Odiamo le feste perché siamo persone sole? Lo abbiamo chiesto a una counselor

Quest’anno più del solito ho sentito parlare male delle feste. Mi chiedo quindi cosa ci sia sotto: quale tensione psicomagica ci ha impedito di sglitterare?

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Quest’anno più del solito ho sentito parlare male delle feste. È vero che ci sono sempre stati due schieramenti in materia, chi le odia e chi le adora, ma questa volta i miei social erano colmi di insofferenza. Anche io, devo dire, iniziavo ad accusare un certo male.

Mi chiedevo quindi cosa ci fosse sotto: quale tensione psicomagica ci ha impedito di sglitterare?

Ok, sicuramente il tema degli sprechi di cibo, del pianeta on fire e, in generale, della sostenibilità ci mette (giustamente) in difficoltà, ma c’è dell’altro?

Ragioniamo. Queste, al di là del capitalismo cattivone, sono le feste della famiglia intesa come nucleo, insieme di persone, comunità. Culturalmente lo sono. Che problemi abbiamo noi, quindi, con la famiglia o, in generale, con lo stare insieme? Eh, mi sa che ne abbiamo tanti.

Domanda dopo domanda, atterro su quella che per me è la questione definitiva: siamo persone sole? E se è così, che differenza c’è tra chi si sente una persona sola e chi fisicamente non ha gente intorno? Come vivono le feste queste ultime?

Ne ho parlato con Renata Barbieri, educatrice, pedagogista e professional advanced counselor. Ecco cosa mi ha risposto.

“Le persone, non solo quelle sole, generalmente rispondono alla pressione sociale delle feste con l’abitudine – che significa prima di tutto garanzia.”

“Noto che la risposta sociale e, di conseguenza, il comportamento, è molto orientata all’immagine. Potremmo azzardarci a dire che quello che oggi fa l’immagine una volta lo faceva la religione – è anche un condizionamento. Il credo in senso lato prevedeva la condivisione, per quanto spesso forzata, della solitudine. Quando parlo di religione non parlo necessariamente di cattolicesimo, potrebbe anche essere, per esempio, il senso di sacralità dell’amicizia. Oggi non c’è un’Istituzione che si preoccupa di questo e il credo è diventato l’abitudine, il rituale. Le persone vengono lasciate sole con la loro solitudine, che in questo periodo dell’anno si fa sentire più del solito.”

“Come counselor nella relazione d’aiuto ricevo svariate persone in forte crisi matrimoniale che non trovano supporti circa la condivisione. Queste separazioni mettono in discussione anche le amicizie in comune, talvolta anche le economie individuali. Creano dei disagi, anche economici, molto difficili da gestire. Durante festività come queste, che puntano tutto sulla condivisione, bisognerebbe lavorare sulla risposta sistemica a queste solitudini che sono personali, ma anche politiche.”

“Una volta la religione, per come era sentita, sosteneva culturalmente la comunità. Lo faceva anche in modo tossico, ma ora questo sostegno viene completamente a mancare. Nemmeno le Istituzioni hanno una risposta chiara.

Ad esempio, nei piccoli comuni, che sono sempre più anziani, l’ente sociale non offre una risposta alle richieste di queste persone, non ci sono delle strutture che rispondono ai bisogni interpersonali.

Basterebbe, in questo caso, trovare uno spazio dove stare assieme, quello che una volta era il patronato, che permetteva alla persona di non sentirsi isolata e diversa. Diversa dall’immagine che viene proposta di cui parlavo sopra, che è ancora quella della famiglia perfetta.

La comunità e la condivisione sono anche un ottimo strumento di prevenzione del disagio.

“Quest’anno in Italia durante le feste le persone hanno speso più in cibo che in doni, addirittura più di quanto abbiano speso in viaggi. Perché? Purtroppo dobbiamo accettare che a noi esseri umani il cambiamento non piace, non lo approcciamo in maniera naturale. E il mondo sta cambiando parecchio.

In questo caos c’è un evidente vuoto da colmare di cui nessuno si sta occupando. Naturalmente, e dobbiamo ammetterlo senza giudicarci, ci rifugiamo nelle garanzie.

Questo vuoto, tra le cose, risveglia anche l’aggressività più sotterranea, un’aggressività che, metaforicamente, ci potrebbe spingere a divorare anche le persone. Questa aggressività sicuramente si gestisce con la cultura, con uno slancio verso l’altro a cui, però, stiamo imparando a rinunciare.”

“In questo periodo ci sono tanti elementi che scatenano il rapporto conflittuale con l’alterità. Durante il Natale, per esempio, alcune persone non hanno la possibilità economica per gestire i regali e arrivano a sentirsi in colpa per questo. A Capodanno succede che alcune persone si sentono in difetto perché non possono offrire alle loro figlie e figli una festa come quella che viene idealizzata dalla società. Le persone con difficoltà relazionali, poi, di fronte a tutto questo si bloccano.”

“Non dobbiamo, però, cadere nel pietismo, riflettiamo invece su come si comporta la società – e anche l’Istituzione – nei confronti degli individui isolati. Chi rimane single, le persone anziane, le persone marginalizzate, ma anche le persone che semplicemente si sentono sole.”

“A questo proposito, per esempio, io non credo che i social contribuiscano alla solitudine come spesso si dice, rispondono piuttosto a un disagio che esiste già, di cui nessuno si occupa. È troppo comodo dire che è tutta colpa dei social. In realtà molte persone sole sono state aiutate dalle relazioni digitali.

Oggi più di 10 anni fa mi sento tranquillamente di dire in tante occasioni “per fortuna che ci sono i social, sono uno strumento di confronto”. La domanda è: sappiamo davvero confrontarci?

A proposito di giovani, su cui si critica tanto, un famoso centro di ricerca milanese in ambito psicologico ha studiato i desideri da loro espressi. La risposta più gettonata non è la maglietta firmata o i follower: è l’ascolto.”

“Il consumismo applicato alla famiglia non ha sicuramente aiutato: abbiamo sostituito l’amore con le risorse – anche quelle economiche. Lo Stato ha lasciato fare al libero mercato, non si è occupato della persona. Adesso c’è una caduta dei miti produttivi, la regola che ci garantiva viene messa in discussione, siamo in crisi.”

“Io credo che questa crisi si superi con la parola, una parola capace di dare uno nuovo senso alle cose, un senso condiviso e comunitario. Serve dialogo.”

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