Nel pizzificio di Valentino Tafuri, dove la pizza è puro amore democratico

Intervista al pizzaiolo di Battipaglia tra lievitazioni, sogni e pizzerie contemporanee: "Se diventa un luogo esclusivo per ricchi, la nostra missione è finita".

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Valentino Tafuri, classe 1989, ama definire il suo locale 3 Voglie di Battipaglia con il termine pizzificio. Dentro ci sono il mondo della lievitazione e tutto ciò che riguarda l’arte bianca, dal pane, alla pizza, ai prodotti da forno, alla colazione. Tafuri è un autodidatta curioso, mai sazio, sempre pronto a segnare nuovi obiettivi lungo il tragitto: la pizza per lui è democratica, deve accontentare tutti dal povero al ricco. “Faccio pizze e faccio lievitare gli impasti. Ho iniziato a 13 anni, ricordo i sacchi enormi da 50 kg di farina, il mondo era totalmente diverso da oggi. Ho avuto una grande fortuna nella vita: ho aperto la mia attività, a 24 anni”.

Cosa succede dentro la tua pizzeria?

Il primo anno realizzavo una pizza classica, il secondo ho capito che mancava l'interazione con il territorio, così è nato il progetto "Con la nostra terra, per la nostra terra". Nel 2016 ha visto la luce un menu che raccontava i produttori locali, a cui davo anche ampio spazio all'interno del locale. Era essenziale far conoscere chi fossero i veri protagonisti dei miei piatti. L'intero mondo della pizza stava cambiando, quella era la direzione e da lì in poi è stata una continua ricerca.

Mi piace definire la mia attività "pizzificio", perché all'interno si trovano le stesse diverse varietà di pane e di pizza, oltre che i grandi lievitati, i prodotti da forno e tanto tanto altro. Definirla pizzeria sembrava riduttivo.
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La viennoiserie del pizzificio 3 Voglie di Valentino Tafuri

Quando hai imparato a fare la pizza?

Ho imparato a fare la pizza imparando a fare il pane, che è stato il mio punto di ingresso nel mondo dell'arte bianca. Ho iniziato a frequentare tutti i laboratori, i corsi, facevo le notti in Francia nelle boulangerie, dove ho imparato i segreti della viennoiserie. Oggi nel mio locale in degustazione mangi anche dieci portate di lievitati differenti. Mi piace definire la mia attività "pizzificio", perché all'interno si trovano le stesse diverse varietà di pane e di pizza, oltre che i grandi lievitati, i prodotti da forno e tanto tanto altro. Definirla pizzeria sembrava riduttivo.

Quindi cosa si mangia nel tuo pizzificio

I percorsi degustazione per i più curiosi, con tanto di amuse bouche fatta da un piccolo lievitato croccante, bagnato nel brodo vegetale, servito con senape, maiale e una maionese al prezzemolo. Si parte da lì, con qualcosa che non è un lievitato, né una pizza o un pane, pensato per stimolare il cliente, per passare poi al pane, alla pizza romana semplice e quella con condimenti speciali settimanali, al padellino torinese, al quadrotto, che è una focaccia senza olio, molto croccante. E non manca poi la pizza tonda. Qua e là ci sono accenti tipo la "colazione all'ora di cena", ossia la fetta biscottata con marmellata vegetale di stagione.

Il percorso degustazione non era solo appannaggio dei ristoranti?

Assolutamente no. Il pasto risulta così più dinamico e divertente, il cliente è più stimolato, ed anche noi, dall'altra parte, ci divertiamo molto, oltre ad essere uno stimolo continuo alla ricerca.

Lievito e impasti. Come si trova l'equilibrio?

Facendo tanti prodotti. Gestisco tante lievitazioni differenti, lavoro con tre tipologie di lievito madre e di fermenti, uso farine deboli e forti contemporaneamente e vivo il mondo della panificazione a 360°. Alla base di tutto la ricerca dell'equilibrio tra tempo, temperatura e quantità. 

Noi panificatori e pizzaioli abbiamo l'enorme vantaggio di sapere lavorare una materia viva, di farla crescere. Dobbiamo gridare il nostro mestiere, esserne convinti, non scimmiottare malamente quello degli chef mettendo ingredienti a caso su una pizza.
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La pizza "Marinananas" di Valentino Tafuri

Parliamo di equilibrio, eppure voi pizzaioli non siete visti come una categoria ben delineata...

Colpa nostra! Noi panificatori e pizzaioli abbiamo l'enorme vantaggio di sapere lavorare una materia viva, di farla crescere. Dobbiamo gridare il nostro mestiere, esserne convinti, non scimmiottare malamente quello degli chef mettendo ingredienti a caso su una pizza. 

Parliamo di fermentazione.

Mi piace, mi stimola. Noi pizzaioli a differenza degli chef, gestiamo una materia viva, il lievito. Lo facciamo crescere e lo curiamo. E questo vale per tutto il mondo della fermentazione, che sia alcolica, come quella che abitualmente usiamo noi pizzaioli per produrre anidride carbonica, o acetica. Vedo come obiettivo da qua a cinque anni uno studio approfondito su questo mondo.

Cosa rende digeribile una pizza?

L'equilibrio e la sensibilità. L'obiettivo è dare alla farina il giusto tempo di degradarsi affinché la pizza sia perfettamente digeribile. A volte una pizza è perfettamente lievitata ma non è maturata perché hai sbagliato farina. E la riprova della digeribilità di un prodotto spesso viene dall'osservazione del cliente, se la termina o se ne lascia nel piatto. La cottura è ugualmente importante.

Cosa dà struttura ad una pizza?

La struttura si fa con la farina, che può contenere più o meno proteine. E con questa base puoi costruire quello che vuoi. 

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Valentino Tafuri

Fino a non tanti anni fa una tipologia di farina bastava a far tutto. Poi?

Il mondo della pizza è cambiato, e con loro i produttori, i coltivatori e i distributori. Dietro c'è una filiera impressionante che cavalca l'onda del momento. Se domani va di moda la pizza col cornicione alto, si può star certi che tutti i produttori creeranno una miscela di farine per agevolare il lavoro del pizzaiolo in quella direzione. Questione di domanda e offerta.

Cosa significa quando dopo aver mangiato la pizza si ha sete?

Nel momento in cui sciogliamo acqua e farina si attivano i processi enzimatici. Gli enzimi hanno la capacità di scompattare i legami zuccherini e i legami proteici. Se quando impasto esagero con il lievito, lo zucchero, sbaglio la temperatura, o altro, l'equilibrio delle componenti si altera e il nostro organismo compensa come può in fase di digestione. 

Come si vende un degustazione in pizzeria, ad un cliente abituato a pagare 5€ una margherita?

Noi stiamo sperimentando il giro-pizza a 18€, raccontando il nostro lavoro in maniera semplice, sfruttando la popolarità di questa formula. Non sono d'accordo con l'esasperazione dei prezzi. La pizzeria è quel luogo democratico dove trovi fianco a fianco il miliardario e l'operatore ecologico. Se diventa un luogo esclusivo per ricchi, la nostra missione è finita. Sarebbe una sconfitta. La nostra degustazione base parte da 14 € e mangi cinque portate. E da noi la margherita costa ancora 5€.

Non sono d'accordo con l'esasperazione dei prezzi. La pizzeria è quel luogo democratico dove trovi fianco a fianco il miliardario e l'operatore ecologico. Se diventa un luogo esclusivo per ricchi, la nostra missione è finita.
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I taglieri della degustazione di pizza di Valentino Tafuri

Quanta tecnologia c'è nel tuo laboratorio?

Quella necessaria. Ho iniziato a costruire il mio laboratorio tre anni fa, lo sto componendo un pezzo per volta. Spero di raggiungere un livello di tecnologia ancora più alto. Non ho nulla di automatizzato, tutte le mie apparecchiature richiedono l'intervento manuale. 

È vero che la tecnologia può camuffare l'inesperienza o le cattive materie prime?

Sulla pizza non tanto, c'è tantissima manualità. Difficile mentire. Nel mondo del pane invece qualcosa cambia. Se hai a disposizione un macchinario che ti dà forme sempre uguali e un forno di ultima generazione che gestisce le varie temperature, le cose sono più semplici. 

Giovanissimo eppure già maestro.

Bisogna essere sicuri di sé, nessuno ascolta un indeciso. Bisogna lavorare tantissime ore al giorno, fare ricerca continua, avere buoni contatti e mantenerli attivi, sapersi raccontare e farsi apprezzare nella docenza, nella pizzeria e nella produzione. E non bisogna aver paura di essere copiati, perché è la base dell'insegnamento. Gabriele Bonci dice che "si diventa maestri quando un tuo allievo diventa maestro". Ecco perché non posso ancora dire di essere diventato un maestro. 

I tuoi maestri?

Sono autodidatta, ho sempre vissuto di tanti piccoli insegnamenti ricevuti da altrettante persone. Da un anziano pizzaiolo napoletano che mi veniva a svegliare alle sei del mattino, ho imparato l'amore per questa materia. Per la panificazione dico grazie a Piergiorgio Giorilli e non smetto mai di apprendere da grandi professionisti come Massimiliano Prete, Renato Bosco o Gabriele Bonci.

La pandemia ha cambiato il tuo modo di lavorare?

Abbiamo capito che si può vivere anche senza lavorare così tanto. Oggi però produciamo il doppio di prima rispetto all'inizio del Covid. In pandemia ho avuto modo di sperimentare, ad esempio ho sfornato i miei primi panettoni. 

La pandemia pare abbia reso tutti esperti di grandi lievitati...

Bisogna avere l'umiltà intellettuale di riconoscere l'inesperienza di una produzione, quindi è giusto provarci, ma non è corretto spacciarsi per maestri. Occorre tempo, sbagli, i giusti macchinari ed il necessario equilibrio. E tutto questo non si trova in pochi mesi. 

(Tutte le foto/Courtesy)

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