Le erbe mediterranee selvatiche che la cucina sta ricominciando a scoprire
Come può un umano del XXI secolo riavvicinarsi alle meraviglie celate dietro misteriose praterie di piante selvatiche? Facendole diventare un lavoro.
Piantine, arbusti, bacche e cortecce sono state la ricchezza di popoli passati, sia per le loro possibili proprietà mediche e terapeutiche, sia per il loro utilizzo in cucina. In tempi antichi si mangiava principalmente ciò che si trovava in montagna o in riva al mare, invece di scegliere dagli scaffali di un supermercato. Ed è forse proprio la banalità del “già pronto e confezionato” che ha fatto dimenticare l’esistenza di certi alleati in cucina. Riscoprirli non è facile, perché per attirare la nostra attenzione dovrebbero esserci in qualche modo utili o necessari: per il mal di testa, oggi la corteccia di salice non ha la stessa popolarità della più efficace tachipirina.
Al di fuori di qualche attento botanico, il quale saprebbe riconoscere le più disparate forme di vegetazione, come può un umano del ventunesimo secolo riavvicinarsi alle meraviglie celate dietro a praterie di misteriose piante selvatiche? Facendosi guidare dalla forchetta.
Erbe mediterranee selvatiche in cucina: i paccasassi
Il Crithmum maritimum è comunemente conosciuto come paccasassi e altri numerosi nomi (finocchio marino, spaccasassi, erba di San Pietro, salissia), tanto che viene da chiedersi come sia potuta cadere nel dimenticatoio una specie che ha avuto l’onore di essere definita con così tanti appellativi. I paccasassi sono una pianta erbacea perenne che cresce vicino al mare, insinuandosi tra le spaccature delle rocce, e oltre alla rivalutazione e divulgazione di un prodotto tipico della tradizione gastronomica anconetana (ma decisamente di nicchia!), il nobile intento delle nuove produzioni è la conservazione della biodiversità della riserva del Conero, impoverita dalla raccolta indiscriminata prima che la specie divenisse protetta.
Il mare le conferisce una piacevole sapidità, rendendola una perfetta alleata nei piatti di pesce. Lungo le coste del Mediterraneo e dell’Adriatico cresce con prepotenza, tanto che una volta riconosciuta non si può fare a meno di notarne la diffusione, ma pensare di raccoglierla, sbollentarla e metterla sott’olio non è possibile. La valida alternativa pronta all’uso sono i paccasassi di Rinci, azienda artigianale marchigiana nata nel 2015, nel cuore del Parco del Conero, dall’intraprendenza di Francesco Velieri, Luca Galeazzi e Alessandro Babbini. I paccasassi di Rinci, conservati sott'olio o sotto forma di salse e pesti, si mangiano tradizionalmente con pane e mortadella, come contorno di un secondo di pesce o anche sulla pizza.
Courtesy/Rinci
Erbe mediterranee selvatiche in cucina: la salicornia
Folti cespugli verdi scuro si ergono dritti verso l’alto, vicino al mare: un'erba alofita, anche conosciuta come asparago di mare e inserita nell’Atlante dei prodotti tipici agroalimentari di Puglia, è la Salicornia, pianta più nota e diffusa dei paccasassi nelle cucine mediterranee, ma ancora ben difficile da trovare nell’uso comune. I marinai ne facevano largo uso per prevenire lo scorbuto, e non c’è da stupirsene perché è ricca di vitamine B, C e iodio. Dal sapore piacevolmente amarognolo e pungente, segue un processo di lavorazione simile a quello dei paccasassi: la si raccoglie, sbollenta e mette sott’olio o sott’aceto.
Roccaforte della coltivazione e valorizzazione di questo prodotto è l’Azienda Agricola Turco, fondata da Luigi Turco nei primi anni Ottanta e oggi certificata per la condotta virtuosa in materia ambientale, salute e sicurezza dei lavoratori, nella piccola città di Lesina, alle porte del Gargano. Le acque salmastre del Lago di Lesina, oasi di bellezza estrema nel nord della Puglia, offrono le perfette condizioni per la produzione della salicornia.
Courtesy/La Nicchia
Erbe mediterranee selvatiche in cucina: le foglie di cappero
Paccasassi e salicornia sono erbe mediterranee selvatiche che fanno facilmente ricadere in tentazione una volta assaggiate, mentre altre subiscono una sorte peggiore: l’indifferenza. Le foglie di cappero ne rappresentano un ottimo esempio: del piccolo arbusto si consumano in abbondanza i boccioli e persino i frutti, detti cucunci, mentre le foglie di cappero vengono ignorate da gran parte della popolazione. Un errore cui rimediare: di un colore verde intenso, sode e quasi croccanti, le foglioline più tenere possono dare un contributo acidulo e caratteristicamente sapido ai piatti.
Per fortuna un’ardita azienda le lavora, le mette sott’olio e le distribuisce in barattolini chic che conferiscono a questo alimento nuova dignità, offrendo un piccolo lusso semisconosciuto a portata di mano. A Pantelleria il capperificio che dal 1949 rappresenta una vera istituzione per gli abitanti dell’isola, la “Bonomo & Giglio Srl - La Nicchia Pantelleria”, è l'unica realtà che si impegna a far conoscere la tradizione delle foglie di cappero pantesche nel mondo. Fondata da Antonio Bonomo e Girolamo Giglio, oggi è guidata da Gabriele Lasagni e mantiene al centro la valorizzazione del potenziale delle materie prime dell’isola in purezza, oltre all'attenzione al territorio e al benessere dei suoi abitanti.
Lo sforzo eroico di queste tre aziende va riconosciuto e apprezzato. Nell’incessante frenesia delle novità che il mondo della gastronomia ci regala, i prodotti che vengono dal passato o dall'ombra riscrivono la loro storia, ricavandosi uno spazio di mercato su una strada ancora tutta da esplorare.
(Foto apertura courtesy Rinci)