l miglior ristorante d’Asia è il Den di Tokyo: ecco cosa è accaduto agli Asia’s 50 Best Restaurants 2022, tra conferme, vittorie e delusioni

Il 29 marzo 2022, con una cerimonia pre-registrata trasmessa in contemporanea a Bangkok, Macao, Tokyo e sui canali social dei World’s 50 Best, è stata presentata la classifica degli Asia’s 50 Best Restaurants 2022.

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Con un record di 16 new entry, qualche inatteso scivolone e l’assenza di alcuni paesi e svariati nomi interessanti, la classifica ha come sempre fatto parlare di sé, mostrando uno spaccato completo della realtà gastronomica odierna dei paesi asiatici.

La grande notizia è che il Den di Tokyo si è finalmente aggiudicato il prestigioso premio come miglior ristorante del continente asiatico. Una vittoria quasi preannunciata, considerando che il piccolo ristorante da 20 posti dello chef Zaiyu Hasegawa è stato eletto miglior ristorante del Giappone per ben 5 anni consecutivi e aspettava paziente il suo turno sui gradini più bassi del podio dal almeno 2 anni. Ciò che sorprende è piuttosto che si tratti solo del secondo giapponese a riuscire a raggiungere la vetta della classifica dopo Yoshiro Narisawa, vincitore dell’edizione inaugurale del 2013. Uno scandalo se si pensa a quanta ricchezza gastronomica la cultura nipponica abbia da offrire. Ma per fortuna, il panel di votanti sembra ormai essere tornato in sé e lo chef Zaiyu Hasegawa, noto per i suoi menu kaiseki irriverenti che rivisitano e arricchiscono il tradizionale pasto giapponese a più portate con inaspettati colpi di scena, ha finalmente agguantato il suo premio, dopo essere riuscito a piazzarsi anche all’undicesimo posto della classifica generale dei 50 Best lo scorso luglio. Il suo "Dentucky Fried Chicken”, il pollo fritto ripieno di riso, servito in una scatola che ricorda la confezione di KFC ma che invece del colonnello Sanders, mostra lo chef Hasegawa con in mano due bacchette, è già entrato nella lista di quei piatti iconici che tutti i foodie del mondo vorrebbero provare almeno una volta nella vita.

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Ma analizziamo la Top10 e vediamo cos’è successo anche sui gradini più bassi del podio. Salendo di nove posizioni al numero 2, il ristorante Sorn, fresco di due stelle Michelin per l’originale e moderna rivisitazione della cucina thailandese meridionale dello chef Supaksorn "Ice" Jonsiri, ha ottenuto per la prima volta il titolo di miglior ristorante in Thailandia. Lo seguono al terzo e quarto posto il raffinato ristorante francese di Tokyo Florilège e Le Du a Bangkok; quest'ultimo è uno dei due ristoranti dello chef Thitid “Ton” Tassanakajohn che è riuscito nell’impresa di classificare tra i primi 10 anche il suo secondo locale Nusara. Dopo aver conquistato il primo posto nel 2021, invece, The Chairman a Hong Kong è passato al quinto posto, mantenendo per il terzo anno il titolo di Best Restaurant in China. Notevoli anche i risultati di Sühring, con sede a Bangkok, che classificandosi al 7° posto ha mantenuto il suo posto tra i primi dieci per il quinto anno consecutivo, e del ristorante Odette dello chef Julien Royer che, oltre a piazzarsi all’ottava posizione, ha vinto anche il prestigioso Art of Hospitality Award.

Insomma, una Top10 che parla abbastanza chiaro e che riflette in parte il risultato dell’intera classifica che vede il Giappone in testa con 11 ristoranti in lista, seguito dalla Thailandia con nove e Singapore con sette. Paesi che l’hanno “avuta vinta” soprattutto per le difficoltà che il panel dei votanti ha avuto nel viaggiare nell’ultimo anno, a causa delle limitazioni che hanno caratterizzato e caratterizzano ancora alcune delle destinazioni in lizza. Impossibile non notare, infatti, la perdita di posizioni in classifica di numerosi ristoranti cinesi e la totale assenza di nazioni dal bagaglio gastronomico interessantissimo come il Vietnam o l’Indonesia. Un male però di cui “non si è potuto fare a meno”, come ha affermato lo stesso William Drew dal palco di Bangkok, “anche se si potrà dire che il voto di quest’anno è sicuramente il più local della storia della classifica”.

Un voto local che, come già accennato, è costato caro a svariati ristoranti come L'Effervescence di Tokyo che dalla 19esima posizione dello scorso anno è volato in picchiata libera alla 71esima, il Mume di Taipei (vincitore del Sustainable Restaurant Award) che è sceso dalla 15esima alla 54esima, l’Amber di Hong Kong che dalla posizione 37 è giunto all’83 o ancora l’Anan Saigon di Ho Chi Minh Ville che dalla 39esima posizione dello scorso anno è caduto alla 65esima.

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Non sono mancati poi i consueti premi speciali, tre dei quali sono stati vinti da chef donne, segno che qualcosa sta cambiando nell’industria anche dall’altro capo del mondo. Maira Yeo del ristorante Cloudstreet a Singapore dello chef Rishi Naleendra, ha vinto il premio come Best Party chef mentre Natsuko Shoji del ristorante Été à Tokyo, ha ottenuto il titolo di migliore chef donna del continente asiatico. Il prezioso Icon Award è invece andato all’ormai celebre Jeong Kwan, la monaca buddista famosa per la sua cucina vegana che, pur senza formazione, ha saputo stregare il palato di decine di chef giunti in Corea del Sud da tutto il mondo per gustare le sue pietanze.

Per concludere con un focus sulla cucina e gli chef italiani, spiccano i risultati di Umberto Bombana che, nonostante il suo 8 e 1/2 di Hong Kong sia scivolato dalla 32esima posizione alla 48esima, ha bissato il suo successo classificando la sede di Shanghai alla posizione numero 100, e di Stefano Bacchelli che classifica direttamente alla posizione numero 28 il primo ristorante extra-europeo dei fratelli Cerea, il “Da Vittorio Shanghai”, dopo aver già ottenuto una prima stella Michelin nel 2019 a tre mesi dall’apertura e la seconda l’anno seguente, in piena crisi Covid. Singolare e degno di nota anche il caso del ristorante Villa Aida che, situato nella poco turistica prefettura di Wakayama in Giappone, è riuscito ad aggiudicarsi il premio come Highest New Entry Award piazzandosi alla 14esima posizione con un’offerta gastronomica 100% campana e un cuoco 100% giapponese! Rattrista solo non vedere Il Ristorante di Luca Fantin al Bvlgari Hotel di Tokyo, sparito già dai cinquanta nella scorsa edizione e ormai anche fuori dai 100, che viste le particolari condizioni in cui si è svolto il voto quest’anno, sembra purtroppo essere più apprezzato dai foodie del resto del mondo che da quelli della sua patria di adozione. Un discorso che sembra valere anche per Davide Garavaglia, il giovane chef al comando della cucina di Côte, il nuovo indirizzo tailandese di Mauro Colagreco che, anch’esso appena insignito di una stella Michelin e di un premio speciale per l’ospitalità, avrebbe ampiamente meritato un posto tra i primi cinquanta.

Non ci resta che attendere il prossimo anno per capire quanto la progressiva riapertura delle frontiere possa cambiare ancora una volta le carte in tavola.

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