Mutazioni gastronomiche: Ciccio Sultano riscrive il DNA della cucina siciliana
“La mia è una cucina siciliana che tradisce, ogni giorno, la tradizione”. Viaggio nella mente di Ciccio Sultano, lo chef del Ristorante Duomo di Ragusa.
La Sicilia è fusion nel DNA. Le ibridazioni gastronomiche sono come frames di un film che si susseguono, si incrociano e si confondono, con il Mediterraneo a fare da sfondo blu. Nelle cucine di alcuni ristoranti di Trinacria si raccontano, sublime compito, storie di dominazioni e ibridazioni, di sapori, di scontri passionali, con un happy ending, almeno per noi, che ci sediamo felici ad incontrare la cultura, a tavola.
Ragusa Ibla, chef Ciccio Sultano, Il Ristorante Duomo, due stelle Michelin. Jusu, come gli abitanti di Ragusa chiamano Ibla, è patrimonio Unesco, lo stile tardo barocco riempie lo sguardo, la bellezza fulgida del Duomo di San Giorgio è a pochi metri dal ristorante. La pancia dice che siamo nel posto giusto, all’entrata del locale già si respira l’arte del buon vivere: qui l’accoglienza siciliana valica i confini, qui si rompono le barriere del pensiero comune. L’alta cucina per lo Chef è consapevolezza ed accoglienza di ciò che è stato (le radici del gusto), e poi necessario capovolgimento in nome del presente, del futuro. “La mia è una cucina siciliana che tradisce, ogni santo giorno, la tradizione” racconta Sultano. “Non è la cucina della nonna, ma dei nipoti che continueranno a sentirsi siciliani”. Scacco matto al folklore, tra cucina, sala e cantina si riscrivono le lettere del genoma culinario dell’isola. I piatti parlano una lingua nuova e antica al tempo stesso, all’altezza di un mondo globalizzato e di una critica internazionale. Si accorciano, finalmente, le distanze spazio-temporali, tutto si fa più umano e comprensibile: antropologia nel piatto. La semplicità è frutto maturo di intuito, pensiero e cuore. “In un certo senso, cucinare si avvicina al lavoro del profumiere” continua lo chef, una sorta di alchimia dove ogni dettaglio è fondamentale, dove innovativo e storico si compenetrano.
Il 2021, che per tutti i cuochi che stanno con i piedi su questa terra è (stato) momento di rinascita, è per Ciccio Sultano ulteriore conferma della necessità di spingersi oltre: osare è naturale come respirare. Non si sta mai sulla superficie, da 21 anni a questa parte. Non ci sono segreti, solo mani d’oro, una crew stellare e uno stile che non si lascia dimenticare. Ancora una volta nulla al caso, anche questa volta un menu che mette a nudo il continente gastronomico, la Sicilia, in pink.
“Bisogna essere madri, Dee e Sante che abitano questa terra in mezzo al mare, a metà strada non solo dal nord al sud ma soprattutto tra Oriente e Occidente”: qui si comprende la dedica al femminile del menu, che parla a gran voce del lato accogliente e confortante della cucina, ma anche della forza immaginifica di questa Isola guerriera, al centro del mondo.
Doppio tuffo carpiato nella mente del Sultano, già dai primi assaggi. Traghettano in questo viaggio mediterraneo Riccardo Andreoli, capitano della sala, e Antonio Currò, il sommelier giramondo. Ogni piatto accoglie il suo vino (e viceversa) in un dinamismo senza stress, ogni portata è necessaria evoluzione di un progetto più grande, che è poi il senso tutto del far cucina come la fa Ciccio Sultano: nobiltà che ride di sé stessa, borghesia illuminata, popolo che insorge. In altre parole una cucina trasversale, mai banale. La minestra di sanapo (foglie di senape selvatica), butternut squash e frutti di mare, dedicata alla Dea Ibla, è straripante di sostanza: colori saturi, crudo, cotto, sapido, dolce in bocca. Un piatto pop che si catapulta nel cuore della tradizione normanna e quella borbonica, nei contrasti, nei concetti. La parte erbacea e croccante delle foglie di senape e dell’estratto di zucca, la doppia panna acida sul fondo insieme ai tubetti di grano duro, cozze appena scottate, gambero rosso, e la polpa della testa del gambero cotta a fare da elemento propulsivo, inizio e conclusione di un piatto a tinte forti. Sicilia profonda, armonica, che sconvolge i sensi.
Il soffice di ricotta con gambero rosso e scampi, cialda di riso ai fiori di finocchietto selvatico e caviale Kaluga Amur è come mare denso e terra profumata, insieme a completarsi. Il filetto di sgombro, invece, è cotto in una foglia di fico, servito con spuma di latte di fico, saba dello stesso frutto, fichi e olive. Un food processing che ricorda le cotture narrate dal poeta e gastronomo Siceliota Archestrato di Gela nella sua “Gastronomia” del VI sec AC. Nella mente (pratica) e nel cuore di Ciccio Sultano le invasioni, le colonizzazioni, le aperture, le peregrinazioni della cultura siciliana si condensano e si concentrano in una costante opera di rielaborazione e magnificazione della tradizione, sempre e mai fedele a sé stessa. Usciamo dal Duomo di Sultano ed entriamo al Duomo di San Giorgio: Ragusa magnetica.