La cucina nomade e sostenibile di chef Fatmata Binta

Nata e cresciuta a Freetown, in Sierra Leone, in una famiglia di Fulani di origini guineane, chef Fatmata Binta si definisce una moderna chef nomade.

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Nel suo ristorante Fulani Kitchen, con il quale viaggia per il mondo offrendo esclusive cene pop-up, la giovane vincitrice del premio Rising Star ai The Best Chef Awards 2021 desidera avvicinare le persone alla cultura africana e alla cucina sostenibile e supportare le donne Fulani nella loro battaglia per l'indipendenza economica e la perpetrazione delle tradizioni culinarie della loro tribù.

La cultura culinaria della popolazione Fulani, la più grande tribù nomade dell'Africa, è una storia di adattamento e sopravvivenza che si traduce in un uso consapevole degli ingredienti, dei sapori e delle tradizioni dell'Africa occidentale. Caratteristiche di cui la chef Fatmata Binta va particolarmente orgogliosa e che, con il suo ristorante nomade, desidera rendere note al maggior numero di persone possibile. “Sono nata in una tribù Fulani e l’ambiente in cui ho avuto la fortuna di crescere era meraviglioso. Ho vissuto a stretto contatto con la natura, ho appreso l’importanza e la bellezza della condivisione e sin da piccola sono entrata in contatto con una cultura culinaria immensa e perfettamente sostenibile che oggi desidero far conoscere al mondo intero. Attraverso il mio lavoro, infatti, voglio raccontare le storie dei Fulani, condividere la loro cultura e fare in modo che non vengano più visti solo ed esclusivamente come dei semplici pastori ma anche come una popolazione da cui trarre ispirazione", afferma. “Il loro senso di comunità e il loro modo di vivere sono stati molto importanti per me e la mia crescita personale e professionale. Ecco perché in Fulani Kitchen invito le persone a vivere appieno l’esperienza che propongo loro, lasciando come da tradizione le scarpe fuori dalla sala comune, accomodandosi sui tappetini stesi per terra, condividendo il cibo e usando le mani come posate”. E ovviamente, l’immersione culturale non può che passare anche attraverso il cibo. “Propongo pasti composti al 90% da grani, radici, verdure e ciò che verrebbe comunemente classificato come scarto o ingrediente non nobile. Inoltre, il mio menù degustazione cambia ogni giorno perché, proprio come le tribù variano il proprio cibo a seconda di dove si stabilisce la carovana, io adatto i miei piatti in base al luogo in cui li sto cucinando. È uno dei concetti alla base del nomadismo e ci tengo a rispettarlo”.

I viaggi di chef Binta

E il nomadismo è parte integrante della vita di chef Binta. Sin da piccolissima, infatti, per ragioni politiche e storiche, ha imparato a cambiare dimora molto spesso, adattandosi ad ogni tipo di situazione e vivendo di ciò che la natura offre. “Sono nata in una famiglia molto numerosa e uno dei ricordi più vividi che ho riguardo alla mia infanzia è che noi ragazzi eravamo sempre parte integrante del processo culinario: andavamo al mercato e aiutavamo ad apparecchiare la tavola e cucinare. Il cibo aveva un ruolo centrale per noi. Era come un gioco, ma per i nostri genitori era anche il modo di tenerci occupati ed insegnare alle ragazzine ad occuparsi della cucina un giorno". Ciononostante, la giovane Fatmata Binta non avrebbe mai immaginato di diventare una chef. Ha studiato e si è laureata in Relazioni Internazionali e dopo aver intrapreso una  carriera come conduttrice televisiva, si è trasferita a Madrid per insegnare l’inglese ed esplorare l’Europa. Una volta in Spagna, per far quadrare i conti, ha iniziato a cucinare per alcuni amici africani ed enti di beneficenza ed solo in quel momento, grazie ai commenti di chi assaggiava i suoi piatti, ha capito che avrebbe voluto intraprendere la carriera della cucina. Così, una volta tornata in Africa decide di frequentare il Kenyan Culinary Institute di Nairobi dove, dopo la laurea, inizia presto a lavorare nel settore dell'ospitalità. Ma la rigidità e la monotonia dei turni di lavoro, sommate alla consapevolezza che la sua amata cultura culinaria non era sufficientemente valorizzata e stava via via scomparendo, la convincono a cambiare nuovamente rotta e a lanciare il suo concept di cucina nomade Fulani. “Ho lasciato il mio lavoro e ho deciso di dedicarmi a conoscere al meglio la mia cultura in modo da poterla diffondere nel mondo. Ho passato diversi mesi vivendo e cucinando tra varie tribù Fulani, documentando le loro ricette, e quando mi sono stabilita ad Accra, in Ghana, ho deciso di organizzare cene ispirate ai miei recenti viaggi. È così che è nata Fulani Kitchen”.

Il fonio e la sostenibilità

Oltre a promuovere la cultura vasta e variegata della sua tribù, con Fulani Kitchen la chef Binta intende promuovere cibi e stili di vita più sostenibili.

“La sostenibilità non è una tendenza per me, è una seconda natura. Quando è scoppiata la guerra civile in Sierra Leone, la mia famiglia fu costretta a trasferirsi in Guinea, dove viveva mia nonna. Eravamo 300 persone e ci stabilimmo in un villaggio che poteva ospitarne la metà. I più anziani dovettero quindi trovare un modo per sfamare tutti al minor prezzo. Andavamo nei boschi a raccogliere la legna da ardere per cucinare, prendevamo l'acqua dai ruscelli, curavamo il nostro orto, cucinavamo le frattaglie che la gente non comprava al mercato e coltivavamo il Fonio, un antico cereale dell'Africa occidentale che è noto per essere altamente nutriente e capace di crescere in condizioni difficili in sole 6-8 settimane. Eravamo sostenibili senza saperlo. Ecco da dove viene il mio particolare interesse per questa tematica”.

Tutto, quindi, è iniziato come un viaggio personale alla ricerca delle proprie radici per la chef Binta, che ha trascorso anni a studiare ingredienti dell'Africa occidentale come il miglio, il dawadawa, l’egusi, l’ocra e il baobab, e che presto ha fatto del suo legame con l'ambiente e la cultura Fulani il veicolo del proprio successo.

L’impegno sociale

“Quando ho deciso di iniziare a studiare e promuovere la storia culturale del cibo africano, non sapevo che tale scelta avrebbe plasmato il mio modo di agire e vedere le cose sia come persona che come cuoca. Sono molto grata ai Fulani, in particolare alle donne della mia tribù, vere custodi delle tradizioni culinarie. Quando sono alla ricerca di un ingrediente o di ispirazione vado a trovarle al mercato e ogni volta imparo qualcosa di nuovo da loro, come gli innumerevoli benefici medicinali e nutritivi di cibi di cui spesso non conosco neppure l’esistenza. A volte incontro ragazze che in termini di cibo ne sanno più di quanto ne sappia io e questo mi rende molto triste perché sono certa che avrebbero potuto essere persino migliori di me se fossero nate in una famiglia o in una situazione diversa. Ecco perché ho pensato che fosse indispensabile dar loro voce e farle conoscere al mondo.” E così Fatmata Binta ha creato la fondazione Fulani, che sostiene un villaggio culinario Fulani in Ghana, dove le persone hanno l'opportunità di conoscere ed essere ispirate dalla cultura e la cucina Fulani, e supporta le donne africane che desiderano coltivare e vendere il fonio. Ma non è tutto, perché oltre questo, chef Binta sta facendo qualcosa di ancora più rivoluzionario. “Ho chiesto a diverse donne Fulani di essere mie partner commerciali perché in Ghana non hanno il diritto di possedere terre. Finalmente sto dando loro l'opportunità di avviare un'attività in proprio e dimostrare a chiunque che non bisogna necessariamente essere giovane, laureato o ricco per fare la differenza nel mondo in cui si vive”. E quando le chiediamo perché, nonostante la cultura e il talento, le chef africane siano così sottorappresentate su scala globale, risponde candidamente che è "probabilmente perché gli uomini del settore sottovalutano le donne e a volte dimenticano che spesso sono le loro madri, le loro nonne e loro sorelle le vere custodi della gastronomia. Ci sono tante donne chef che stanno avendo un discreto successo nel panorama gastronomico africano ma che purtroppo non hanno abbastanza visibilità sulla scena globale, forse per mancanza di collaborazione. Credo davvero che se imparassimo a mettere insieme tutte le nostre conoscenze e mettere da parte tutti i nostri ego femminili, potremmo creare qualcosa di magico. Non abbiamo bisogno di essere in competizione, insieme possiamo essere più forti e finalmente far sapere al mondo quanto siamo brave”.

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