La guerra può essere raccontata in tanti modi. Abbiamo provato a fare squadra, facendo la nostra squadra, provando a contattare e raggiungere personaggi di spicco, non solo italiani, chiamati in causa o impegnati attivamente per cercare di contenere le conseguenze di un conflitto che pare nessuno abbia voluto scatenare.
Siamo nell’era delle connessioni, i social ci avvicinano, ed è proprio scrivendo direttamente sul suo profilo Instagram che siamo riusciti a metterci in contatto con lo chef ucraino, Yurii Kovryzhenko. La sua fama lo precede: è Ambasciatore ufficiale della cucina Ucraina con una medaglia d’oro mondiale della gastronomia che gli è stata riconosciuta proprio nel 2021, è stato uno dei principali relatori al Creative Chefs Summit di Kiev, dal 2016 al 2018; ha rappresentato l'Ucraina al World Gourmet Summit (Singapore) dal 2017 al 2019. Ha vestito i panni del conduttore televisivo (nel programma ucraino Dish of Honor, in onda su STB) e dal 2020 conduce la trasmissione radiofonica Smart Cuisine (su Radio Skovoroda). È stato presidente del Bocuse d'Or Ukraine, ed è un attivo sostenitore del movimento Slow Food. Ha partecipato a due edizioni di “Slow Food Terra Madre” a Torino (2016, 2018) ed è anche uno dei co-fondatori dell'alleanza Slow Food dei cuochi in Ucraina.
Lavora con agricoltori ucraini e produttori locali contribuendo a promuovere i prodotti della sua terra a un pubblico internazionale. Collabora con il Ministero degli Affari Esteri ucraino e la sua rete di ambasciate all'estero. La sua posizione e il suo impegno politico sono pubblicamente chiari dall’agosto 2018, quando aderì al progetto Uncounted since 1932 a Bruxelles, un'iniziativa che puntava a diffondere la consapevolezza del genocidio dell'Holodomor, un crimine sovietico che ha avuto luogo contro l’Ucraina. Nel 2020 ha allenato la squadra nazionale di cucina ucraina per le IKA Culinary Olympics 2020 a Stoccarda.
È un cuoco ma è anche un diplomatico, con delle idee politiche che non fatica a dichiarare, che sogna una sostenibilità ambientale che passa anche da una certa cultura che occorre sviluppare intorno al cibo. Uno che parla con i piccoli produttori, e con i grandi nomi della politica internazionale. Uno che può fare la differenza.
Lei è l’ambasciatore della cucina ucraina. Come sta la sua categoria? Come si vive in guerra?
Tutti i ristoranti ucraini sono chiusi. I cittadini si nascondono in rifugi freddi e umidi, giorno e notte: in questi giorni una tazza di tè caldo è diventata un lusso. Gli scaffali dei supermercati sono vuoti, i produttori non possono produrre, i fornitori non possono consegnare. Quei ristoranti che si trovano in zone più o meno sicure lavorano per beneficenza, cucinano per gli ospedali, per le truppe di volontari, per gli “ostaggi” dei rifugi antiaerei, per i pensionati che vivono da soli e per l’esercito. Numerosi sono i casi in cui i contadini danno i loro prodotti gratuitamente a coloro che ne hanno bisogno; ognuno sta facendo il possibile per aiutare gli altri.
Ha parlato di diplomazia gastronomica in occasione di un viaggio a Londra con la sua Ambasciata. Nello specifico di cosa stiamo parlando?
Le persone sono unite da valori e senso di appartenenza a una comunità: si chiama identità. E il cibo è una delle sue manifestazioni. La diplomazia gastronomica è un modo per fare cultura attraverso il linguaggio della gastronomia. La cucina ucraina risale ai tempi di Kiev Rus (entità monarchica medievale degli Slavi orientali, sorta verso la fine del IX secolo, ndr), stiamo parlando di più di mille anni fa. Eppure rimane ancora inesplorata e sottovalutata.
Sono diventato un promotore della cucina ucraina 10 anni fa quando ho aperto un ristorante ucraino a Tbilisi, in Georgia. In 10 anni di collaborazioni con il Ministero degli Affari Esteri abbiamo organizzato 100 eventi in tutto il mondo per 1 milione di persone. Promuovo la nostra cultura gastronomica partecipando a vertici e congressi internazionali, organizzando cene pop-up con i principali chef del mondo, e ricevimenti ufficiali presso le ambasciate ucraine, con i leader di Stato.
Il cibo. I produttori locali. Il mercato cittadino. Sul suo profilo instagram parla di consapevolezza dell’inevitabilità dei fenomeni globali. In che direzione stiamo andando?
La globalizzazione offusca i confini dell'identità nazionale. Possiamo osservare come le cucine nazionali stiano cambiando, completandosi a vicenda. Gli chef adattano le ricette classiche alle preferenze di gusto del loro pubblico, sostituiscono gli ingredienti o ne introducono di nuovi. All'interno di un paese si può gustare una grande varietà di altre cucine nazionali. Il mondo si è ridotto alle dimensioni di un villaggio, tutto è intrecciato e unito. Da un lato è bello avere accesso a tale diversità, ma allo stesso tempo, le cucine nazionali rischiano di perdere la loro purezza, unicità e identità. Le distinzioni sono sfocate.