Gli hamburger vegetali iniziano a germogliare in Italia.

L'Italia, patria della pasta, della pizza e di decine di altri iconici piatti regionali, ha conquistato una nuova vetta gastronomica: l'hamburger.

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Una conquista che viene da lontano. Tutto ebbe inizio negli anni ’80, con la cultura del giovane paninaro urbano. I paninari, che indossavano piumini Moncler e scarpe Timberland, erano fieri di questo soprannome. Il ritrovo con gli amici era di fronte alle sempre più numerose catene di fast food di Milano, orgogliosamente in sella alle loro moto Zündapp o ai loro Ciao della Piaggio. La catena Burghy, che arrivò ad aprire 90 ristoranti in tutta Italia, proponeva sette tipi di hamburger. Il suo menu a base di patatine fritte, crocchette di pollo, insalate e milkshake ha poi spianato la strada per McDonalds, che ha finito per rilevare la catena Burghy all'inizio degli anni 2000.

Oggi l’hamburger italiano ha raggiunto vette ancora più alte. E con soffici bun alla barbabietola, spread all’avocado e maionese vegana, ecco che in Italia è comparso sulla scena niente meno che l'hamburger vegetale.

Gli italiani hanno spesso contestato le discutibili modalità di approvvigionamento e le ripercussioni sull’ambiente e sul benessere degli animali delle pratiche di McDonalds, che ora vanta ben 6000 locali in tutta Italia. I giovani chef emergenti italiani offrono però un’alternativa alle grandi catene di fast food che operano su larga scala. E questo grazie non solo a sapori creativi, contorni unici e alternative sane: è l’hamburger vegetale il vero protagonista, che gli chef emergenti stanno facendo proprio.

I nomi farebbero trasalire chiunque negli Stati Uniti: Mama Burger, 212 Hamburger & Delicious, Burgez, Ham Holy Burger, Hamerica's e Flower Burger. Ma è un cibo senza pretese, pensato per il gusto in continuo divenire dei milanesi che amano i burger e, finalmente, la cucina vegana.

Dopo aver letto Diet for a Healthy Planet all’università (sì, è stato scritto prima di The Omnivore’s Dilemma di Michael Pollan), ho iniziato a seguire una dieta “prevalentemente vegetariana”' mentre vivevo a New York, nel quartiere di Brooklyn, dai miei trent’anni fino a quando non mi sono trasferita in Italia. Da quel momento cambiò tutto. Schiacciavo letteralmente il naso contro le vetrine. Impazzivo per i salumi perfettamente allineati, per il numero infinito dei diversi tagli di carne. Facevo la spesa in macelleria come se fossi stata una bambina in un negozio di caramelle. Ho innaffiato il Culatello di Zibello con il vino rosso per un mese intero, in un vero e proprio rituale notturno. Quando mi resi conto che nel Nord del paese si mangiava presumibilmente più carne, scoppiai letteralmente di gioia. Feci mia questa nuova cultura gastronomica e la portai in tavola. Ho provato il risotto alla milanese con l’ossobuco, con buona pace delle mie arterie ostruite dal grasso del midollo. Ho divorato la carne cruda al tartufo bianco in Piemonte. La mia pressione arteriosa aumentava sempre di più e proporzionalmente cresceva anche la mia voglia di cibo più sano. Ho cominciato a sentire la mancanza della miriade di opzioni vegetariane che la vita di New York mi poteva offrire. All'apertura di nuovi ristoranti a Milano, mi sono chiesta se l'hamburger a base vegetale potesse colmare il vuoto lasciato dai sani piatti americani di cui tanto avevo nostalgia.

L'hamburger a base vegetale è sbarcato a Milano quando la start-up tech americana Beyond Meat ha trovato spazio nell’offerta di un ristretto gruppo di ristoranti in varie regioni d’Italia.

Da Avo Brothers a Milano è possibile ordinare il “Pink Burger”, un hamburger Beyond particolarmente sottile, presentato con avocado, lattuga, una fettina di barbabietola, maionese alla paprika vegana e (per un euro in più) formaggio cheddar vegano Violife, il tutto su un bun rosso a base di barbabietola degno di Instagram. Ad un prezzo di 15,50 euro, per ora è la proposta più cara del menu. Anche se momentaneamente abbagliata dal pane fucsia, ho addentato senza esitazione il panino dai gustosissimi strati che si scioglievano in bocca. Ciliegina sulla torta: sono riuscita a mangiarlo in macchina senza fare pasticci: il Beyond Burger non gocciola come invece fanno gli hamburger di carne; rimane però succulento e dà grande soddisfazione. Mio marito, che è italiano, era d'accordo: l'hamburger Beyond aveva superato la prova.

La mia ricerca esplorativa su Beyond Meat mi portò poi in un negozio chiamato Cuore Vegano. Il proprietario, l'ex giornalista esperto di benessere Daniele Magni, fumava una sigaretta di fronte alla vetrina. A seguito della pandemia ha continuato la sua attività vendendo soprattutto online, ma è libero da pregiudizi nei confronti di clienti intrepidi e americani curiosi come me. Gli espositori refrigerati erano pieni di formaggio vegano; gli scaffali stracolmi di cioccolatini provenienti dal commercio equo e solidale, creme alla nocciola e panettoni vegani; e in un congelatore c’era una solitaria confezione di Beyond Mince, che non vedevo l'ora di provare a casa. Magni, scusandosi di aver esaurito i famosi hamburger Beyond, mi propose come alternativa un prodotto arrivato quella stessa settimana: Via Emilia, un hamburger italiano a base vegetale quasi identico a Beyond, ma prodotto in Austria. Una confezione da 300 grammi di Via Emilia costa la metà rispetto a Beyond e, considerando il 19% di proteine provenienti dai piselli dell’impasto, gli ingredienti e l’apporto nutrizionale sono praticamente gli stessi.

Per Larissa Zimberoff, autrice del libro di prossima uscita Technically Food: Inside Silicon Valley’s Mission to Change What We Eat, non è affatto sorprendente vedere come un'azienda alimentare italiana sia riuscita a creare un hamburger a base vegetale buono come quello di Beyond Meat. Mi ha rivelato che, con l'aiuto di un food scientist di Denver, ha creato una sua versione casalinga in meno di un giorno.

Ma che cosa penserà la nonna?

"Che carne è questa?" ha chiesto la madre di mio marito, facendomi i complimenti mentre mangiava con gusto le "polpette" che le avevo servito. Beh, sicuramente hanno superato il test della nonna: con l’aggiunta di pangrattato, uovo e tanto aglio, la mia confezione di Beyond Mince le ha fatto addirittura venire il dubbio che si trattasse di tacchino o pollo.

Eppure ... quando ho svelato il mio segreto, mi ha chiesto di leggere a tavola ad alta voce gli ingredienti e le informazioni nutrizionali. Non le ha fatto piacere scoprire che il secondo e terzo ingrediente fossero olio di colza e olio di cocco. Ecco un sorrisino di scherno quando siamo arrivati allo stabilizzatore a base di metilcellulosa e la maltodestrina più in basso nella lista. E poi la conversazione è stata stroncata definitivamente dal fatto che 100 grammi di carne Beyond contengono 5,7 grammi di grassi saturi. Mi feci poi piccola piccola sulla sedia perché la nonna non era entusiasta all’idea di aver mangiato dell’olio di cocco, che le faceva venire il mal di pancia.

Nonostante avessi previsto che questo esperimento non avrebbe suscitato grande entusiasmo a casa, anche mio marito era sconvolto, così abbiamo continuato le nostre ricerche. Scorrendo le decine di hamburgherie di Milano sulle piattaforme di consegna online ho scoperto che gli hamburger Beyond sono presenti in molti menu. Con patatine fritte il prezzo è di 16-20 euro per consegna, bevande escluse, quindi almeno 3-4 euro in più rispetto alla carne normale. Un'altra bella sorpresa: l'Unconventional Burger, un hamburger a base vegetale prodotto dal gigante italiano dell’alimentare Granarolo, all’Esselunga costa 4,59 euro nella confezione da due. L'unica differenza significativa rispetto all’Unconventional burger è che l’ingrediente principale sono le proteine della soia. Ha lo stesso sapore ed è particolarmente buono con fontina fusa, ketchup e lattuga iceberg. Al momento di prendere dalla confezione di plastica questa polpetta schiacciata simile ad un disco da hockey, è ovvio che c’è qualcosa di diverso, ma quando la togli dalla padella con i segni della griglia e la mordi, il tabù dell’hamburger vegetale svanisce in un boccone.

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