Gianfranco Pascucci è uomo di mare, con una rara sensibilità, sconosciuta spesso alle sue generazioni. Cuoco autodidatta di quelli che non ne nascono più. Lo si trova da sempre a Fiumicino, nella riserva naturale del Litorale romano.
Significa "in mezzo alle terre" e gli antichi romani lo chiamavano "Mare Nostrum", per noi è semplicemente il Mediterraneo. Quanti di voi sanno che dipende dall’Oceano Atlantico? È un mare caldo perché pieno di terre, di gente. Lo attraverseremo, ne toccheremo porzione ben precise: il Tirreno, l’Adriatico, il Mar di Sicilia. Daremo voce a tre interpreti indiscussi della cucina italiana, della cultura mediterranea. Figli del mare che si sono distinti ognuno per un aspetto ben preciso.
Gianfranco Pascucci è uomo di mare, con una rara sensibilità, sconosciuta spesso alle sue generazioni. Cuoco autodidatta di quelli che non ne nascono più. Lo si trova da sempre a Fiumicino, nella riserva naturale del Litorale romano. Qui la sabbia è un po' scura ma il mare azzurro è sempre calmo grazie alla barriera creata dalla darsena. Lui cucina d’istinto, riduce i coperti, rispetto a ciò che nonno Gianfranco faceva anni prima nello stesso ristorante. Si cuce sul petto la Stella Michelin e fonda assieme ad altre 12 realtà locali Periferia Iodata, associazione no profit che promuove il patrimonio enogastronomico e la cultura agroalimentare di Fiumicino.
Chef, che rapporto hai con il mare?
Neanche me lo domando più. Lui fa parte di me e io vorrei sempre far parte di lui. Il rapporto è simbiotico. Sono nato a Fiumicino e anche quando sono andato via, per fare le mie esperienze lavorative ho sempre cercato il mare. I miei sport preferiti riguardano il mare, amo il surf e mi piace cucinare il pesce. Mi nutro di lui.
Quanto la vicinanza del mare ha influito sulla formazione dell’uomo e dello chef?
Se è vero che la vicinanza con i luoghi, oltre che con le persone, formano un carattere, direi ha influito in maniera determinante. Tutto quello che cerco di riportare al ristorante sono le esperienze che vivo quotidianamente con il mio mare. Il Gambero rosso al sale è figlio di una mia esperienza di vita, ricordo la pineta che brucia e io che faccio surf e sento un profumo tutto nuovo. Ho provato a ricreare le armonie del mare che passano attraverso un gusto che non è più salato ma iodato. La ricerca è costante, non lascio andare mai lo iodio, è lui che ti dà la sensazione di passeggiare vicino all’acqua.
Fiumicino, terra di mare.
A Fiumicino c’è una pesca importante, la materia prima non manca, l’asta del pesce fa parte della vita quotidiana.
Negli anni mi sono interrogato sulle differenze che ci sono tra il mare e l’acqua di mare. Il mare è tutto quello che influenza la terra bagnata dall’acqua, è il profumo degli scogli, della spiaggia ma anche della prima duna che incontri, del salmastro di Maccarese, area poi bonificata. Sensazioni straordinarie quando il blu si fare verde.
Per tornare alla domanda precedente, il mare influisce anche sui pomodori coltivati vicino a lui, come su tutto il resto delle coltivazioni. Sui vini e da qui nasce la nostra scelta di costruire una carta dei vini del mare, parliamo di aziende che producono vini eroici, frutto di vigne a strapiombo sul mare. Gente che porta fuori le uve ancora con l’asino. Il mare fa la differenza e non è solo acqua ma un ecosistema che gli ruota intorno.
Andiamo per obiettivi. Quali sono i suoi?
Interagire con la materia senza stravolgerla. Quando hai a che fare con un pesce super fresco diventa complicato non rovinarlo. Devi fare un lavoro diverso che quasi nel piatto non vedi. Ma se sei un appassionato o semplicemente sei attento capisci che dietro c’è un grande lavoro.
La ricetta non parte quando metti il pesce in padella, ma quando lo compri. Nell’acquisto hai già la diversità tra un pesce appena pescato e uno che ti arriva in cucina dopo tre giorni passati nel ghiaccio. Poi arriva al ristorante e inizi a trasformarlo. Lo lavi con l’acqua dolce, il fegato che ci faccio, gli scarti come li utilizzo e poi la lavorazione della carne, la cottura e gli abbinamenti. Non mi interessa studiare contrasti arditi che mi fanno passare in secondo piano il pesce.
Il Mare è selvaggio, è natura… non lo contieni ma la cucina, i cuochi riescono in qualche modo a concentrarlo e a raccontarlo. Che forme ha la tua cucina?
Si adatta ai ritmi del mare. Una volta è quieta, una volta c’è burrasca, o incontra gli scogli, la palude e il salmastro. Una volta è una cucina figlia del mare di pesci viaggiatori, fatto solo di acqua. Il pescato è dinamico e va studiato attentamente. Se un calamaro è termoresistente, sfrutterò questa sua proprietà.
Idealmente sei l’alfiere di una porzione di Mediterraneo. Tu, sei sul Tirreno. Qual è la filosofia, la storia di quel mare ancor prima dei tuoi piatti.
È un mare estremamente frequentato, denso di rapporti umani. Un mare che serviva per unire, ma abbiamo anche l’Agro Pontino. Ecco perché ho sempre cercato di unire il mare, alla terra. Avere un contadino che un pezzo di orto lo fa per noi, vuol dire pescare a terra invece che nel mare. Da qui nasce il forte coinvolgimento tra il vegetale e il mare.
Rappresenti la sensibilità ai temi della sostenibilità a tutto tondo (vedi piatti come Mare di Plastica o iniziative come Periferia Iodata). Da dove arriva questa sensibilità?
Dal rispetto del mare. Si parla tanto si sostenibilità, della plastica che inquina i nostri mari e non solo loro ma oggi mi sento in diritto di poterne parlare perché io c’ero arrivato un bel po’ di anni fa. Quando da ragazzino andavo a giocare al mare a Coccio di Morto, mi sentivo come un Robinson Crusoe in mezzo a tutta quella plastica, abbandonata, quei palloni sgonfi, quelle racchette sbilenche. Poi cresci e capisci che tutto quello è un problema.
Un Mare di Plastica nasce da ragazzini che giocano a fare i castelli di sabbia nera, li è ferrosa la sabbia, in cui nel mezzo svolazzava sempre la plastica. Quel bambino ci giocava con quella roba lì, e anche noi adulti, in qualche modo lo facciamo. Sapete quanta ne mangiamo? È un piatto che vuole farsi simbolo di una protesta, è il segnale che tutti possono fare qualcosa nel loro piccolo per portare all’attenzione della gente i veri problemi che oggi attanagliano il mondo. Un cuoco ha l’obbligo, di esprimere qualche concetto nei suoi piatti che vada oltre il semplice sfamare la gente.
Un paradosso.
Se noi, in Italia, spendessimo il doppio sulle cose che costano poco avremmo una qualità assurda. Se un pomodoro che costa due euro, lo pagassi tre, quattro euro avresti un prodotto pazzesco e non credo che quell’euro dia difficoltà al ristoratore se c’è un cuoco in grado di valorizzare quella materia prima.
Il tema degli scarti ha senso fino a un certo punto, non basta prendere un pomodoro e non buttare via nulla. Non è quello il senso. Almeno non solo quello. Devi dare forza a un contadino che fa le cose fatte bene, devi tutelarlo, dargli economia. Tutto ti torna poi nei sapori che avrà quel benedetto pomodoro. È così che crei il tuo territorio, le connessioni. Ora immagina questi ragionamenti su grande scala.
È una questione culturale, territoriale. Abbiamo la possibilità di accendere il computer e vedere cosa accade nel mondo, capire ogni tecnica con un po’ più di attenzione, quindi ad oggi cosa manca? L’identità. È lei la chiave, ciò che ti rende unico.
Ho fatto l’ultima lezione all’Alma senza dare ai ragazzi le ricette. Erano sconfortati. Gli ho chiesto se preferissero capire cosa stessi facendo o avere le mie ricette. Che comunque gli sarebbero arrivate giorni dopo. Cambiamo approccio. Andiamo oltre.
Periferia Iodata è figlia di tutto questo?
Periferia vuol dire da sempre limite, per noi invece è un nuovo accesso. Adesso le periferie stanno portando realtà alle città mentre prima le città disgregavano le periferie.
Cosa rende destinazione un ristorante?
Una serie di cose. L’abnegazione dello chef, l’idea chiara di quello che ti aspetti da quel posto, la capacità di rimanere fedeli a sé stessi, di raccontare un territorio, interpretarlo.
Chi vive sul Mediterraneo, si nutre degli stessi ingredienti: a distinguerci, sono le nostre usanze e le nostre tradizioni.
Le tradizioni sono cose che hanno funzionato e sono diventate tali ma se il mondo cambia, cambieranno anche loro. Capiamo perché l’alice marinata è diventata tradizione. Quello ti fa capire da dove nasce un territorio e da lì puoi creare, inventare le tue tradizioni. Servono nuove forme di espressione. Va bene il piatto di nonna, come vanno bene i film di Fellini ma impegniamoci a costruire nuove tradizioni e nuovi capolavori.