Gli ultimi bocconi del temporary di uno chef magico, che tra il fuoco e il sacrificio progetta la nuova salumeria italiana.
La parola Arso, in Italiano, significa consumato dal fuoco. La conseguenza di quell’ancestrale potere distruttivo dell’elemento fuoco, che è anche salvezza, comfort ed evoluzione.
Ed è dunque la parola che meglio va a delineare la silhouette della visione personale di Tommaso Tonioni dal giorno uno.
Ma diamo prima un po’ di contesto. Tommaso è un giovane cuoco dal solido background in importanti ristoranti come Pierre Gagnaire ed Asador Etxebarri. Nel 2020 decide di lasciare Roma per cambiare drasticamente la propria vita.
Siamo agli inizi del 2021 quando Tonioni apre le porte di Arso, il suo nuovo pop-up restaurant nella prestigiosa azienda agricola di Pulicaro, Lazio, gestita dall’allevatore illuminato Marco Carbonara. Dietro questa “cucina rurale contemporanea”, come la definisce lui, ci sono tanti significati.
Affiancato dal partner Stefano Delia, curatore di tutta la comunicazione del lavoro in Arso col quale condivide metodi di lavoro e visione, Tonioni si è avventurato in una versione di prova di questo stupendo progetto culturale, terminato qualche giorno fa. Con lo chef abbiamo parlato di passato, di futuro e di tutto ciò che vi è nel mezzo.
Tommaso Tonioni nell’orto di Pulicaro/Foto Stefano Delia
Come hai preso la drastica decisione di trasferirti a Pulicaro?
Sono sempre stato affascinato dagli animali e dalla vita selvaggia. Anno dopo anno, diventava sempre più chiaro nel mio cuore come la strada da seguire fosse quella più vicina possibile alla natura, dove mi sentivo veramente vivo.
Dopo tanti anni passati ad imparare da chef, avevo bisogno di fare un passo in avanti, o indietro: dovevo imparare da un contadino, da un allevatore. Un pollo in fin dei conti viene da una fattoria: etica o meno, fattoria rimane. E devi sapere come funziona.
Pulicaro è un’azienda agricola zootecnica dove verdura, frutti ed erbe viaggiano di pari passo ad animali allevati allo stato semi-brado.
Qui cucini ciò che trovi e sei governato da ritmi naturali lenti che non puoi ignorare. Non c’è ego, non c’è un menù predefinito. Solo quello che la prossimità ed il momento offrono; non puoi decidere la morte di un animale specifico e nemmeno lo spreco, è anche parte della tua economia quotidiana. Ma direi anche che non ci sono contadini o macellai. Sei solo ed in carica di ogni mansione. Vita e morte si intrecciano, entrando nella tua quotidianità, in un gioco drammaticamente affascinante e spirituale.
È una totale rieducazione.
Preparazione del collo di pollo/Foto Stefano Delia
Come tutto questo ha impattato sulla tua cucina?
Credo che il piatto più adatto per rispondere alla tua domanda sia anche quello forse più iconico e richiesto: il collo di pollo ripieno. Generalmente, le teste del pollo solo le prime ad essere eliminate dal resto del corpo. Sono pezzi con poco mercato similmente a molti tagli di certi animali adulti ma che, se saputi lavorare, hanno potenzialità infinite . In realtà, la preparazione del collo di pollo ripieno, è abbastanza tradizionale [tipicamente bollito] ma ho deciso di darle un aspetto più pop. Il collo viene farcito come uno scotch egg, fritto e terminato con una polvere di peperone sciuscillone e altri condimenti. Con Stefano abbiamo anche realizzato un video, chiamato “Sul sacrificio, la mortalità, il consumo e la responsabilità”. Mostra la preparazione, ma riflette anche sul lusso dello spreco che ci siamo concessi e sul significato di scarto. Lavorare con questo tipo di ingredienti orienta verso il concetto di desueto e amplia gli orizzonti della propria creatività. Utilizzare animali o vegetali meno comuni è uno dei primi passi verso l’alimentazione futura, fatta di saperi e coscienze.
Infornata di pane/Foto Stefano Delia
Cosa hai imparato in questo ultimo anno?
Professionalmente ho imparato i veri valori. Essere chef ti porta a conoscere le tecniche, ma può anche allontanarti dalle tue radici. In questi mesi con Marco ho appreso tanto. La gran parte delle nozioni che mi ha tramandato sono preziose e poco note, connesse alla materia prima ma anche al mercato.
Ho voluto rafforzare l’anello tra allevatore e chef, piuttosto che seguire solo quello col cliente. Senti cose che cambiano e trasformano radicalmente la tua visione di questo mestiere. Personalmente, ho capito l’importanza del Rito. La vita dello chef è routine che, qui ad Arso, veniva scandita dalla natura. Ognuno di noi compiva azioni quotidiane e rituali costanti in perfetta sinergia con la terra. Perciò il cibo che servivamo alla tavola era si diretto e materico, ma anche denso di significato e valore culturale. Vivo e vibrante di energia.
L’esempio più bello in questo senso è, secondo me, il pane. Una preparazione antica e preziosa, oggi totalmente domata e dalla accuratezza tecnica spaventosa. I nostri pani, fatti usando ingredienti sempre nuovi come fagioli o zucca, venivano volontariamente preparati e cotti in un forno a legna senza l’ausilio di termometro o altri elementi tecnologici.
Il calore che sentivo sulle mani per “misurare la temperatura”, la forma approssimata, quella sensazione di un impasto rustico e non rifinito: risulta tutto in un prodotto tecnicamente meno perfetto, ma dal profondo valore umano.
La farina ruvida al tatto, i profumi, il tempo necessario a curare il forno: tutto questo rende il mio cuore pieno di poesia e trasferisco questo amore al prodotto di cui i miei ospiti godranno.
Terrina di zucca, maiale e spirulina/Foto Stefano Delia
Cosa sarà il nuovo Arso?
Arso sarà sempre incentrato sul fuoco, approcciato dal mio punto di vista. E’ uno strumento che appartiene a tutte le culture e noi, Italiani, abbiano il nostro modo storico di interpretarlo.
Sono sempre stato emozionato dal concetto di focolare-cuore, dalle fiamme come centro pulsante del casale, dove tutti i membri delle famiglie contadine si riunivano per discutere e per mangiare, sfamarsi. Cucinare di fronte agli ospiti, avvolti dal calore di un camino: questa è l'ispirazione. Si tratta dell’importanza del Gesto. Il potere del gesto, antico e perduto, amplia i confini del piatto, arricchendolo di una nuova dimensione ora concettuale, ora istintiva.
Vorrei trovare un casale ed approfondire il regno dei vegetali e delle api. Un microcosmo dove sarà tutto auto-prodotto, circolare e dunque molto sostenibile. Vorrei sperimentare sull’ intera vita della pianta, partendo dal seme, e su tutto ciò che ruota attorno alle api, oltre il miele. Idealmente si troverà sempre tra Lazio, Umbria e Toscana: è qui che sto concentrando le ricerche.
Guanciale impollinato/Foto Stefano Delia
Qualche altra considerazione?
Mentre progetterò il nuovo Arso, lavorerò alla creazione di una nuova salumeria italiana. Sarà indagine ed evoluzione della storica produzione del nostro paese. Mi vengono in mente il guanciale impollinato o l’oca ripiena di pasta di salame. Inizierò anche una serie di Instagram live dove parlerò con contadini ed allevatori, per diffondere conoscenza.
Arso è stata una scuola fondamentale per me, nonché la conferma ulteriore che questo è esattamente ciò che voglio nella mia vita. Non è stato facile ripartire da capo ed adattarsi a nuovi compiti, spesso forti da digerire.
Oca farcita con pasta di salame/Foto Stefano Delia
Quello che Tommaso Tonioni sta costruendo va oltre la sostenibilità, oltre il farm to table, oltre la materia prima di qualità, oltre il gusto.
I suoi piatti sono forti, intensi e colpiscono dentro, dove non hai difese.
Sono culturalmente elevati ma l’idea rimane sempre nella mente del cuoco, mai urlata e comunque secondaria al palato.
Sedersi alla sua tavola significa essere trasportati in una dimensione confortevole ma tuttavia altamente stimolante.
Un’esperienza magica, costruita su antichi racconti, riti, storie personali e profumi, che riempie il cuore, la testa e l’anima.