Pulicaro: Il Nuovo Amore per la Terra

Una giornata speciale con Marco Carbonara di Pulicaro, Azienda agricola zootecnica biologica ed agriturismo altamente etico tra animali felici, biodiversità e amore.

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Ci sono luoghi che cambiano, per sempre, la visione della vita.

Esperienze, racconti, in grado di travolgere emotivamente e riconfigurare tutto. Pulicaro, l’Azienda agricola zootecnica biologica ed agriturismo di Chiara Dragoni e Marco Carbonara, è uno di questi.

Parleremo con Marco, vivremo la campagna affianco a lui, respireremo i profumi delle erbe spesso dimenticati e gli odori forti degli animali tanto sani per l’uomo, in quanto conseguenza ovvia del potere rigenerativo primario. Rifletteremo sull’etica, sull’urgenza; sul significato di sostenibilità vera e di amore per i viventi. Proveremo, insomma, a dare voce ad una delle figure cardine di questo possibile, glorioso, Rinascimento agricolo.

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Pascolo razionale e mangimi. Come nutrite gli animali?

Alleviamo molti tipi di animali, sia monogastrici che ruminanti. A maiali, polli e tacchini, forniamo un’alimentazione sostenibile basata su cereali locali poco impattanti, escludendo da sempre la soia: simbolo del disequilibrio moderno, coltivata in maniera scellerata, causa di massicce deforestazioni e di uno spreco abnorme di acqua. Pecore, capre e vacche, tramite il “pascolo razionale”, vivono allo stato semi-brado e vengono spostate in gruppo da un appezzamento di terreno a quello successivo, dando modo al precedente di riposare e ricrescere rigogliosamente grazie al “fertilizzante naturale” prodotto dal bestiame. Essenzialmente il loro benessere, i loro bisogni etologici vengono rispettati, in quanto esseri liberi di avventurarsi nei prati o ripararsi nei ricoveri al coperto. E quei bellissimi prati sono stabili, anch’essi privi di costrizioni nell’esprimere tutte le varie specie viventi possibili; abili nell’imprigionamento di biomassa, consentendo alla fattoria di essere carbonio-negativa. Difatti, non è la carne il problema, ma come viene allevato l’animale e in che quantità viene consumata. Dobbiamo essere studiosi e curiosi, sapere cosa stiamo facendo. Ci stupiremmo di quanta conoscenza abbiamo a disposizione, proprio sotto gli occhi.

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Hai parlato di “prati stabili”. C’è una relazione importantissima tra biodiversità, batteri, cura e malattie. Ce la spieghi?

Il suolo sul quale stai camminando è ricco di migliaia di esseri viventi, è abbondante, pullula di energia. Vegetazione spontanea, insetti e microrganismi sani formano una dieta buona, variegata e preventiva verso potenziali malattie. L’“igienica” paranoia legislativa nei confronti della biodiversità, ci porta a dimenticare come i batteri siano alla base della nostra stessa esistenza e generino, a loro volta, nuova vita. La sterilità in natura è pericolosa, non è nell’ordine delle cose. Dunque, non solo il rischio batterico è mal interpretato, ma occulta anche quello chimico ed ormonale, che rappresentano invece un fardello mostruoso per chiunque si alimenti con risorse industrialmente prodotte.

Prendiamo ad esempio i nostri polli: nel campo troveranno le erbe necessarie a curarsi, come in una sorta di farmacia, riconoscendole da soli. Anche noi sappiamo, o sapevamo, capire cosa ci fa del bene: nei resti di alcuni Neanderthal sono stati trovati residui naturali alla base di Aspirina e Penicillina, apposte nella bocca per curare un’ascesso. Dovremmo rivalutare il potere della fitoterapia, che io uso anche sugli animali. Il cibo vero può essere medicina, l’alimentazione seria ha dei poteri che trascendono il gusto e l’intrattenimento.

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Cibo vero. Trovi che mangiare eticamente sia troppo costoso? Come vedresti possibile, in un mondo difficilmente reversibile, un cambiamento?

Il cibo dovrebbe essere gustoso, nutriente e sano. Oggi l’industria soddisfa forse solo il primo dei tre aspetti, a causa dell’utilizzo smodato di insaporitori fittizi, grassi, zuccheri e conservanti. Purtroppo, allo stato attuale, molti prodotti etici hanno un costo maggiore, dato lo scarso rapporto tra grossa mole di lavoro e piccola resa. Questo dramma moderno è altamente antidemocratico: un tempo la differenza tra ricco e povero la faceva il taglio della carne e la quantità, ma non la qualità: si mangiava filetto o quinto-quarto, magro o interiora, ma la vacca era la stessa. Oggi ci troviamo in un meccanismo vizioso che prevede il buono, il sostenibile ed il sano per chi ha soldi, e l’industriale, il poco sano ed il processato per chi non ne ha. Tuttavia sono certo che, pianificando correttamente una dieta e tornando a cucinare ingredienti stagionali, si possa risparmiare anche comprando prodotti di qualità; essenzialmente dedicando più tempo all’atto del mangiare. Penso che ognuno, in base alle possibilità, debba ridefinire le proprie priorità. Ad esempio, per me, il cibo sano è centrale; introdurre sostanze buone nel mio corpo è centrale; nutrire il prossimo in maniera corretta è centrale. A suon di buste da aprire e cibi processati si pagherà il conto in salute. È lavoro di noi produttori insistere nell’offerta di materia gustosa, nutriente e sana, facendo rete e cercando di arrivare ad un minimo di massa critica che sposti i consumi e dunque, a cascata, tutto il resto. Il risparmio estremo ha dietro sofferenza e conseguenze latenti, dobbiamo esserne consapevoli.

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Come vivi il modello agroindustriale? Vedi una finestra di dialogo?

Faccio questo lavoro da circa vent’anni. Ho visto cambiare la terra sotto i miei occhi. Leggo di studi, ultimatum, numeri e tutto mi torna, tristemente. Ritrovo i dati nelle piante avvelenate, nelle mancate piogge, nei terreni disastrati, negli animali confusi e disorientati. E l’uomo è così limitato da non riuscire, puntualmente, a percepire il danno a lungo termine: non mi fa male oggi, non mi farà male domani, pensiamo.

La campagna, al contrario, è un luogo lento, lentissimo. Qui si agisce pensando solo in termini di futuro, non esiste ritorno immediato. La differenza fondamentale tra agroindustria e realtà come la nostra, è che loro partono dalle strutture, noi dal terreno. I nostri soldi sono in quella stessa terra che vedo mutare, soggetta quotidianamente ad intemperie, imprevisti; troppo casuale, troppo imprevedibile per una costante monetizzazione.

E questi approcci opposti si ripercuotono su strategie di vendita evidentemente polarizzate: una parte vende tanto a poco, l’altra vende poco a tanto; le linee sono parallele e non si incrociano, per scelta di entrambe le parti.

D’altronde, l’industriale è interessato al profitto indiscriminato, senza preoccuparsi della sterilità di un terreno stanco, pressoché morto, che non andrà in eredità alle future generazioni.

Pulicaro è stato concepito in modo da poter lasciare ai posteri uguali, se non maggiori possibilità di trovare fecondità utilizzabile saggiamente. Non abbiamo bruciato le risorse, non le abbiamo sfruttate, le abbiamo curate. I terreni biodiversi sono fertili, prolifici e così saranno probabilmente per chi verrà dopo.

Detto ciò, considero auspicabile una razionalizzazione di alcuni processi produttivi che alleggeriscano il lavoro umano, pur mantenendo il benessere animale. Non ho nostalgia del passato, piuttosto credo che si possa formare una nuova industria agroalimentare sapendo anche uscire dalla dinamica della piccola azienda familiare ed allargando leggermente la produzione secondo giusta misura. Viviamo in una società di persone iper-specializzate, mancanti tuttavia di una visione d’insieme: sfugge il collegamento tra le cose, tra un’azione di oggi e la derivante reazione di domani. Danneggiamo tutto e non riordiniamo, noncuranti degli altri. Siamo in grado di scavare una cava in pochissimi giorni, estraendo ogni granello di marmo disponibile, ma non abbiamo ancora capito se sia meglio usarlo per scolpire la “Pietà” o per vendere un piano cucina da appartamento.

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Una peculiarità di Pulicaro è la presenza dei numerosissimi cani. Quanto sono importanti?

Noi abbiamo una quarantina di pastori maremmani abruzzesi da guardiania, che si occupano di proteggere il gregge da intrusi esterni, principalmente lupi. Sono cani molto grossi e possenti, in grado di vincere lotte con animali più grossi di loro, ma al contempo docili con le pecore e bisognosi di una guida presente del pastore. Questo “canis pastoralis” ha un carattere forte ed indipendente, prende decisioni in autonomia, è psicologicamente tenace, puntuale e fondamentale per allevare all’aperto. Pulicaro è un piccolo centro di selezione di questa razza, testiamo la loro bravura e gli addestriamo. Ci sono affezionato, gli voglio molto bene e gioco sempre con loro: sono dei cuccioloni molto affettuosi ed amano le coccole, ma sanno essere feroci nel momento del pericolo. Senza di loro cadrebbe tutto il sistema di cui ti ho parlato prima, non riuscirei a mantenerlo integro.

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Vedi nascere i tuoi animali, crescono insieme a te. Come riesci, quando arriva il tragico momento, a non provare dolore?

Lo provo, eccome. Non è, sicuramente, la parte più bella del mio lavoro. Tutt’oggi mi addolora molto macellare gli animali, atto che compio in prima persona, senza nascondermi.

Tuttavia, mi sono sempre concentrato sulla vita dell’animale, non sulla morte. Lavoriamo duramente ogni giorno, tutto il giorno, per far vivere queste creature nel modo più etico possibile, prendendocene cura e garantendogli un’esistenza salutare, pacifica e bella.

Vorrei far passare un concetto che mi rendo conto essere lontano da chi non conosce questa realtà: certi animali non hanno paura di morire, ma di soffrire. L’idea della consapevolezza della propria morte e la conseguente non accettazione, è umana. Ciò non mi esonera dal dover procedere in modo rapido e rispettoso nell’abbattimento ma è come se, guardandoci negli occhi, siglassimo un patto inscindibile che mi obbliga ad onorare quella vita ceduta, celebrandola in ogni singolo osso.

Solamente vivere a stretto contatto con gli animali fa capire realmente certe sensazioni: l’emozione indescrivibile di far nascere un cucciolo con le proprie mani, la gioia di crescerlo ed il dolore che ti riporta alla verità. Mestieri come il nostro risiedono alla base della società, ma sono stati completamente mortificati dalla cultura moderna. Chi custodisce realmente il mondo? Chi lo cura? Chi ne conosce i processi intrinsechi, la sua non espressa voce, la poeticità, le criticità? Dobbiamo rivoluzionare il concetto di campagna, dobbiamo respirare, riavvicinarci alla primordialità e connettervi il cuore. Chi siamo noi, in fondo?

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Chiara e Marco hanno dedicato la loro intera esistenza a questo meraviglioso ecosistema, denso di significati e testimone di sinergie antiche. Vedere gli allevatori inginocchiati che aiutano una pecora ad allattare un piccolo agnellino appena nato, trasmette l’amore viscerale provato per gli animali e simbolicamente espresso nel mettersi in terra al loro pari, in loro soccorso, quasi inchinandosi reverenzialmente alla grandezza della natura. Sentimento che ritroviamo anche nella lotta quotidiana per il benessere umano, dunque animale, dunque del terreno.

Il problema sorge quando, per ingordigia ed avidità, ci troviamo ad aumentare follemente i numeri, essendo quindi costretti a riversare le creature al chiuso, torturandole nel periodo in cui, invece, dovrebbero essere curate al massimo. Visitare posti come Pulicaro, assorbirne le vibrazioni, accarezzare gli animali, abbracciarli, per poi provare quelle carni nel loro ristorante agricolo colpisce differentemente, forgia l’animo nella sua profondità più intima. Capire come funziona il mercato, il concetto di provenienza, di etica alimentare, è fondamentale per provare a limitare i danni che ci attendono nei prossimi decenni. Non siamo avulsi dal mondo naturale, non vi è alcuna dicotomia, siamo un tutt’uno. Abbiamo, ciononostante, la responsabilità di capire come il sapiente accudimento del Pianeta significhi, in realtà, salvaguardare noi stessi. Coltiviamo un Nuovo Amore per la Terra. Rinascimento agricolo.

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