“Giustizia climatica subito!”

È stata questa la richiesta di migliaia di attivisti provenienti da tutto il mondo per il meeting europeo dei Fridays for Future, che hanno sfilato in corteo per le vie di Torino lo scorso 29 luglio.

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Provenienti da 45 Paesi del mondo, i ragazzi di Fridays for Future erano più di un migliaio, hanno percorso la città, tra musica e slogan per l’ambiente per combattere la crisi climatica. 

Perché proprio Torino? Perché detiene il triste primato di città con l’inquinamento più alto d’Europa. Si stima che ogni anno muoiano 900 persone (più di 1 su 1000) per patologie legate all’inalazione costante di polveri sottili e Ossido di azoto. Il Piemonte sta inoltre vivendo un momento di gravissima siccità e di carenza di neve sulle Alpi, diretta conseguenza del riscaldamento globale, a causa della quale rischiamo un’importante carenza di risorse idriche nei mesi estivi.

Nei cinque giorni che sono stati dedicati all’ambiente, dal 25 al 29 luglio, si è tenuto contemporaneamente anche il Climate Social Camp, un vero e proprio campeggio-assemblea al Parco della Colletta, in cui si è discusso di temi ambientali e studiato strategie di lotta, per poi portare tra le vie del centro cittadino le istanze comuni. La crisi climatica ed ecologica che stiamo vivendo è ormai la priorità di tutti e la più grande minaccia alla vita a cui noi umanità e il Pianeta siano mai andati incontro. Le sfide che questa crisi impone sono grandi, le urgenze che ne conseguono sono molte e complesse. Durante il Climate Social Camp, afferma uno dei rappresentanti di Fridays For Future di Torino, Giorgio Brizio, classe 2001, “Abbiamo la necessità di sviluppare un pensiero e un agire ecologico nella sua totalità, che sappia cogliere le crisi nella crisi, che non si possono riassumere solo con dati numerici ed end points, ma che sappiano far fronte alle esigenze sociali di tutta la popolazione globale nel rispetto delle peculiarità locali”.

Sempre di più si sente l’urgenza di dialogare con persone, gruppi, collettivi e storie differenti che raccolgono e restituiscono, attraverso prospettive diverse, i danni che questo sistema socio-economico produce. La crisi eco-climatica è una crisi sociale, migratoria ed economica che colpisce in modi ed intensità diverse le diverse fasce della popolazione, prime fra tutte le categorie oppresse: i popoli del Sud del mondo, le classi sociali più povere, le persone migranti, le donne, le persone LGBTQI+, le persone con disabilità.

La chiamata ad agire “ora” è l’unica soluzione proposta dai giovani attivisti contro l’indifferenza e la volontà dei governi di scaricare verso il basso i costi di questa crisi, a partire dalla vita di tutti i giorni, con il caro energia e il carovita, la privatizzazione di risorse essenziali, l’impiego di fondi pubblici per la costruzione di basi militari, per armamenti bellici ed energie fossili, la mancanza di politiche sociali ed ecologiche. Un’ azione congiunta affinché le istituzioni si impegnino per invertire il cambiamento climatico e al contempo sostenere le categorie più colpite.

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“Non abbiamo tempo” e “JOIN THE FIGHT” sono state le richieste urlate a squarciagola. Pur essendo un meeting europeo, è stato dato grande spazio ai MAPA, acronimo che indica le comunità e le aree più colpite dalla crisi, soprattutto nel sud del mondo. Contrariamente a una visione globalizzante e livellante, essa non agisce su tutti allo stesso modo: i suoi effetti sono vissuti in maniera ineguale e amplificata in contesti dove mancano le possibilità e le risorse materiali per contrastarla. Coloro che hanno contribuito in misura minore all’attuale catastrofe ambientale, saranno i primi a pagare il prezzo più alto.

Il termine MAPA si riferisce principalmente ai Paesi del cosiddetto Sud del mondo insieme alle comunità marginalizzate, ovunque esse vivano, in un’ottica intersezionale che evidenzia come le varie identità politiche, culturali, sociali di una persona possano creare un sistema di privilegi e discriminazioni che aggravano le condizioni delle comunità marginalizzate.

Secondo il rapporto dell’IPCC dell’ONU, che ha definito l’attuale situazione un “codice rosso per l’umanità”, eventi climatici estremi come la siccità che sta colpendo l’Angola, le forti inondazioni che interessano le aree del Pakistan, India e Bangladesh e le tempeste tropicali come quella che ha investito Haiti saranno sempre più frequenti. Se a ciò si aggiungono poi le azioni di distruzione ed espropriazione sistemica di territori abitati dalle popolazioni indigene, come sta avvenendo in Amazzonia, il quadro è allarmante. 

Persino in Italia, soltanto nel 2022, sono stati registrati 132 eventi climatici estremi in 7 mesi, il numero più alto dell’ultimo decennio. E se i negazionisti affermano che si tratta solo di un normale ciclo dell’andamento climatico e una fase transitoria, le statistiche non fanno che smentire queste tesi con dati sempre più preoccupanti. Come arginare a livello sistemico tutto ciò? E’ la domanda che ci poniamo per cercare di non agire solo come singoli, ma come collettività e soprattutto a livello di establishement.

A tal proposito, anche la campagna elettorale in corso in Italia è stata uno dei temi più “caldi” trattati al Climate Social Camp e al meeting di FFF; infatti, quelle del 25 settembre, saranno le prime elezioni climatiche e sarà proprio il movimento per il clima in Italia a confrontarsi per la prima volta con le forze politiche e poter fare la differenza. Nessun partito al momento riesce a farsi portavoce credibile e in grado di sostenere azioni concrete, per questo motivo non ci sarà un endorsement diretto da parte di FFF. «Il nostro voto ve lo dovete conquistare» diceva uno dei tanti cartelli durante il corteo - la ragazza che lo trasportava era giovanissima - la gen Z, infatti, sarà la prima volta in cui sarà chiamata a esprimere il proprio voto. Il voto dei giovani ambientalisti sarà uno dei tabù delle prossime elezioni di settembre, ma ecologia giovanile e partiti italiani oggi sembrano parlare due lingue completamente opposte, che sembrano non trovare punti di incontro.

Sarà il primo voto della vita anche per Giorgio Brizio, attivista e rappresentante di Fridays for Future a Torino, che ci ha raccontato come ha vissuto la prima grande manifestazione di FFF dopo la pandemia e le sue previsioni climatiche future.

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Come valuti l’esperienza di Fridays for Future a Torino, nella tua città, dopo due anni di stop dall’ultimo FFF meeting europeo, di Losanna 2019?  

“Devo dire che siamo tutti molto soddisfatti, penso che siamo riusciti a far arrivare la nostra voce anche a chi spesso fa finta di non sentirla. – Molto interessante è stato il Cimate Social Camp, perché è stato un esperimento politico e sociale con tantissime altre realtà, oltre a Fridays for Future, che non si occupano nello specifico di clima, ma che credono che l’emergenza climatica sia un’urgenza assoluta e quindi è stato bello creare un’alleanza attorno a questo tema.” 

Cosa vuol dire per un ragazzo così giovane come te essere una delle figure cardine di FFF a Torino ed essere stato parte della regia della realizzazione di questo grande evento? 

“E’ stata per me una grande sfida, non tanto per le conferenze al Campus Luigi Einaudi - dove si è dialogato con le Università, il territorio, gli ospiti che hanno partecipato - che sono state relativamente semplici perché contenute nei numeri e ben autogestite; più complesso è stato invece il Cimate Social Camp, per il pubblico spettacolo, la parte più tecnica (dalla SIAE, all’occupazione di suolo pubblico, etc) sono state un grande impegno, tanta esperienza maturata e poi, quando vedi che il risultato è stato raggiunto e si concretizza, è la chiave che porta tanta soddisfazione e voglia di continuare ad impegnarsi.”

Che futuro vedi per il nostro Paese in termini di sostenibilità? 

“Andiamo a votare il 25 settembre, e noi di FFF avevamo già deciso circa un mese fa di fissare la nostra data per il Global Social Strike il 23 settembre. Le prossime elezioni saranno fondamentali, le prime elezioni climatiche, e non ti nego che le premesse sono molto negative;  sappiamo che l’andamento politico è molto desolante e ormai resta poco tempo per cambiare le carte in tavola.”

Con FFF stiamo cercando di organizzarci per settembre creando un’alleanza, che può definirsi “eco-trans-femminista” che va dalle organizzazioni come Green Peace e Lega Ambiente, ai collettivi come Ecologia Politica, Acmos, Mediterranea, Slow Food - e tante altre -, proprio per dimostrare che a differenza di quanto accade a livello politico, a livello di società civile c’è grande collaborazione, grande unione di intenti e di visione di un percorso comune.”

Chi pensi possa essere il portavoce ideale e meglio rappresentare il vostro movimento?

“Tu mi chiedi di citare una persona sola, ma la caratteristica di FFF e degli altri movimenti per il clima è il non avere un leader, almeno politico; noi ci riconosciamo in modo incontrovertibile con Greta, che oggi rappresenta più un simbolo, perché non è mai stata lei a dettare un indirizzo; ci sono tanti casi che meritano di essere raccontati e che in tutt’Italia stanno prendendo piede, noi abbiamo 8 portavoce di FFF a livello nazionale e possono essere un buon compromesso per avere dei volti che siano riconoscibili, ma allo stesso tempo mantenere il più possibile la nostra organizzazione orizzontale e non piramidale.”

A proposito dell’Overshoot day, che ogni anno si anticipa, pensi che si possa ancora fare qualcosa? 

“Purtroppo arriva sempre prima, come la siccità e tanti altri fenomeni, come la pioggia torrenziale a cui ci stiamo ormai abituando da qualche anno; c’è ancora speranza? Sì - Riusciremo a scampare al collasso climatico? Forse no. -  Io, che mi occupo principalmente di Mediterraneo, comprendo che ogni decimo di grado che risparmiamo, o tutte le azioni che portiamo avanti per salvare vite in mare, tutto ciò contribuisce ad aiutare le persone vittime da cambiamento climatico. Lanciamo l’appello e l’hashtag del prossimo global strike di FFF che è “PeopleNotProfit”, perché le persone vengano messe prima del profitto. Il 23 settembre sarà anche in concomitanza di un altro evento importante che è Terra Madre al Salone del Gusto l’evento biennale organizzato dal movimento Slow Food fondato da Carlo Petrini, grazie a ciò, ci sarà una grande convergenza anche con i loro delegati, e si sa che l’unione fa la forza!”

Un consiglio agli amici di Tuorlo Magazine?

“Bella domanda! Beh, io non sono vegetariano, sto andando però in quella direzione e come Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, diceva di ridurre almeno del 50% l’impatto della carne, mi sembra che ridurre il suo consumo sia un consiglio molto semplice, ma efficace!”

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