E’ naturale sviluppare pregiudizi, ma nobile è elevarsi al di sopra di loro. Francesco Alagna ha provato a sradicare il marsala dalla ristretta cerchia di vino da dessert ed ergendolo a bevuta conviviale a tutto pasto.
E’ naturale sviluppare pregiudizi, ma nobile è elevarsi al di sopra di loro. Come la posidonia sulle spiagge della Sicilia, i pregiudizi sono infestanti, in continua crescita e espansione. Si attaccano alle persone, come ai fondali, impedendoci di vedere oltre la superficie dell’acqua. Oltre le apparenze ed il bello sconosciuto. Un bello che può essere anche seducentemente buono e goloso.
Un esempio calzante di pregiudizio paraocchi per gli Italiani è quello sul bere. Sul cosa bere in relazione al cosa mangiare e al momento della giornata.
Caffè a fine pasto, bollicine all’aperitivo, rosso a temperatura ambiente per la carne e bianco ghiacciato per il pesce. E poi c’è lui, il vino dolce, relegato a momento ultimo di un pranzo, tra un cantuccio e una fetta di torta di troppo. E qual è la patria per eccellenza del vino da dessert se non lei, la Sicilia, l’isola più grande dell’Italia, gloriosa fucina di popoli e tradizioni gastronomiche intrecciate.
Proprio qui infatti prende vita un prodotto poco ruffiano, controcorrente rispetto ai dolcissimi passiti e dessert a base di ricotta: il Marsala, un vino liquoroso, fortificato, che ha reso famosa in tutto il mondo una provincia dimenticata, crocevia di Fenici, Greci e Romani.
Il Marsala non è banale, non è semplicemente dolce, anzi. E’ una carta d’identità complessa e articolata della storia siciliana, sigillo della nascita di una tradizione che ha impresso nell’anima coordinate geografiche e temporali lontane ma ben definite.
Basta un nome a unificare gli indizi prova della sua nascita: John Woodhouse, illuminato mercante di Liverpool che nel 1773, in seguito ad una tempesta, ripara nell’allora porto delle Tartane di Marsala. Qui, in una bettola, assaggia il vino locale, dei contadini: il Perpetuum. Un solo sorso e Woodhouse se ne innamora al punto da decidere di spedirne alcune botti in Inghilterra. Per evitare che esso deperisse e per elevarne il tenore alcolico, lo fortifica aggiungendo una buona dose di acquavite.
Nasce così il Marsala, la sua produzione e commercializzazione, amplificata poi dall’ingresso in campo delle Cantine Florio che gli conferiscono lustro e gloria.
Eppure questa fama risulta come circoscritta ad un unico attimo della giornata, che segue il salato e precede di poco il caffè. Una spia di vita, che non rende merito alla bontà di un prodotto sempre più sottovalutato e paragonato a Porto e Sherry.
Essere grandi e non essere apprezzati, conosciuti per come si dovrebbe non è cosa facile da accettare. E sul Marsala, a ribellarsi a questa schiavitù a cui risulta ingiustamente sottoposto, c’è un uomo, un Woodhouse siciliano, che, a ragion veduta, ne decanta la bontà e duttilità.
Il suo nome è Francesco Alagna, marsalese doc, che assieme alla moglie Anna Ruini, nel 2013 apre in città una bottega con cucina, Ciacco Putia Gourmet. Ciacco, termine non autoreferenziale, non diminutivo di Francesco, ma memoria e omaggio a quell’omonimo personaggio dantesco che gira tra i Golosi dell’Inferno. Inferno dentro la Putia, Paradiso nella vicina Chiesa di Santa Cecilia e Purgatorio per il nome della piazza dove affaccia la struttura. Un casuale gioco di incontri che già rende curiosa ed effervescente questa realtà.
Perché tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, questa piccola “putia”, termine siciliano per definire la bottega, con cucina, ma anche vineria annessa, si pone come luogo di convivio dove si mangia la cucina siciliana dimenticata, quella della nonna, accanto a proposte di vino di nicchia.
Racconta Francesco che, lasciato il lavoro da consulente sanitario a Milano, torna nella sua terra e, senza saper cucinare, tira su le serrande della sua bottega. Un buon naso, gusto e senso estetico lo portano a definire una proposta centrata che punta alla qualità e alle ricette delle nonne, come la pasta “a Frocia”, ossia una pasta a frittata.
Ma non era abbastanza. Francesco voleva rivoluzionare il modo di bere degli italiani. Parlare di Marsala a 360 gradi, farlo entrare a gamba tesa nei pranzi dei suoi clienti. Così inizia a viaggiare, visitare cantine e colleziona fino a 50 etichette di Marsala di oltre 15 produttori da proporre in abbinamento a molteplici percorsi degustazione. Quando andrete da Ciacco Putia non sentirete parlare di cantine ma solo di Marsala. Nessuna sponsorizzazione, amicizia, ma solo gusto obiettivo, esplosivo.
Modificandone il metodo di beva e servendolo fresco, Ciccio vi farà assaggiare uno spartito di Marsala, dal Fine al Vergine passando per il Superiore Riserva ed il Secco raccontandovi il metodo di produzione, i tempi di maturazione ed il gusto, non necessariamente dolce. Non un percorso monotono ma una climax ascendente che copre tutto il pasto, dall’antipasto di crudo di pesce alla torta al cioccolato extrafondente.
Si inizia con il Marsala Vergine, conosciuto anche come Soleras, - Le Terre della Casa Vinicola Arini accanto ai gamberi di Mazara, crudi e appena conditi con pepe rosa. Lo stesso olfatto e gusto suonano bene accanto a duecento grammi di burrata insaporita da alici di Sciacca, scorza di limone e basilico. Un bicchierino, pochi millilitri in cui sono concentrati gusti pungenti, floreali, ottimo pretesto per approfondire le metodiche di produzione di questo vino.
Vendemmia, vinificazione e poi riposo in botti accatastate su più file poste una sopra l’altra: gradualmente il vino passa da un livello superiore a uno inferiore, si riduce, si ossida e si concentra. Poi viene prelevato e imbottigliato e così il ciclo continua all’infinito. Vergine in questo caso perché il Marsala basta da sé, non c’è aggiunta di mosto cotto, acquavite o mistella, ossia acquavite e mosto d’uva mescolati.
Un sorso non stucchevole, secco e morbido, che riassume caramello, miele, frutta secca, completa la carnosa dolcezza del crostaceo e stimola al bicchiere successivo.
Di Marsala Superiore S.O.M. DOC delle Cantine Mirabella si tratta, dalle suggestioni di agrume, anice e spezie, invecchiato oltre due anni in fusti di rovere. Complesso e potente lui tiene testa a una batteria di arancini creativi che toccano tinte vegetariane, ittiche e carnivore tra melanzane, triglie e manzo.
Si sale di livello con due grandi classici che si incontrano: le busiate con sarde e finocchietto selvatico e il Vecchio Samperi di De Bartoli.
Una pasta leggendaria in Sicilia, eseguita in bottega in modo millimetrico. Sapida, balsamica e profumata di finocchietto che Francesco e Anna propongono anche nella loro seconda attività “Busi.ate - Pasta siciliana da Passeggio”, un format in espansione che, per ora solo a Marsala, vende busiate da mangiare on the go con sughi della tradizione.
Fulminante e perfetto in abbinamento è il Vecchio Samperi di De Bartoli, realizzato tramite il metodo “in perpetuum”, un sistema di travasi di piccole parti di vino di fresca produzione in botti con vini già invecchiati, similmente al sistema Solera.
E poi c’è il Marsala Rubino “Uncle Joseph” di Pellegrino, rosso, molto fruttato, ottenuto da uve Nero d’Avola e affinato per oltre 24 mesi in grandi botti di rovere. Profuma di amarene e frutta rossa in confettura e regala un sorso morbido, dolce, zuccherino e fruttato. Con lui si affonda il cucchiaio in una densa torta al cioccolato extrafondente senza farina, che completa la degustazione in modo classico, come da pregiudizio.