Il battito del bosco, il diario del tartufaio
A scuola di teatro e storytelling per imparare a decifrare il mistero infinito del tartufo.
Come si racconta oggi un evento che dura settimane, se non mesi interi? Come si affronta lo storytelling di un singolo prodotto della natura, buono da far paura ma non certo per tutte le tasche, e tantomeno per tutti i palati? C’è chi ne patisce anche solo l’odore e chi lo considera un profumo soave. Ma come si accendono i riflettori ancora e ancora su un territorio in cui tutto si fa pepita d’oro? O meglio, per centrare il fulcro del discorso, d'oro bianco?
Serve un Ente del Turismo che in qualche modo sia illuminato di lungimiranza, vedendo oltre e prima, oltre a pensare in grande, bravo a fare un passo indietro per vedere meglio. Ad Alba, patrimonio mondiale dell’Umanità, dal giugno 2014 le nostre sorti (amato patriottismo!) sono state decise in una riunione tenutasi a Doha, in Qatar. Siamo nel Cortile della Maddalena, alla 91ª edizione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba, la prima post pandemia, quella che punta tutto sull’etica e la sostenibilità e non solo perché oggi va di moda così. “Connessi con la natura” è il claim scelto, ma a finire sotto la lente d’ingrandimento è come è stato dato il via alla stagione. Parliamo del momento esatto in cui parte la cerca per i trifolao di tutto il Piemonte, il Tuber Primae Noctis o Capodanno del Tartufo.
A dettare i tempi è il Battito del bosco, più che un suono un vero e proprio spettacolo teatrale, nato in seno al progetto Pays Aimables, a valere sul Programma Interreg V-A ALCOTRA Italia/Francia 2014-2020, realizzato da Ente Turismo Langhe Monferrato Roero, in collaborazione con la Provincia di Cuneo. Anteprima di qualcosa che girerà il mondo, come quel tartufo che tutti cercano, e frutto delle menti creative che si trovano all’interno della Scuola Holden, dove si insegnano storytelling, narrazione, comunicazione e arti performative dal 1994. Due gli elementi simbolici messi in scena: una cassa di legno, che idealmente contiene storie e oggetti dell’Alta Langa e che trasporterà la protagonista in un mondo diverso, e il quaderno di un cercatore di tartufi, da cui provengono informazioni e aneddoti. Altrettante le voci che si intrecciano nel testo, diverse ma ugualmente capaci di restituire la moltitudine di approcci e di punti di vista. La protagonista del monologo è una ragazza, l’altra voce è quella della tradizione, costruita a partire dalle parole e dai racconti delle tartufaie e dei tartufai.
Sono gli anni in cui guarderemo al territorio selvatico come a qualcosa di
umano, e viceversa. In cui non saremo noi a salvare gli alberi, ma loro a
salvare noi, da un clima sempre più caldo. Siamo sempre noi a creare le
nostre sfortune e fortune, un errore dopo l’altro. Ma se ascoltiamo chi ci
ha preceduto, chi ci è accanto, da quegli errori possiamo anche imparare
qualcosa. Io proverò a farlo. Ripartire da capo. Sbagliare meglio.
(Dallo spettacolo "Il battito del bosco")
L’idea è figlia degli Holden Studios by Scuola Holden, la messa in scena è a cura della compagnia inQuanto teatro, la regia è di Giacomo Bogani (con Diletta Oculisti, testo di Andrea Falcone e Matilde Piran, supervisione drammaturgica di Lucilla Giagnoni, illustrazioni di Giovanni Gastaldi, musiche di Daniele Carcassi, costumi di Floor Robert, voce di Primo Culasso, disegno luci e tecnica di Laura De Bernardis). Quanta gente per un fungo, per una trifula, dannata spora dorata capace di entrare in un alone di luce dal buio alla notte, sfuggendo ad ogni regola. Lei che cresce sottoterra, non è bella per natura ma dicono che “colpisca i neuroni più nascosti di una memoria animale”. All’asta va a ruba ma svanisce poco dopo. E se è vero che compri un tartufo, è altrettanto vero che a casa porti un profumo.
Mauro Carbone, general manager dell'Ente Turismo Langhe, Monferrato, Roero e direttore del Centro Nazionale Studi Tartufo, ne parla con toni quasi solenni: “Non si è mai arreso. Nasce dove, quando e come vuole, secondo un processo naturale di cui si sa molto ma non a sufficienza da controllarne la produzione. Non scende a compromessi: bada solo al meteo e alla luna. Lo si può scovare, non produrre. E lo si può scovare solo con l’aiuto del cane, che passa intere notti con il naso a pochi millimetri dal terreno”.
Potrebbe esserci poco da aggiungere sul tartufo bianco d’Alba nel 2021, dopo 91 edizioni di Fiera. Eppure, qualcosa di legato al paesaggio, inteso come risultato di una somma di territorio, conservazione, antropizzazione positiva ed esperienza secolare, va ancora sottolineato. Il paesaggio che si concretizza nella narrazione delle dinamiche stagionali alla base del patrimonio tartufigeno, il paesaggio che si compone dell’esperienza e della narrazione del cercatore attraverso la sua interazione con la natura, che ne garantisce e perpetua l’esistenza. Ci sono le voci, le parole e le storie di chi custodisce quella terra da secoli. C’è lo sguardo di chi magari ci mette piede per la prima volta. C’è il valore dell’incontro, un gioco di contrasti e di livelli che si sovrappongono fino ad allinearsi. La ragazza che arriva dalla città, il vecchio cercatore di tartufi. Il cane, l’essere umano. Il desiderio di ricerca, il rispetto dovuto. Resta solo una cosa da augurarsi. Che sia il primo capitolo e che il resto sia ancora da scrivere.
Si apra il sipario, si spengano le luci. Che la ricerca abbia inizio. I tempi sono maturi.