È il fabbro che arma i migliori chef del mondo e sa tradurre apparente semplicità in qualcosa di unico
- “La mia ricchezza, è la mia povertà” - M.Massaro
“Cara Babette non dovevate dar via tutto quanto avevate per noi”. Per voi? Replicò. “No. Per me”.
“Povera?” Disse Babette. Sorrise come a se stessa “No. Non sarò mai povera. Ho detto che sono una grande artista. Un grande artista, mesdames, non è mai povero. Abbiamo qualcosa, mesdames, di cui gli altri non sanno nulla”.
“Per tutto il mondo risuona un solo lungo grido che esce dal cuore dell’artista: consentitemi di fare il meglio che posso!”
Chi, avendo la possibilità di varcare l’antro del più celebre coltellaio matto d’occidente, non riconoscerebbe nella slanciata sagoma che si intuisce appena nel suggestivo gioco di luci ed ombre della forgia, quella di Madame Babette Hersant?
Forse risulta più immediato il parallelismo con un rocker dannato e burbero e la virilità che emana il suo corpo forgiato dalla breve ma intensa vita non fa che allontanare ancora di più dall’idea della governante del celebre libro di Blixen; del resto lui ne sarebbe ben più felice!
Eppure la dignità e la pienezza di spirito che dona il fare ciò che ci appassiona, ed il farlo in maniera totalmente consapevole come avviene per Massaro, sono le medesime.
- “Mentre fai, stai facendo” - Michele Massaro.
Non è il possedere questo o quell’altro oggetto, ma è la centralità del qui ed ora, l’importanza dell’azione, del processo e dell’appagamento che nasce dal sorvegliarne pazientemente il corso, che lo interessano.
Viene quasi da dire parafrasando A. de Saint Exupèry che è “il tempo che hai speso per il tuo coltello che ha reso quel coltello così importante”.
Già, quel senso del tempo che si perde non appena varcata la soglia del “batafier”, che da fuori si confonde con le case circostanti ma che una volta dentro ti rapisce con il suo misticismo.
Tempo la cui importanza a Massaro da sempre non sfugge.
Quello stesso lungo tempo che del resto occorre attendere per poter possedere un suo coltello. La cura e la precisione sono tali che in una settimana di lavoro vengono realizzati non più di 6 o 7 coltelli, per non parlare di progetti che durano anni.
Da subito il fil rouge - nemmeno troppo sottile - che lega quello che è noto come il fabbro degli chef ed il mondo della cucina è evidente, nonché un’ottima chiave per provare a comprendere il come mai in un pur così breve tempo di attività, egli sia riuscito a guadagnare tanta stima tra gli addetti al settore e a suscitare un fascino incredibile tra gli appassionati e i foodies più convinti.
Sì, perchè è solo dal 2015 che Michele Massaro, maniaghese di origine, riapre i battenti dell’Antica Forgia Lenarduzzi, unico battiferro ancora attivo nella zona e risalente al 1400, quando l’allora Conte di Maniago chiese la concessione al Magistrato delle Acque per realizzare il canale idrico che avrebbe alimentato, e tuttora alimenta, il primo battiferro destinato a costruire armi per la Serenissima.
Ora il campo di battaglia sono le cucine ed i novelli guerrieri che il fabbro arma sono chef del calibro di: Pierangelini Sr e Jr, Colagreco, Crippa, Ruggieri, Corelli, Klugmann, Tassa, Cuttaia, Parini, Costardi, Tokuyoshi, Scarello, Pisani e Negrini, Baronetto, Ducasse, Redzepi, Martinez, Cantafio, vignaioli quali Gravner e distillatori come Capovilla.
Ed è proprio dal confronto con loro, animato dalla sua profonda passione per la cucina, che egli ha appreso tutto quanto gli è servito per passare dall’iniziale produzione dei tradizionali attrezzi per il lavoro quotidiano nei campi (roncole, asce, coltellacci) al realizzare coltelli da cucina dotati di una perfezione e funzionalità che fino allora si potevano trovare solo guardando ad oriente, al meticoloso lavoro dei coltellinai giapponesi e dai quali Michele non ha mai distolto lo sguardo.
Il primo fu Piergiorgio Parini che possiede la serie 0 e la 1; solo trascorrendo del tempo con lui in cucina e studiando le necessità ed i gesti ripetuti del cuoco è stato possibile per il fabbro forgiare una serie di cinque coltelli che rispondessero alla perfezione a tutte le esigenze della sua cucina; ed è proprio questa indagine sul modo di pensare e trattare la materia di ciascuno chef che gli ha consentito di conquistare con le sue creazioni personalizzate anche gli chef più istrionici ed esigenti.
I suoi coltelli sono belli ma al tempo stesso funzionali. In un’epoca dove l’apparire vince sull’essere, osservare e ascoltare Michele ( ne ha di cose da dire e fortunatamente non si risparmia certo nel farlo! ) ci ricorda quanto sia fondamentale non farsi definire dagli altri. È la tua azione che saprà definirti e regalarti emozioni autentiche.
Basta percorrere con le dita i segni del brute de forge che rappresentano uno degli elementi di riconoscibilità delle sue lame, assieme allo spazio lasciato libero per inserire il dito e posto subito prima del manico. Quei tratti grezzi vengono lasciati volontariamente esposti a raccontare una storia, delle tradizioni millenarie.
Rendere conto dell’arte di Massaro non è impresa semplice; del resto è un po’ come tentare di descrivere la cucina di un solista ed indiscusso fuoriclasse dei fornelli quale è Fulvio Pierangelini. Nei suoi confronti lo stesso Michele nutre da sempre una profonda ammirazione rinsaldata poi dalla personale conoscenza tra i due.
Non a caso sulla porta di accesso del battiferro è apposto un sarcastico cartello recante un dichiarato riferimento allo stimato cuoco: - “ingresso vietato a coltellinai, arrotini, commercianti, riviste del settore coltelleria - tali persone non sono gradite alla proprietà -“
Sta nell’inespresso la sua radice, nel gesto che è conoscenza, memoria ed istinto. È il processo che conta più di ogni altra cosa e che conduce all’equilibrio finale a cui egli mira, vivendo una costante tensione verso il miglioramento.
Un processo che può essere addomesticato solo dal suo creatore, dotato di una profonda conoscenza e rispetto della materia e della tecnica. Ogni gesto, ogni scelta circa cosa, ma anche come e quando farlo, hanno una diretta e predeterminata conseguenza sul risultato.
Scegliere quando tagliare un albero e avere così il legno giusto per realizzare il manico dei preziosi coltelli è per Michele fondamentale e ha ripercussioni dirette sul prodotto finale e sull’ambiente che lo circonda.
E’ questo che consente al fabbro di tradurre quella che è una solo apparente semplicità in qualcosa di unico, autentico e perfetto come solo natura sa essere, quella natura che ha imparato ad ascoltare e con cui è entrato in perfetta simbiosi.
E’ una figura dall’indiscutibile fascino mitologico quella di Massaro a metà, tra un fauno che si aggira tra i boschi ed un moderno Efesto, Dio del fuoco, mentre lo si vede muoversi con altrettanta agilità e sicurezza tra incudini, asce, maglio e ruote per l’affilatura nel suo rovente e polveroso batafier.
Quei segni grezzi sulla lama che ogni suo coltello riporta sono la testimonianza di come solo la conoscenza sappia infondere il coraggio necessario per dare valore a quelli che in passato venivano visti semplicemente come imperfezioni da eliminare.
Valorizzare l’imperfezione è ben diverso dal tentativo proprio di molti oggi di giustificare ciò che in realtà è solo un mero difetto, un’imprecisione elevata a sinonimo di artigianalità.
Per quanto oramai anche l’industria sia in grado di realizzare buoni prodotti - come conferma lo stesso Massaro - l’unico elemento che consente all’artigiano di distinguersi non è altro che l’eccellenza assoluta applicata all’unicità.
“La tradizione non è adorazione delle ceneri, ma custodia del fuoco” -Gustav Mahler. Poche altre frasi descrivono il pensiero di Massaro come questa.
Conoscere per avere il coraggio di andare oltre.
In definitiva se il fuoco - e l’acqua in questo specifico caso - sono l’anello di congiunzione tra la cucina ed il lavoro del fabbro e se il cibo oggi ha preso il posto che era già della musica, occorre prender atto che per i tanti suoi interpreti vi è un solo fabbro!
Ecco che così, pur lavorando dietro le tenebrose quinte della sua fucina, con le sue opere si prende il palcoscenico con l’abilità propria di un vero front man...di se stesso.
In sottofondo exile on the main street - Rolling Stones.