Grand Tour Sicilia

“L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto”

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La Sicilia è prismatica. Una, tante, infinite facce.

Intanto: la Sicilia è l’isola più grande del Mediterraneo e la Regione più estesa d’Italia. Vanta il primato per le aree naturali protette, con i suoi 5 parchi regionali - Parco fluviale dell’Alcantara, Parco dell’Etna, Parco delle Madonie, Parco dei monti Sicani, Parco dei Nebrodi -, 6 aree marine protette - Capo Gallo, Riviera dei Ciclopi, Egadi, Ustica, Pelagie e Plemmirio -, e 72 riserve naturali.

La Sicilia è la regione d’Italia più ricca di beni artistici e culturali riconosciuti dall’Organizzazione Mondiale UNESCO e conta sette siti - l’area archeologica di Agrigento-Valle dei Templi, la Villa del Casale a piazza Armerina, le Isole Eolie, le città barocche della Val di Noto, Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica, la Palermo araba-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale, il Monte Etna - su un totale di 51 presenti in tutta Italia. La Sicilia è la regione con il sito archeologico più esteso al mondo (Agrigento) e Palermo è la capitale europea dello Street Food.

In Sicilia si può visitare il parco dell’Etna, Ragusa Ibla, la Valle dei Templi, San Vito Lo Capo, la Riserva dello Zingaro, Selinunte, Erice, Ortigia, le Gole dell’Alcantara, il Duomo di Monreale, la Villa Romana del Casale e Piazza Armerina, Palermo, Noto, Taormina e il suo teatro greco, Marzameni, i Faraglioni di Aci Trezza, la Scala dei Turchi, Tindari, le Isole Eolie, Cefalù, i laghetti di Avola, Scicli, Catania, la Scalinata di Santa Maria del Monte a Caltagirone, le Saline di Trapani, Modica, Favignana, Lampedusa, l’Isola delle Correnti, la Riserva di Vendicari.

L’elenco potrebbe continuare a lungo, tra antiche culture e spiagge incontaminate, e non è facile riassumere in poche parole cosa vedere in Sicilia. Terra unica al mondo, circondata dal mare e per secoli meta di conquistatori.

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Le saline di Marsala - Flo P/Unsplash
"Il nuovo spuntare senza che l’antico se ne tirasse via e vi venisse sommerso e dimenticato” - Elio Vittorini

Un duca svevo passato da qui circa ottocento anni fa disse: “Non invidio a Dio il paradiso perché sono ben soddisfatto di vivere in Sicilia”. Aveva dei problemi con il papa, suo educatore, e sapeva come fargli saltare i nervi.

Mentre un arguto medico di Vienna, padre della psicoanalisi, dopo averla visitata nel settembre del 1910 scrisse della Sicilia: “La più bella regione d’Italia: un’orgia inaudita di colori, di profumi, di luci, una grande goduria”.

È vero. Questa terra è un luogo dagli sconfinati spazi mentali e fisici, attraversarla richiede energia e preparazione. La scoperta della sua vera natura dipende dalle attitudini, dalla volontà e dai compromessi che si intendono accettare. Possiamo pensare la Sicilia come un hub con almeno tremila anni di incessante e frenetica attività. La testa di ponte tra Oriente e Occidente dai tempi protostorici e tutt’ora protagonista nel ruolo.

Qui hanno preso casa, con alterne fortune, Sicani, Siculi, Elimi, Fenici e Cartaginesi, Greci, Romani, Bizantini, Vandali, Arabi, Normanni, Svevi, Francesi-angioini, Spagnoli-aragonesi, Asburgici, Inglesi, Sabaudi e… Italiani. Nella consapevolezza che il mondo è pieno di luoghi indispensabili, la Sicilia, a differenza di altri, offre la possibilità di percepirne i mutamenti. Non verso la sottrazione o la sostituzione, ma con aggiunte stratificate. Vi si vede, citando Elio Vittorini, “il nuovo spuntare senza che l’antico se ne tirasse via e vi venisse sommerso e dimenticato”. Cosa assai rara.

Questa premessa è importante per comprendere i desideri e l’entusiasmo dell’élite aristocratica europea che, dal Rinascimento in poi, bramava di nutrirsi della cultura latina e di quella greca. E che perciò trovava nel Sud Italia un contenitore di conoscenze illimitate.

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Isola di Ortigia - Jacob Buchhave/Unsplash
“Viaggiare in Italia senza vedere la Sicilia sarebbe come fermarsi nell’atrio di un palazzo senza ammirane gli interni” - Albert Jouvin de Rochefort

Sebbene i racconti più pregevoli di viaggi attraverso la Penisola ci siano giunti da autori del XVII e XVIII secolo, un’epoca impregnata di Neoclassicismo e di Illuminismo, il pellegrinaggio a Roma ha radici medioevali. Divenne poi l’occasione per visitare altre città, come Milano, Venezia, Bologna e Firenze, e per inseguire il sogno “classico” fino al Sud e in Sicilia. L’idea era quella di un museo a cielo aperto dall’aspetto bucolico con pecorelle e pastorelli. La povertà di molte parti dell’isola e i pericoli del brigantaggio, mai scomparso dai tempi delle guerre servili contro Roma del II secolo a.C., non scoraggiavano i viaggiatori, anzi, aggiungevano al Grand Tour il gusto dell’avventura. Nel contatto con gli ospitanti, un patrimonio straordinario di ingegno, usanze e sapori.

Sebbene siano numerosi i casi precedenti, ad esempio quello di Pieter Bruegel che dipinse lo stretto di Messina nella Caduta di Icaro (1558 circa), la vera e propria moda del viaggio iniziò nel Settecento. Era il coronamento della lunga e faticosa istruzione da gentiluomo che doveva intraprendere ogni giovane intellettuale che avesse voluto definirsi tale. A tutti i costi. Leggere Omero e Virgilio e vedere con i propri occhi - senza foto, video o geotag - i luoghi degli eroi, generava emozioni impareggiabili.

La ricchezza dei resoconti fu lo specchio della cultura personale e degli interessi dei viaggiatori, letterati, pittori, incisori, musicisti e studiosi. Bellissime le vedute pittoriche dei tempi greci di Segesta e Agrigento, dell’Etna, di Taormina. Queste ultime - quasi delle cartoline di viaggio - produssero nuovo stimolo e motivo d’interesse. La rappresentazione artistica delle rovine di un mondo classico dimenticato ebbe, nei salotti di Londra, Parigi e Weimar, un effetto epocale: la nascita del turismo.

L’espressione “Grand Tour” si diffuse con Richard Lassels, un reverendo cattolico che era tutore presso alcune nobili famiglie inglesi. Venne in Italia ben cinque volte, e la sua opera chiave fu pubblicata nel 1670 a Parigi. In Voyage or a Complete Journey through Italy sostenne che i “giovin signori” avrebbero dovuto compiere un “Grand Tour” per comprendere la politica, la società e le economie. L’espressione, nata un ventennio prima, si contrapponeva al “Petit Tour” che riguardava solo Francia, Germania, Austria e Svizzera, mentre il “Grand” includeva appunto l’Italia.

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Tempio di Selinunte - Michele Bitetto/Unsplash
“L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto” - Goethe

L’attenzione al Sud e alla Sicilia divampò attorno al 1740 con Carlo III di Borbone e i ritrovamenti di Ercolano e Pompei. La febbre archeologica percorse tutto il continente. Di lì a poco la città di Selinunte, scoperta da un frate domenicano due secoli prima, iniziò ad essere visitata con assiduità.

Il legame emozionante di Goethe con l’isola emergerà in numerose circostanze, consapevoli di avervi raggiunto la maturità estetica e intellettuale. Il suo celebre aforisma “L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto” fu scritto il 13 aprile 1787 a Palermo. La città era la sintesi definitiva delle civiltà: città greca e fenicia per le origini, romana per i mosaici delle sue ville e per le guerre contro Cartagine, araba per i giardini e per le moschee, normanna per gli Altavilla che ricostruirono chiese e palazzi, tedesca per Federico II, spagnola per Carlo V.

Una delle citazioni più belle resta comunque quella del viaggiatore e cartografo francese Albert Jouvin de Rochefort, precedente a Goethe, che affrontò con coraggiosa passione un Grand Tour attraverso tutta Europa. La Palermo barocca di fine Seicento, in confronto alla Roma del Bernini, gli farà scrivere nel suo Voyage d’Italie et de Malthe del 1672: “Viaggiare in Italia senza vedere la Sicilia sarebbe come fermarsi nell’atrio di un palazzo senza ammirane gli interni”. Forse intendeva riferirsi anche al piacere della tavola, se è vero che per descrivere la Valle dei Templi si espresse così: “Immaginatevi una collina che da ogni lato è coperta di ulivi, vigne, mandorli, grano superbo che al sette di aprile fiorisce nella sua pienezza e legumi di ogni sorta. E, nel mezzo di questa campagna, il cui paesaggio rapisce, si erge il bel tempio di Juno Lacinia, quello ancora in ottimo stato della Concordia e i resti del colossale tempio dedicato a Zeus”.

Eh si. Forte di una tradizione gloriosa e di una ricca e diversificata produzione agricola, la Sicilia ha sempre espresso la propria identità davanti ai fornelli. Cucinare certe pietanze restituiva la dignità e le libertà negate. Negli ultimi cinquant’anni la cucina siciliana è dilagata lungo tutto lo Stivale ed è arrivata perfino a Londra, dove fino alla metà degli anni Sessanta non esisteva un ristorante siciliano. Oggi, arancine e cannoli si vendono nei caffè delle stazioni ferroviarie. E sono quasi buoni.

(Foto di apertura Unsplash/Samir Kharrat)

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Valentina Locatelli/Unsplash
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