Rasmus Munk: Il Futuro è Etica

Un dialogo con Rasmus Munk, visionario Chef e Direttore Creativo di Alchemist, attorno al futuro del cibo.

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Una sublimazione dei sensi, tutti. Una stimolazione estrema dell’intelletto. Una potente comunicazione non verbale, emotiva, ferocemente diretta. Un divertimento seriamente bambinesco, devoto all’etica. Uno stupore incomparabile. Totale ed ammaliante. Eccitante, disarmante.

Tutto questo è solo l’inizio di Alchemist, il progetto nato dalla mente visionaria di Rasmus Munk a Copenhagen.

Chef? Artista? Direttore creativo? Sicuramente una figura eclettica che partecipa ad ogni singolo dettaglio del ristorante.

Anche se, in effetti, il suo non è un ristorante: è molto di più. L’esperienza, che lui definisce “Olistica” si declina in decine e decine di “impressioni” commestibili, ed è completata da performance e proiezioni. Il team, un centinaio di persone, è composto naturalmente da cucina e sala ma anche da artisti, drammaturghi, scienziati, ricercatori e molti altri professionisti. Un universo virtuoso, che si manifesta in un dono al mondo intero.

Chi si ferma a giudicarlo “strano” sa di grattare soltanto una parte superficiale di quello che, ad oggi, è forse il tentativo più ambizioso della storia della cucina.

Ma oltre a tutto questo, Munk, dedica il proprio tempo a diverse importanti cause: vedi la straordinaria ricerca sui pasti spaziali, il commovente e mai urlato lavoro con i bambini malati in ospedale o la cucina dedicata al servizio di pasti per i più bisognosi della città.

In questo dialogo aperto, seguiremo la sua riflessione sul futuro dell’alimentazione, toccando otto macro-temi: l’evoluzione del mondo del fine dining, la normalizzazione di ingredienti alternativi, i problemi del sistema produttivo, il nuovo ruolo dello chef, la coerenza creativa, l’avanzamento delle risorse tecnologiche, la creazione di valore ed i pari diritti.

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Dai menu alla carta di una volta, alla vostra esperienza totale “Olistica”: ne abbiamo fatta di strada. Come evolverà il Fine Dining nei prossimi anni?

Credo che sia giunto il momento adatto per un cambiamento radicale di quello che il “Fine dining” rappresenta. Personalmente trovo che avere talento e risorse, nonché visibilità, senza sfruttarli a pieno, sia una grande occasione persa per l’umanità intera.

Mi capitò anni fa di servire, la notte di Natale, centinaia di famiglie in difficoltà con del cibo caldo e confortante: quella sera ho sentito dentro di me una tale emozione, una tale umana soddisfazione, da non riuscire più a cucinare bene degli ottimi ingredienti senza renderli “il tramite” di un messaggio più ampio. L’inseguimento della notorietà e della perfezione tecnica era diventato d’un tratto così piccolo, così insignificante. Ho lasciato il mio lavoro e ridato un senso a tutto il mio sapere, aprendo Alchemist nella sua prima e passata versione.

Continuiamo tutt’ora ad utilizzare la miglior qualità possibile e ci affidiamo a contadini ed allevatori etici, ma è diventata una base imprescindibile che non vogliamo mostrare più.

Credo, perciò, che oggi i grandi ristoranti debbano trovare il coraggio di abbracciare cause importanti e guidare il cambiamento sociale; o almeno tentare.

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Nel vostro menù proponete spesso ingredienti inusuali, al fine di creare consapevolezza. Quali prodotti, col tempo, diventeranno centrali e quali scompariranno gradualmente?

I mondi della carne e del pesce rappresentano oggi il problema primario, chiaramente. Ma vi sono diversi aspetti chiave da tenere in considerazione.

Partiamo col dire che tali prodotti dovrebbero, auspicabilmente, diventare alimenti celebrativi e raramente consumati, come il tartufo. Però qui la riflessione si infittisce e non può fermarsi alla dieta vegetariana o vegana: non abbiamo abbastanza risorse per garantire, a tutti, tale alimentazione in maniera sostenibile.

Ma anche la produzione di lavorati “plant-based” è un grosso punto interrogativo sia dal lato ambientale, che da quello della salute.

Noi, ad Alchemist, non abbiamo rimosso le proteine animali dal menu, non sarebbe probabilmente una giusta soluzione. Abbiamo invece voluto sostituire i tagli “pregiati” di animali commerciali con frattaglie e grassi di animali meno nobili e con portate a base di specie infestanti, quali ricci di mare, meduse, farfalle e king crab, ma anche alghe e piante marine. Mettiamo gli ospiti di fronte alla morte degli animali ed alla possibilità di individuare risorse di proteine alternative nelle loro forme più crude, con meno lavorazione possibile.

Il futuro sta nel consumo equilibrato ed occasionale, dunque nell’utilizzo etico di questo dono della natura, comprensivo di ogni parte commestibile dell’animale. E poi nella scoperta di risorse nutritive nuove, non penso ci sia scelta.

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Come può evolvere il sistema produttivo?

Questi sono forse gli ultimi anni utili per poter discutere il tema della sovrapproduzione e della tossicità della catena produttiva. È indubbiamente la parte più difficile da affrontare in questo settore essendo, specialmente nella cultura occidentale, estremizzata e divenuta fuori controllo. Non ci sediamo mai ad una tavola o entriamo in un supermercato dove manca qualcosa: siamo psicologicamente dipendenti dall’abbondanza e troppo confidenti di poter buttare qualcosa che, per ignoranza, non ci convince.

Ma in questo ambito deve agire l’alta cucina: invece che sederci da una parte ed interpretare il ruolo dei “buoni”, accusando l’industria di agire per il male dell’umanità, dovremmo affiancarci in dialogo stretto e provare ad innovare e consigliare le grandi aziende. Abbiamo conoscenze che possono essere messe a servizio di una produzione più verde, possiamo insegnare come ridurre lo scarto mantenendo qualità e sostenibilità.

Il divario tra il mondo industriale e gli chef è troppo ampio e polarizzante, non aiuta all’ottenimento di un obiettivo comune.

Fortunatamente le grandi realtà sono sempre più disposte a scendere a compromessi. Per profitto? Anche, ma forse è il motore necessario ad attivare grandi manovre.

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Abbiamo visto una grande evoluzione del ruolo del cuoco: da umile lavoratore, ad icona del cambiamento. Come evolverà ulteriormente?

Questo mestiere ha guadagnato tanto negli ultimi anni e molto sta anche dando indietro, ma non abbastanza: serve più studio, più passione pura, non deviata da programmi televisivi o riconoscimenti prestigiosi. Troppi cuochi oggi lavorano solo per soddisfare il proprio ego.

Ma c’è un ulteriore aspetto da considerare: la transizione del ruolo. Se prima la mansionie riguardava pressoché soltanto la cucina, oggi siamo già di fronte ad una concezione di cuoco-imprenditore.

Personalmente trovo stretta la definizione di “Chef”, in quanto è soltanto uno dei ruoli che ricopro in Alchemist: sono co-proprietario, partecipo attivamente al lavoro di R&D, di interior design, di VFX, di creazione di tableware e di vestiario, di performance, di comunicazione. Insomma, una sorta di eclettismo che trovo calzante per la figura di uno chef contemporaneo: sempre più istruito, educato e coinvolto. Alla fine ho scoperto che la potenzialità creativa fluisce attraverso molteplici canali e comporta una grandiosa coerenza ed una profonda stratificazione di significato.

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Coerenza, parliamone. I grandi ristoranti del pianeta offrono lunghi menù creativi in costante cambiamento. Quanto è difficile innovare costantemente rimanendo, appunto, coerenti?

Credo che sia una domanda fondamentale da porsi. Ogni volta che assumiamo nuovi membri dello staff di R&D, cerco sempre di spiegare il concetto di limite. Sapersi esprimere, saper fare avanguardia, secondo misura. Ovvero: non servire un piatto “strano” perché è nuovo o d’impatto, ma solo se accompagnato da un messaggio più ampio. Le nostre missioni sono chiare e limpide e lavoriamo di conseguenza, senza farci influenzare dalle potenzialità individuali.

Se tutti fossero a conoscenza di quanto potremmo stupire, di quanto a fondo potremmo spingerci, si chiederebbero il perché ci si fermi di fronte a certe innovazioni. Potremmo servire interi menù di ingredienti e piatti provocatori, ma a quale scopo?

Agiamo in maniera eclatante per convogliare messaggi importanti alle masse, siano questi relativi al donare sangue, all‘inquinamento o alla gestione della privacy nella società odierna.

Proponiamo un’esperienza sbalorditiva e “al limite”, così da rimanere impressa nella memoria collettiva e provare a condividere qualche idea, ma non agiamo mai per puro intrattenimento o per inseguire la gloria. Il risultato finale, quello che fa clamore online, è soltanto il mezzo per convogliare attenzione: di chiunque, non solo di esperti, perché a tutti piace essere stupiti.

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Come la tecnologia continua a cambiare il lavoro quotidiano in cucina e l’esperienza degli ospiti?

La tecnologia è parte integrante dell’Alchemist e si traduce in un miglioramento dell’esperienza offerta agli ospiti. Ovviamente la parte fondamentale del percorso è legata alla qualità delle preparazioni: servire un pesce stracotto in un bellissimo ambiente è comunque un fallimento. Però i due aspetti si possono aiutare, spalleggiare e creano una sinergia unica.

Noi proponiamo molte “impressioni” che vengono poi associate a performance o proiezioni, dando così la possibilità a chi mangia di fissare nella propria mente il momento, associandolo poi al messaggio e pertanto assimilandolo facilmente.

Non vogliamo imporre o convincere, ma solo lanciare il concetto.

Mangiare un pesce coperto da una“plastica” commestibile, in un piatto trasparente pieno di rifiuti trovati in spiaggia ed osservare sulla nostra cupola un mare di spazzatura, comunica qualcosa di forte, di brutalmente veritiero. Le possibilità sono infinite.

E poi parliamo di macchinari in cucina, senza i quali il laboratorio avrebbe meno opportunità. Ci consentono ad esempio di controllare molto accuratamente le fermentazioni, i valori nutrizionali, creare nuove consistenze e forme più precise ed impensabili, esteticamente accattivanti, impossibili da realizzare con metodi tradizionali.

Anche in questo caso tutto deve avere un contesto ed un senso, poca tecnica viene rivelata al cliente e nulla viene realizzato per il puro gusto di provare la nostra bravura.

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Mangiare è un atto istintivo e dato troppo spesso per scontato, non sempre associato ad un fine diverso da quello della nutrizione o dal piacere del gusto. Il mondo del cibo avrà mai il valore che oggi hanno altre industrie creative?

Ne stavamo giusto discutendo poco fa assieme al team. È molto difficile creare valore in questo settore, perché il prodotto finale è spesso collegato alla deperibilità.

Stiamo lavorando a diversi brevetti, su varie tecnologie e lavorazioni, che potrebbero aprire un bel percorso a nuove forme di scambio tra professionisti ed aggiungere un interesse verso questo mondo che vada oltre il buon cibo e l’esperienza, sfociando nel business sanamente competitivo. Quel profitto etico che ti permette poi di pagare meglio i dipendenti ed investire in progetti virtuosi, creando quindi anche valore sociale.

Un importante artista contemporaneo mi disse che è la cucina a doversi considerare arte per prima, così da poter essere poi percepita come tale anche dagli altri. E forse ha ragione.

Forse, dobbiamo avere la forza di credere che il nostro mestiere sia uno dei più potenti veicoli di ideali; perché parliamo allo stomaco, dialoghiamo con quella parte primitiva che risiede nel cervello umano e colpiamo dove poche altre discipline possono. E la cucina “Olistica” è proprio il connettere l’intelletto raziocinante e quello animale, irrazionale, senza però rinunciare ai temi della nutrizione e del gusto di cui parlavi. Quelli rappresentano la base, così come l’essere Chef abbiamo detto essere la possibile partenza di un nuovo mestiere più ampio.

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La ristorazione sta affrontando molti problemi anche a livello di diritti sociali e pari opportunità. Come può progredire la situazione?

Molti colleghi, troppi, lavorano in modo deprecabile, violento. Dovrebbe essere passata l’epoca dello chef autoritario che alza le mani ed urla, ma non è così.

Si sottovaluta spesso la violenza psicologica, alle volte più distruttiva di quella fisica. Anni di sottomissione verbale portano ad un annullamento dell’umano; e tutto questo per cosa? Per una cipolla cotta male?

Noi ci siamo potuti permettere la scelta di prezzare il menù in maniera importante, assicurando così a tutti i numerosi membri dello staff un orario di lavoro dignitoso ed una giusta remunerazione.

Purtroppo mi rendo conto che non tutti i ristoranti possano fare questo, ma la cortesia ed il rispetto non costano niente, è solo cultura. Questo riguarda sia lo sfruttamento del lavoro, che la parità di genere.

Ci vuole un ricambio generazionale, menti aperte ed un impegno costante nell’insegnamento della leadership. Nel futuro, risiede l’etica.

Il lavoro che Rasmus Munk porta avanti nel suo Alchemist è speciale, è complesso, è profondamente umano. Le questioni sul futuro del cibo sono ampie e determinanti per la nostra sopravvivenza sulla Terra: provare a inserirle gradualmente nel discorso quotidiano, potrebbe essere l’unica vera soluzione verso un cambiamento culturale necessario, urgente. Possiamo e dobbiamo sforzarci di passare dall’era dell’impatto umano sulla Terra a quella della consapevolezza. Essere leader, come gli umani si vedono rispetto alla natura, significa anche proteggere ed aiutare i più deboli, ammettere gli errori, limitare il proprio potere e usarlo con coscienza.

Uno sforzo che, forse, comporterà la nostra salvezza.

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