Il futuro del Made in Italy negli Stati Uniti torna a parlare di integrazione e non di dazi, anche grazie ad una vicepresidente donna
La riflessione di Nadia Zenato sul prossimo futuro del food&wine Made in Italy negli Stati Uniti d’America.
Italia e Stati Uniti: un legame profondo che ci lega fin dai tempi passati e, senza arrivare a Cristoforo Colombo, è innegabile che le immigrazioni verso gli Stati Uniti dei primi anni del secolo scorso abbiano creato un forte tessuto economico e culturale in America. La ristorazione ha avuto un ruolo fondamentale in questo processo ed è stato un importante traino anche per il vino italiano.
La vittoria di Biden alle elezioni e il suo profilo moderato ci portano a guardare con ottimismo ad una distensione dei rapporti con Bruxelles e a sperare che non vengano attuati ulteriori dazi sui nostri prodotti agroalimentari. Sul fronte della gestione della pandemia, l’arrivo del vaccino fa ben sperare ad un progressivo ritorno alla normalità. Ed un clima di fiducia spinge la crescita dei consumi.
Se guardiamo i dati del mercato americano, le importazioni di vino italiano negli Usa sono al primo posto sia per valore (35,3%) sia per volume (29,1% con un + 1,8% sul 2019); ciò anche grazie ai dazi che hanno pesantemente sfavorito altri paesi europei (Francia -25,3%, Spagna -12,3%, Germania -39,3%). In una logica di più ampio respiro, ritengo però che un’America forte e un rapporto centrale America-Europa è fondamentale per una crescita costante.
Noi siamo legati a questo Paese fin dalla fine degli anni ’70 quando mio padre Sergio ha cominciato ad esportare i nostri vini e a far conoscere la nostra storia, il nostro territorio, la cultura del nostro Paese. Abbiamo sempre lavorato sulla qualità dei nostri prodotti e sul promuoverne la conoscenza, ed in questo è stato fondamentale legarci ad una ristorazione d’eccellenza, che sapesse anche raccontare tutto ciò che sta dietro ad un’etichetta: passione, dedizione, fatica. La nostra è un’azienda di famiglia, radicata in un territorio straordinario, le terre venete del Lugana e della Valpolicella. Una storia, iniziata 60 anni fa, nata grazie alla lungimiranza di mio padre che ha creduto nelle potenzialità di un vitigno autoctono, il Trebbiamo di Lugana, trasformandolo in un grande vino bianco, oggi presente in tante tavole nel mondo.
L’impossibilità di viaggiare ha reso più difficile promuovere tutti quei contenuti che rendono unici i nostri vini, anche se la tecnologia ha offerto strumenti nuovi e nuovi modi di pensare la promozione, come i virtual tasting e le iniziative di digital branding. Personalmente mi manca molto viaggiare. Il vino è incontro, condivisione, confronto. Gli Stati Uniti più di qualsiasi altro Paese sono un mercato che anticipa i bisogni dei consumatori, crea i trend, e mi è di grande ispirazione. Da ogni viaggio porto sempre a casa qualcosa.
Così come credo che, appena sarà di nuovo possibile viaggiare, dovremo sempre più promuovere la varietà delle bellezze paesaggistiche e culturali del nostro Paese. L’Italia non è solo la Toscana o il Lago di Como, così come il Veneto non è solo Venezia, ma ha splendide realtà come Verona con l’Arena e la sua stagione lirica e il Lago di Garda. L’eccellenza dei nostri prodotti è l’espressione viva e multiforme del nostro Paese.