I Quartieri Spagnoli hanno il fascino del Triangolo delle Bermuda, nessuno capisce il loro reale pericolo ma tutti sono affascinati dal rischio che li accompagnano. “Tu li vedi così adesso, pieni di gente che sorride e fa foto, qua faceva paura fino a qualche anno fa”. Giuseppe sa di cosa parla, qui è nato, cresciuto e si è trasformato assieme al quartiere. “Fino a una decina di anni fa i Quartieri erano off limits in molti punti, non c’era questo viavai di turisti, i ristoranti, i baretti. Macché, facev’ paur’”, ripete. “Guarda là, ci stanno due turiste che saranno boh, tedesche, che stanno comprando una vaschetta di pere e ‘o muss’, la trippa. Mica succedeva prima”.
In effetti se scrivi “turista tedesco” su Internet probabilmente ti esce la foto delle due. Chiacchierano in qualche modo con la venditrice, una ragazza della loro età ma dei Quartieri, dove ogni anno vale 5. “I Quartieri erano finiti, poi con la morte di Diego Armando Maradona (scandisce bene il nome, ndr) siamo rinati”.
Ancora lui, Diego. In vita è stato l’eroe calcistico, poi il capo popolo ribelle e con la morte è assunto a divinità celeste capace di miracoli. Un santo peccatore, un virtuoso del vizio a cui rivolgersi. E in effetti di prodigi ne ha realizzati, basti pensare che la strada del grande murales ormai si chiama solo sulla carta via Emanuele De Deo, per tutti è piazza Maradona.
“Vulit’ nu cafè?”. La signora Cinzia ci parla dalla finestra del basso, ci è bastato salutarla. “Trasit’ (entrate, ndr), ho la casa sotto e sopra, non vi scandalizzate”. La casa è perfetta, come il suo caffè, servito sotto la protezione di uno scudetto di cartone poggiato accanto ai fuochi.
A lei del calcio non è che importi molto ma se le dici “forza Napoli” lei risponde in automatico “Sempre!”. Chi pensa che sia solo una storia di pallone o è pigro o non conosce l’amore.
In una piazzetta accanto c’è un ragazzo che pubblicizza lo spritz di Maradona, uno spritz preparato con il curaçao e quindi colorato di azzurro. Emanuele fino a qualche tempo fa era seminarista e si preparava a servire il Signore con la stola sulle spalle. Ora versa cocktail con un foulard del Napoli. Questione di vocazione.
“Napoli non è solo casino, criminalità, scippi, rapine, furti, Napoli domani mattina si sveglia con un'altra idea: che abbiamo lo scudetto”. Applausi, ci ha convinti.
Gesticola come un maestro di karate ma comunque meno di una signora che ci spiega la ricetta del suo ragù, sottolineando ogni passaggio con un nuovo movimento. Il modo in cui si sfrega le mani simulando la preparazione delle polpettine potrebbe diventare un passo di danza.
Il tramonto chiama, il tarallo risponde. Sul lungomare c’è “Nas ‘e can” (naso di cane), istituzione del tarallo “nzogna e pepe” (ovvero strutto e pepe), se non lo conoscete cancellate il viaggio per il Messico e passate prima a Santa Lucia, ché vi mancano i fondamentali. “Questo posto esiste da fine Ottocento, prima mia suocera vendeva le bibite in una vasca di ghiaccio artificiale, poi siamo diventati acquafrescai e ora chalet”, racconta Emilia, la sirena del tarallo.
La telecronaca della partita accompagna i passaggi di piatti tra lei e il suo compagno Salvatore, che oggi compie pure gli anni. Gli assist di fritti e mozzarella fanno invidia a quelli di Osimhen, Rosaria serve sulla fascia un vino fresco che scende bene e accompagna sotto rete le linguine al misto mare, e mentre Sasà spegne le sue 52 candeline ed entra in campo un babà imperiale, il Napoli segna.
Un terremoto. Non è un modo di dire, secondo il Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura dell'Università degli Studi di Napoli l’esultanza allo stadio ha provocato un sussulto paragonabile a due gradi della scala Richter.
Usciamo in strada sull’onda dell’entusiasmo e della digestione, sembra tutto pronto per la festa ma a 6 minuti dalla fine arriva il piede di Dia: 1-1. Tutto rimandato. Se va bene se ne parla giovedì con l’Udinese.