Stromboli: è difficile essere sostenibile se non sei un piccolo pescatore.

Il mare copre il vulcano Stromboli lasciando esposta la porzione sommitale che non smette mai di sbuffare e aspergere lava.

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Sull’isola di Stromboli, una delle sette dell’arcipelago eoliano, è presente una comunità di piccoli pescatori che, vivendo i cambiamenti del mare e delle sue regole, porta avanti una pesca artigianale, in cui non mancano irregolarità e cattive abitudini, ma che rappresenta comunque una delle forme di pesca – e di consumo delle proteine animali – tra le più sostenibili cui possiamo aspirare nel Mediterraneo.

Il mare copre il vulcano Stromboli lasciando esposta la porzione sommitale che non smette mai di sbuffare e aspergere lava. In questa porzione di terra, che divide l’acqua dal fuoco, gli isolani vivono in costante conflitto con una natura che sarà pure bella, ma non regala mai niente se non la poesia. La terra è difficile da lavorare e gli agricoltori hanno preferito dedicarsi ai meno faticosi check-in e check-out dei turisti, invece che coltivarla. Non tanto per pigrizia, quanto perché qui è un problema anche avere l’acqua per irrigare.

L’acqua, infatti, arriva sull’isola tramite le navi cisterna, che settimanalmente partono da Napoli per raggiungere l’arcipelago e ricaricarlo del bene primario, ma comunque non potabile.

E come fanno a essere sostenibili una ciliegia o un cetriolo coltivati con metodo tradizionale, magari anche biologico, ma cresciuti con acqua trasportata in una nave alimentata a gasolio?

Ecco il grande segreto di un’isola fatta di natura come Stromboli: per sostenersi, i suoi abitanti devono ricorrere a metodi di vita insostenibili. L’acqua, gli alimenti di prima necessità, le carni, devono arrivare dalla terra ferma e percorrere numerosi chilometri. Anche l’energia elettrica non è pulita, perché alimentata da piccole centrali locali a combustibile, che impatta sull’ambiente. Enel ha migliorato l’impatto negli anni, ma non basta.

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Insomma, le isole come Stromboli sono luoghi di natura e di vita sostenibile solo rinunciando ai benefici basilari di un Paese civile dei giorni nostri.

C’è un settore, però, che trova un suo equilibrio perché risorsa locale che non richiede interventi dalla terraferma e che non è stato ancora abbandonato: la pesca artigianale.

L’isola conta ancora su un gruppo di persone – tra vecchia e nuova generazione – che praticano la piccola pesca, riuscendo a soddisfare a pieno la richiesta degli abitanti dell’isola e, in parte, la richiesta durante la stagione estiva, quando Stromboli è piena di turisti.

La striscia di spiaggia che affianca il porto di Stromboli è una distesa di piccole imbarcazioni, tra le quali sostano i pescatori che maneggiano le reti e trafficano sulla riva. Gaetano, uno dei pescatori senior, mi dice che a qualcuno sull’isola le barche danno fastidio. «C’è un problema con la rimessa delle barche, che non potrebbero stare in spiaggia. Un tale che veniva da Napoli voleva mettere gli ombrelloni e fare soldi qui, in questo pezzo di spiaggia che usiamo noi pescatori. Ci diceva che è illegale tenere le barche così, ma dove le dovremmo tenere? Servirebbe un piano spiagge, ma chi se ne occupa?»

Sono le 7:30 del mattino, Gaetano e il nipote Valentino hanno riportato le loro imbarcazioni a riva e si stanno occupando del (poco) pesce pescato. Valentino già armeggia con la bilancia per i clienti che sanno di poter acquistare direttamente in spiaggia il pescato fresco. Sauri (sugherello, in italiano), totani e calamari insieme a qualche scorfano. Gaetano chiede subito di non essere fotografato in volto. Ma l’attenzione dell’obiettivo è sulle sue mani che stanno liberando pesci e granseole dalla rete. Nel farlo, ha voglia di chiacchierare, mentre i gabbiani intorno fanno da sottofondo e sperano di ottenere qualche pesce di scarto.

«Abbiamo un grosso problema con l’inquinamento. Il mare non è tenuto bene ed è sfruttato in modo sbagliato. La pesca è regolamentata nel dettaglio, ma la gestione del mare no, così ci troviamo con i diportisti che non rispettano le semplici regole di base, e non c’è nessuno che vigili su questo.»

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Per Gaetano il problema dell’inquinamento del mare è un tema urgente e vede nella nautica da diporto molte delle cause. Non è proprio così, e i dati sull’inquinamento degli oceani ci raccontano un quadro molto più complesso che non è generato solo da chi fa le vacanze in barca.

Secondo il Report 2022 del WWF sull’inquinamento degli oceani, il Mar Mediterraneo ha già raggiunto la soglia massima tollerabile di inquinamento da plastica, oltre la quale sussiste un rischio ecologico significativo.

229mila tonnellate di plastiche si riversano ogni anno nel Mare Nostrum e più della metà di questa plastica proviene da tre Paesi (32% dall’Egitto, 15% dall’Italia, 10% dalla Turchia). In particolare, il bacino del Tirreno, la porzione di Mar Mediterraneo che bagna le Eolie, conta la più alta percentuale di microplastiche mai misurate nella profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.

Inquinamento che sta già mostrando i suoi effetti sulla catena alimentare, con i pesci (compresi quelli di interesse commerciale) che mangiano le microplastiche e riportano danni alla salute. A questo si aggiunge il peso delle nano plastiche che possono finire anche nei nostri piatti e di cui ancora non sono chiari gli effetti sull’essere umano.

Il ruolo della pesca sull’impatto nel Mediterraneo non è certo un dato trascurabile. Secondo la FAO, il 18% del pesce pescato dai sistemi di pesca grossa, usando metodi che devastano il fondale marino (la pesca a strascico, per esempio), viene poi rigettato in mare perché definito non idoneo.

Sempre secondo il report dell’Organizzazione delle Nazioni Unite dedicata all’alimentazione, il pesce rigettato compromette gli equilibri marini con una riduzione della biomassa riproduttiva in quanto, spesso, i pesci scartati sono quelli di dimensioni piccola, che non si sono ancora riprodotti. Questo corrisponde a una compromissione della pesca futura e marchia il Mediterraneo come uno dei mari più sovrasfruttati al mondo.

Diverso accade nel sistema della piccola pesca, quella condotta con barche di piccole dimensioni entro le 12 miglia dalla costa. Le attrezzature usate sono decisamente meno invasive, e i rigetti in mare di pesci non idonei sono decisamente più bassi.

«È impossibile», dice Gaetano, «evitare di catturare pesci che poi dobbiamo rigettare in mare, ma non capita così tanto spesso.»

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I pescatori di Stromboli sanno che un pesce di piccole dimensioni è un’occasione persa per il futuro, ma l’utilizzo di reti da posta permette di fare selezione fino a un certo punto.

L’età dei pescatori avanza, e l’uso di metodi di pesca molto selettivi come la fiocina o il palamito sono sempre meno sfruttati. I più giovani raramente si avvicinano a queste forme di pesca, perché possono ridurre la resa, vanificando una giornata di lavoro.

E la sostenibilità è anche questo: guardare al benessere socioeconomico delle popolazioni, oltre che al bene dell’ambiente. Una triangolazione di interessi che vede, nel settore della pesca artigianale, l’uso di strumenti come le reti, che si posizionano come attrezzo di lavoro ideale.

Le leggi sulla pesca sono molto chiare nel definire il tipo di reti ammesse e il tipo di utilizzo. Questo però non pare essere sufficiente, dato che, secondo uno studio pubblicato su Nature nel marzo 2021 e condotto da 26 biologi marini, l’Italia è il terzo Paese per emissioni di CO2 derivate dalla pesca a strascico, una pesca dannosa e molto sfruttata dall’industria ittica ma non praticata dai piccoli pescatori.

Gaetano racconta di come fosse usanza, invece, l’uso della rete ferrettara, uno strumento che consentiva una maggiore raccolta di pesce, anche di taglia grossa come spada e tonni. Seppur ammesso ma con limiti, l’uso di questa rete è diventata problematica per due motivi: da una parte, la pesca di pesci come lo spada e il tonno sono soggetti alle quote (ogni pescatore non può pescarne più di un quantitativo annuo e questo deve essere registrato); d’altra parte, e più importante, è che le ferrettare possono avere un impatto ambientale più pesante rispetto alle reti tradizionali, in quanto capaci di catturare e uccidere delfini, tartarughe e altri pesci commercialmente interessanti ma ancora di piccola taglia. Gaetano questo lo sa, ma minimizza.

Ancora più sostenibili delle reti sono le nasse, piccole gabbie da calare in mare per la cattura di pesci e crostacei. Il pescato è sicuramente minore ma l’impatto sull’ambiente è minimo.

È evidente come il peso sull’ambiente dell’industria ittica possa essere devastante mentre la pesca artigianale può rappresentare una risorsa preziosa, capace di sfruttare metodi sostenibili, riducendo al minimo l’overfishing e distribuendo il pescato nel territorio di pesca.

Non a caso, il 2022 è stato scelto dall’ONU (l’Organizzazione delle Nazioni Unite) come l’anno internazionale della pesca e dell’acquacultura. Questo avvenimento, sostenuto e organizzato dalla FAO, vuole mettere in risalto l’importanza del pesce nell’alimentazione e nelle tradizioni di buona parte del pianeta, ma anche mostrare che il lavoro dei piccoli pescatori e della pesca artigianale può dare un concreto segnale positivo alla sfida alimentare, adattarsi ai cambiamenti climatici e rappresentare un’alternativa più sostenibile ai grossi sistemi di pesca.

Il lavoro dei pescatori nella mattina di Stromboli procede ed è il momento della consegna del pescato ai ristoratori. C’è qualcuno che usa solo pescato locale e porta avanti una filosofia di ristorazione a vocazione sostenibile che, in un’isola come questa, significa metterci davvero molto impegno e dedizione.

Dalla spiaggia dei pescatori, superata la spiaggia di Scari, si trova uno dei ristoranti meglio gestiti dell’isola: il Ristorante Punta Lena. Prende il suo nome dalla zona previlegiata in cui si trova: affacciato sul mare e con le vetrate che guardano Strombolicchio, un grande scoglio (più tecnicamente un neck) che veglia sull’isola di Stromboli e che custodisce un faro.

Milena Oliva gestisce con un’elegante passione questo locale che propone il miglior pescato del giorno di tutta l’isola, ed è anche a lei che Gaetano e Valentino vendono il pesce.

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«Molti pescatori lavorano ancora con le tecniche e le attrezzature tramandate dagli avi. Non si aggiornano, e quindi non conoscono i materiali più sostenibili con cui possono essere fatte le reti. Penso alla canapa, per esempio, che potrebbe sostituire materiali più inquinanti se dispersi in mare.»

L’attenzione alla sostenibilità da parte di Milena è una specie di missione sull’isola e racconta del lavoro di dialogo che fa con i suoi fornitori-pescatori affinché virino sempre più verso scelte etiche per il mare e il pesce.

«Cerco di sensibilizzarli, a volte giocando e scherzandoci su. Provo a spiegare loro di quanto sia importante non lasciare in spiaggia i residui plastici degli attrezzi di pesca, di non abbandonare i galleggianti in mare e, soprattutto, di recuperare le reti perse, che costituiscono dei muri della morte per molte specie marine. Ma soprattutto, non accetto pesci che non abbiano una taglia adeguata.»

Ma c’è un altro problema che impatta sulla sostenibilità e sulla corretta gestione dell’attività della piccola pesca: l’evasione fiscale.

«Ho un grande problema con le fatture del pesce. I ristoratori hanno bisogno di tracciabilità del prodotto e devo quindi trovare soluzioni alternative per spingere i pescatori a fatturare e rilasciarmi una bolla di consegna. Anche questo fa parte del mio lavoro per spingere il sistema verso una direzione più giusta.

Per ovviare al problema, spesso mi faccio carico del costo dell’iva dei pescatori. Con il paradosso che, alla fine, a me che il pesce lo compro tutto l’anno, costa più che al turista che lo compra in spiaggia, in nero.»

Milena è severa sul tema della sostenibilità, ma nonostante le difficoltà è indulgente con i pescatori ai quali riconosce un grande impegno nel portare avanti un lavoro faticoso e che, nonostante alcune leggerezze, rimane, anche per lei, la forma di pesca più sostenibile cui si possa aspirare.

«Non so se i miei colleghi ristoratori ci mettono lo stesso spirito e impegno. Se anche loro rompono le scatole sulla pezzatura dei pesci, per esempio. Ma nel 2022 il sistema può diventare sostenibile solo se ciascuno fa la sua parte, compresi i giovani pescatori dell’isola che possono sfruttare internet per informarsi e lavorare su metodi di pesca meno impattanti.»

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La sostenibilità a Stromboli non è spontanea e scontata, ma un impegno di continua ricerca che va fatto su ogni materia prima.

Bisogna fare una costante selezione del prodotto, fare riferimento ai produttori più vicini, delle altre isole, ridurre le distanze per quanto possibile.

Anche le verdure sono un grande problema. Sull’isola c’è poco prodotto, e bisogna farlo arrivare dalla Sicilia senza che ne risenta la qualità.

«Nelle isole vicine ci sono realtà agricole e casearie di grande rilievo. Penso al Caseificio Lo Piccolo, a Vulcano, da cui recupero i formaggi, o le buonissime more addomesticate, cresciute sui filari per aumentarne la resa. Il resto lo recupero dalla Sicilia, compresa la mia carta dei vini, che ha solo etichette della nostra regione.»

Intanto si avvicina l’ora del pasto e, dopo tante chiacchiere sul pesce, quello che rimane è capire meglio cosa sarà del pesce una volta in cucina. Quelli di Stromboli sono piatti tipicamente poveri, arricchiti degli odori delle erbe aromatiche dell’isola e di ingredienti quasi sempre asciugati dal sole o dal sale (pomodori secchi, capperi, pangrattato). C’è un pesce che meglio rappresenta questo mare?

«Senza dubbio il gamberetto rosso di nassa. Da mangiare crudo, ma non al ristorante, possibilmente appena portato a riva dai pescatori o, meglio ancora, appena tirato su dalla nassa sulla barca: un’esperienza da fare! E poi penso allo Scantaro (tanuta, in italiano), della famiglia degli sparidi, pesci grandi come saraghi, pezzogni, orate. È un pesce simile al sarago ma con una carne più compatta. Cotto al forno, con gli aromi dell’isola, rosmarino, prezzemolo e limoni raccolti nei giardini qui vicini.»

E con il sogno di un pesce locale cotto negli aromi dell’isola, si chiude un viaggio che inizia e finisce a Stromboli: una terra piena di natura, ma che, per sua natura, non sembra poter offrire una vita comoda e sostenibile allo stesso tempo. E poi c’è il mare, che sta degradandosi silenziosamente e senza sosta. I pescatori di Stromboli assistono al suo impoverimento, sanno di non essere diretti responsabili perché la piccola pesca è vitale per l’isola e a basso impatto per il mare. Eppure, si può fare di più: Gaetano, Valentino e tutti i piccoli pescatori possono lavorare meglio sui propri sistemi, i ristoratori come Milena possono pretendere maggiore attenzione, e gli isolani possono denunciare i diportisti che non rispettano il mare. E poi ci siamo noi, con le nostre Birkenstock ai piedi che arriviamo per vivere il sogno dell’isola sperduta, ma che dovremmo evitare di ordinare al ristorante impepate di cozze e salmone, e optare per pesci, magari anche con le spine, ma che appartengono a questo mare.

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