresentate da tantissime voci pronte a condividere il loro punto di vista. Culture e voci che però vengono invisibilizzate dalle nostre, predominanti bianche ed eurocentriche. La maggior parte di noi è abituata ad una specifica definizione del Natale con determinate caratteristiche. Questa definizione è quella che spopola a livello sociale e che si articola in ogni strada tra luci e addobbi, in ogni istituzione pubblica con decorazioni, in ogni piazza con specifici canti, in parecchie persone con un determinato credo che spesso invalida gli altri. Quando si parla di Natale non si insegna mai a tener conto di una diversità, delle varietà di rappresentazioni di questa festività. Questo, se abbiamo fortuna, lo scopriremo noi nell’arco della nostra vita. Io credo che sia fondamentale dare una definizione plastica dei concetti fin dall’infanzia in modo tale che in età adulta non diventino dogmi e che di conseguenza non si pensi “il Natale è questo per forza e non può essere altro”. Lasciare fluida la definizione di una festività che invade per un periodo dell’anno in grande o piccola parte sia la sfera pubblica che privata di un individuo a mio avviso può essere un primo passo per poter ridefinire il Natale in un’Italia che sia realmente non solo cristiana e non solo bianca.”

La prossima persona intervistata è Diego Maria Alberti, a cui ho chiesto di raccontare il suo rapporto con il Natale e come è cambiato negli anni:

“Il rapporto attuale con il Natale è incentrato più che altro nel condividere del tempo con la mia famiglia stretta. Tendenzialmente siamo in cinque e qualche volta si unisce una delle sorelle di mia madre con il suo nucleo stretto. Trovo che quella delle feste sia una buona scusa per spendere del tempo di qualità con i parenti che per i mille e uno motivi non vedi quasi mai. Secondo me come tutte le festività italiane è prima di tutto capitalistica, ma sia dalla parte di mia madre che da quella di mio padre l’impatto del capitalismo penso sia quasi nullo, eccetto per i pasti abbondanti. Non ci sono più alberi e addobbi in generale, ogni tanto viene fatto qualche pensiero come un biglietto con qualche soldo, libri o qualche vestito per mia nonna che non cambia l’armadio dal ‘93.”

Durante l’intervista mi hanno colpito le ultime parole di Diego a cui piacerebbe pensare ad un calendario che preveda festa nazionale anche per ricorrenze di religioni differenti.

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Diego Maria Alberti

Una cosa che ho apprezzato che si sta iniziando a fare in questi anni è augurare un generico buone feste e non il classico “Buon Natale”.

Ho chiesto a Muhammad Mustafa Konate di raccontarci la sua esperienza: “Essendo cresciuto in una famiglia musulmana non ho mai vissuto il Natale come una festa, per me Natale è stato sempre periodo in cui stavo a casa da scuola perché il 24 e il 25 sono sempre stati uguali agli altri giorni non cambiava assoluta niente. L'unica cosa che rappresentava il Natale era il fatto di rimanere a casa. Più passa il tempo e più il Natale si allontana per molte persone dalla sua vera origine, ovvero festa religiosa. Il Natale è più una festa a sé stante che rappresenta lo stare tutti insieme e farsi i regali, pensieri, stare in famiglia e mangiare. È protagonista l’aspetto della convivialità non sono nella famiglia anche tra gli amici, basta pensare solo alla pratica del Secret Santa. Vedo oggi che anche alcune famiglie mussulmane si ritrovano a “festeggiare” a loro modo, non come farebbe una famiglia cattolica cristiana, ma per i bambini che vivono in questo paese. Quindi fanno magari i regali, appendono le decorazioni per farli sentire non diversi. Ovviamente ci sono persone per cui il Natale rimane privo di significato. Il mio rapporto con il Natale è cambiato per motivi interni e non esterni. Per come sono fatto io mi è sempre piaciuto, mi porto questa cosa dietro da quando ero bambino, sai quando non ti fanno fare determinate cose e pensi appena vado via di casa le faccio. Ecco per me è stato così, una delle cose è stato l’Albero di Natale.”

L’aspetto religioso per me non è contemplato, mi piace l’idea di cucinare, di fare determinate cose, le canzoni di Natale, mi piace l’atmosfera che si crea. Il rapporto non è cambiato crescendo, ma spostandomi ho cominciato a viverlo anche io.
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Muhammad Mustafa Konate

Zelihan Compaore ci racconta di come per lei il Natale sia un mix peculiare di diversi sentimenti. Per Zelihan è interessante rispondere a questa serie di domande, perché è nata il giorno di Natale durante il mese di ramadan, mese sacro per i musulmani e di venerdì che è anche giorno di festa. “Il giorno della mia nascita ci sono queste due festività che si incrociano ed è una cosa interessante che ho sempre buttato sul piatto della conversazione con il mio interlocutore quando calava la palpebra. Questa serie di coincidenze ha segnato di certo il mio rapporto con le festività in generale. Con il Natale ho un rapporto di odio amo perché è una festa cattolica cristiana, ma il fatto che coincida con il compleanno di una persona mussulmana è sempre stato curioso. Nascere a Natale vuol dire non avere nessuno al tuo compleanno perché ognuno è con la propria famiglia, questo mi ha portato ad odiarlo per lungo tempo. Ora nell’ottica di questa dualità personale, mi affascina un sacco. A livello politico vivendo in una società eurocentrica, tutti gli stati si dichiarano laici, ma in realtà il cristianesimo è la religione di riferimento e tutte le altre sono di terza quarta o quinta categoria. Ovviamente il Natale ricopre un ruolo politico, sociale e economico il business che ci sta dietro è enorme.”

Zelihan parlando del suo rapporto con il Natale negli anni spiega una cosa comune a molte persone “Crescendo questo rifiuto di Natale è cambiato, ma comunque quando eravamo piccoli l’atmosfera, il calore di sentivano di più, la voglia di festeggiare l’impazienza di stare insieme, mi sono accorta solo in questi giorni che Natale è alle porte, siamo talmente presi dalle nostre cose personali che il ruolo delle feste è residuale. C’è un distacco maggiore che ora percepisco. Aggiunge inoltre un aspetto importante che ha caratterizzato questi ultimi anni “grazie a internet abbiamo la possibilità di vedere cosa succede nel mondo. Durante questi anni pagine di informazione, blog, siti gestiti da ragazzi africani condividono durante le festività le varie rappresentanza. In Africa c’è “Papà Noel” alla francese, con un vestito lungo africano da preghiera, un uomo nero con i capelli grigi che riprende le fattezze del Babbo Natale che conosciamo anche noi e va in giro a dare i regali.”

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Zelihan Compaore

Anastasiya Avramenko ci racconta invece di essere stata battezzata in chiesa e ha vissuto nel contesto della fede cristiana fino a quando non è cresciuta: “Gli ortodossi seguono il calendario gregoriano, quindi il Natale si celebra il 7 gennaio. La tradizione cristiana prevede anche 40 giorni di digiuno, dal 28 novembre al 6 gennaio. Nella chiesa cristiana, è previsto un servizio religioso tenuto durante la notte, ma in realtà non sono mai stata in chiesa durante il servizio natalizio e non sono mai stata spinta a farlo, anche se la mia famiglia è religiosa e segue tutte le tradizioni. Con il tempo probabilmente mi sono allontanata ancora di più, rispetto la tradizione, ma non la osservo. Non sono religiosa e per me rimane un momento per unirmi alla mia famiglia, un momento per rivalutare e riflettere. Vivo all'estero da quasi otto anni e quando torni a casa tua, è un momento speciale e molto emozionante.”

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Anastasiya Avramenko

Jenny Benincasa ci spiega come personalmente vive in maniera oscillante tra ansia ed eccitazione, da un lato non vede l'ora che arrivino, Natale, Capodanno e la Befana perché sono un periodo lunghissimo di pausa dove si può finalmente stare in famiglia e in teoria non pensare al resto che sia scuola o lavoro, dall’altro le teme. Le ho chiesto di parlarci di come il suo percorso politico abbia cambiato la sua percezione della festa “Politicamente recentemente mi sono resa conto che poter festeggiare il Natale è un privilegio non tutti desiderano festeggiarlo e non tutti la vedono come una giornata di festa perché non tutti possono o vogliono passare il tipico Natale in famiglia con grande cenone in cui si scambiano i regali. È importante tenerlo in considerazione quindi spesso quando mi ritrovo a fare regali cerco di tenere a mente quest'ottica in moda da non fare cose superflue o comunque puramente simboliche, ma qualcosa che possa essere utile nel tempo che magari abbia un basso impatto ambientale. Nella mia famiglia è sempre stato così a meno che non si trattasse di quando eravamo piccolini i regali sono sempre stati regali utili. Io e miei fratelli non abbiamo mai chiesto regali superflui, quest'anno ad esempio io non ho chiesto nulla, l'unica cosa che ho chiesto è un profumo. Il Natale lo percepisco come un momento per stare insieme, la parte che mi piace di più di questa festa è la possibilità di stare insieme a tavola a mangiare.”

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Jenny Benincasa

Una cosa che emerge da questi racconti è come la consapevolezza sia determinante per un cambiamento.

Concludo con le parole di Anastasiya “Sento che al giorno d'oggi c'è più spazio per la conversazione e l'espressione di opinioni. Aggiungerei che questa festa fa anche parte della cultura pop di molti paesi. Il Natale è rappresentato nella maggior parte degli spettacoli in TV e il cinema, ma non corrisponde a come viene celebrato dalla maggioranza delle persone. Una specie di finto sogno natalizio di cui ci siamo nutriti per anni, mentre in realtà ci sono matrimoni tra persone dello stesso sesso, non tutti sono cristiani, e lo stile di vita espresso sullo schermo non è quello della maggioranza, crea solo ansia se non vivi questo sogno natalizio. Non riflette la nostra società, dal momento che il vero significato è aumentare i profitti.”

Una costante di queste testimonianze come ha raccontato Diego è che “Una volta scoperta la finzione della storia di babbo natale, abbiamo spostato l’attenzione dall’attesa del regalo al trascorrere il tempo in compagnia di persone care, non per forza parenti”. Quello che è importante però è raccontare le storie di tutti in un’ottica eterogenea, per anni è stata portata avanti una sola narrativa, ma viviamo in una società multiculturale ed è giusto raccontarne tutti gli aspetti.

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