In Italia, il Natale è un evento colossale, celebrato in quasi tutte le case. Solo nel 2021, la spesa media pro capite per i doni natalizi si aggirava intorno ai 370 euro. Parenti e amici, compressi in tutto ciò che quella cifra poteva compare.
In Italia, il Natale è un evento colossale, celebrato in quasi tutte le case. Solo nel 2021, la spesa media pro capite per i doni natalizi si aggirava intorno ai 370 euro. Parenti e amici, compressi in tutto ciò che quella cifra poteva compare. La trappola delle medie, però, è che non sempre arrivano con la dovuta postilla, ovvero che sono calcolate diluendo i picchi e ampliando i bassi, producendo appunto un valore di mezzo che serva da indicatore. La geografia del Natale comincia quindi con un volume definito, ma incerto. Quello di quanto costa, mediamente, adempiere allo scambio dei doni. Le dimensioni della celebrazione sono elastiche. I primi festeggiamenti cominciano a Novembre e gli ultimi si possono trascinare anche a Gennaio. Complice la pandemia, si è persa la rigidità dei giorni di festa e tutti sono, virtualmente, disposti a spostare una festa condivisa onde evitare di saltare tutte le altre con un febbrone.
Nel mio caso, il primo Natale del 2022 arriva a Novembre, con una famiglia informale seduta e ridente di fronte ad una pentola di brodo bollente per ciascuno. È un Natale vegano, ateo, senza regali, condiviso ed estemporaneo, tra amici. Sarà lo spirito di condivisione, la gioia che ci hanno sempre promesso per le feste, o anche solo il periodo, ma questo è un Natale. Mi domando, mentre premo per scoprire quale membro della mia famiglia mi verrà assegnato dal Secret Santa che intreccia la mia famiglia in Italia con quella in Francia, quanti Natali siano possibili. Se si possa a tutti gli effetti parlare di Natali. E se forse non sarebbe il caso di iniziare.
Il Natale borghese è il modello di riferimento, globalizzato dai film di Hollywood e, oggi, di Netflix. C’è un albero, vero solo nello schermo, che riemerge dalle cantine, a Milano il 7 dicembre, decorato con minuzia, lucine pallide che brillano sulle palline coordinate alla stoffa che copre la base dell’abete sintetico. Sui modelli più audaci sta immobie una spruzzata di neve artificiale che, date le catastrofiche circostanze climatiche, sta diventato memoria di quello che una volta poteva succedere persino a Milano: la neve a Natale. I regali sono ingabbiati nella loro carta decorata, una per i bambini e una per gli adulti, mentre quelle di credito si sgonfiano nel tentativo di dare tutto, ma proprio tutto, per il giorno più importante dell’anno. In molti negozi è possibile dilazionare i pagamenti con piccole e instuitivissime app, perchè non ha senso fare regali che si possono pagare, si devono fare i regali giusti. I regali richiesti. Ci sono liste, richieste, desideri. Bambini che vorrebbero ricevere doni ma che si ritroveranno a scartare la percezione che il mondo ha di loro, in rosa o azzurro. Comportamenti sociali standard che inizieranno a propagarsi dalle loro manine, applaudite e incoraggiate a ricalcare ciò che è stato programmato per loro.
Le feste di Natale non stanno chiuse nelle case. Si aprono anche nello spazio del lavoro. Nel grigiore delle giornate tutte uguali, con mansioni precise e imprevisti quotidiani, sosta l’albero montato e addobbato dalle risorse umane. Un panettone classico, un pandoro, uno scambio di auguri e via, di nuovo nella routine. Una spruzzata di celebrazione nella pausa o alla fine del turno. Qualcuno riceverà un regalo dal capo, forse tutti. Una bottiglia di spumante o un bonus per la fine dell’anno, in fresco per il 25 o, per i più parsimoniosi, per il 31. Che si stappi o si spenda, è parte integrante dell’ultimo scatto prima dell’anno nuovo. Nelle case, gli armadi diventano scrigni, grotte in cui nascondere i regali onde evitare che i bambini di casa li trovino. Ma quanti credono ancora a Babbo Natale o Gesù Bambino? Statisticamente, intorno agli 8 anni smettono di farlo. E solo il 34% degli adulti si ritrova a sperare di potervi credere ancora. Babbo Natale e le renne hanno 8 anni della nostra vita, nulla più. Eppure, Babbo Natale è ovunque, appeso alle ringhiere dei balconi, sui pacchetti, nelle conversazioni, nelle vetrine dei negozi e nei media.
Ci sono sospiri pesanti, prima del Natale. Trasportano l’angoscia di non poter comprare, di aver lavorato tutto l’anno e dover tirare comunque la cinghia, pensando che,forse, sarà meglio un regalo in meno, ma un pandoro in più. I prezzi si cominciano a somigliare troppo. E c’è chi da sempre li sente grossi e opprimenti e a Natale si impegna per chiedere l’unica cosa che serve davvero. Nei 370 euro non sono comprese tutte le spese del Natale, ma solo quelle dei doni, perciò che anche chi, prima della festa dell’azienda o della fabbrica, và a chiedere un aumento, anche piccolo. Un anticipo sulla busta paga, magari. Ci sono i Natali di fatica. Di rinunce. Di immagini che si son viste tutta la vita ma che non si possono traslare nelle piccole stanze di casa.
Ci sono natali meticci e queer. Natali con un albero addobbato perché la persona con cui si divide ama la festa, con figli e figlie che pregano Dio con con due nomi. Il 25 a tavola si attingerà ad un pentolone di Molokhia, perché verranno i nonni dei bambini per un mese e si mangerà tanto, tantissimo.
Sorge spontanea la febbre delle feste, quali che siano, perché i regali non aspettano nessuno e il black friday dura due settimane. E bisogna prendere tutto, ma proprio tutto, sennò è perso fino all’anno prossimo. Ma nel carosello edonistico del capitale l’anno prossimo non esiste, il Natale è alle porte e i calendari dell’avvento sono ribassati, due al prezzo di uno: oggettivamente un affare.
Qualcuno avrà i bambini che frequenteranno la novena, perciò ci sarà più tempo vuoto nella casa da riempire con la televisione, le chiamate ai parenti che verranno qui, con la pretesa di incastrarsi nel bilocale e sarà opportuno pensare alla spesa. Bisogna mangiare bene a Natale, tanto. Tanto è la misura del Natale, la più diffusa. Tanto, a lungo e per tutti. Tavole immense a cui si riuniscono discorsi di politica, su cui si litiga, in cui si chiede alla nipote perché è vegana, cosa pensa di farsene con quel suo esistere di fronte ad una tavola piena di bestie farcite e spremute. Ma poi arriverà il panettone, vegano, e si mangerà con un sorriso allentato dallo spumante. Si condividerà davvero lo stesso cibo e forse il Natale avrà una dimensione di comunione, tra canditi e uvette, senza uova né latte. E a Natale non ci sono solo le commistioni di credo e ideologia, ma anche di vita. Si porta per la prima volta qualcuno in famiglia, a conoscere la vecchia guardia ottuagenaria che noterà che le due persone si somigliano, si sorridono e forse, anche se non lo dicono a tutti, si amano. Presentazioni e tensione, quando l’amore portato è un amore per una persona dello stesso sesso o che offre un nome davvero scelto da sè stessa, che la chiama per chi è davvero. Gli anziani guarderanno allora il presepe, il piccolo Gesù apparso nella giornata e si chiederanno cosa ne pensi lui. Forse se lo terranno per sé, un regalo prezioso per chi a Natale più che a festeggiare deve prepararsi a difendere il perimetro della sua vita.
A casa mia c’erano due Gesù, per il presepe, uno era nero. Sostava pigramente tra Maria con la sua pelle di porcellana e Giuseppe pallido e olivastro.
Poi, chissà come, sotto Natale tornava sempre il Gesù bambino roseo e tondo come una pesca.
Una carta rigida simulava la roccia, un mulino gorgogliava non appena si inseriva la presa nella corrente, una cometa stava appoggiata sul tetto pieno di muschio finto della capanna e i Magi erano in marcia. Prima di entrare nel presepe passavano accanto alla piccola moschea di legno che mio nonno aveva intagliato e dipinto anni prima che io esistessi.
Il presepe non abita in tutte le case, come pure in tutte le case non entra il Natale. O meglio, entrano le ferie, la festa insieme celebrata in tempo e cibo, ma non è necessariamente il Natale con gli angioletti e la carta rossa. La geografia non corre simmetrica e precisa, anzi, più la si guarda nel suo insieme più si completa e rinnova in paesaggi sempre differenti. In Giappone, ad esempio, si festeggia un Natale come fosse un San Valentino e si crede, in fede, che anche in Italia venga consumato pollame fritto- tutt'al più arrosto- come pietanza tipica della festa.
C’è una grossa fetta di mondo che non ha il Natale, ma nemmeno si vede. Perché a Natale si sta in famiglia, sempre. E allora tutto il resto smette di poter essere diverso e diventa riflesso di quel che si conosce. Secondo delle statistiche poco affidabili appena il 13% della popolazione mondiale non cristiana celebra il Natale. E pare che meno di metà del mondo (il 45%) lo celebri. Perciò il Natale, per il 65% del mondo non esiste. Sta nelle scatole di cristalli liquidi delle televisioni, dentro gli schermi degli smartphone, nei film americani o nelle pubblicità della coca cola.
Il Natale diventa quindi una misura. Esso è un momento di una cultura, un simbolo, un incastro che ha permesso al cristianesimo di traghettarsi prima e di stringere un patto con il capitale poi. Ed è cosa effimera, ma potente per chi lo trova nella sua vita. Si intreccia all’amore per la famiglia e si stringe forte nella speranza di poter sorridere, almeno a Natale, per un giorno intero.
Ma poi si litiga, si discute, si beve, e poi si ride, si sgridano i ragazzi che vivono attaccati allo smartphone che hanno ricevuto l’anno scorso e che, tra qualche ora, verrà sostituito con uno migliore. Qualche foto. Il Panettone. Senza dio, quelli del pandoro.
O viceversa. Ma il Natale non è ovunque e dove c’è non è fatto con lo stampino. La sua magia, sempre che ve ne sia una, sta forse nel suo essere plastico. Si adatta al contenitore, nonostante ci sia la pretesa di renderlo statico.
L’app mi dice che dovrò fare un regalo a mio cugino con un budget massimo di 30 euro. Esattamente quello che spendo per la cena con gli amici. Che sia diventata questa la cifra del mio Natale? Gli euro spesi a comando e a ripetizione.
Il Natale è una dimensione effimera, capitalizzata e incrostata di strutture che nulla sono se non pubblicità. Qualcosa però sopravvive spaccando la tradizione. Ed è nel mito rotto, nel Babbo Natale che è solo un manichino, nel sapere che non in tutte le case si aspetta di celebrare cristo, che si rintraccia il percorso di una festa che davvero non è solo un Natale. Ma tanti Natali.