Italmopa è l’Associazione Industriali Mugnai d’Italia che rappresenta sul territorio nazionale l’Industria molitoria. Un punto di riferimento che offre ai suoi associati servizi e consulenze su tutto ciò che riguarda il settore. Italmopa è, di fatto, la casa dei mugnai italiani dal 1958.

Emilio Ferrari, Durum Wheat & Semolina Purchasing Director di Barilla, è il presidente di Italmopa. A lui tocca la difficile gestione di questo complicato periodo storico, in cui il grano e i fertilizzanti sono diventati materia di dibattito quotidiano e in cui il conflitto russo-ucraino ha destabilizzato il mercato.

In un clima di confusione che genera insicurezza e paura, c’è bisogno di fare chiarezza, di parlare di quantità e di qualità, e di capire come stanno realmente le cose nel settore dell’Industria molitoria.

Presidente, quali possono essere le conseguenze sul comparto agro alimentare del conflitto tra Russia e Ucraina per l’Italia? Partiamo dal generale per entrare nel dettaglio.

Ci sono tantissime considerazioni da fare in merito. Innanzitutto, non dobbiamo dimenticare che già da prima di questo conflitto vivevamo in una situazione di grande tensione legata alla ripresa economica post-pandemica. Un periodo in cui non si riusciva a rispondere all'aumento di domanda da parte del mercato, a causa della rottura della catena del supply chain che ha portato, banalmente, alla mancanza dei cartoni per fare gli imballaggi; a questo vanno aggiunte le condizioni climatiche avverse che hanno limato sensibilmente la produzione di tanta materia prima, tra cui il grano duro, il mais e la soia.

È su questa situazione inflattiva che si innesta lo scenario bellico. Questa commistione porterà a conseguenze di lungo e di breve periodo, che sono difficilmente calcolabili quando di mezzo ci sono logiche politiche. Nel momento in cui l'Ucraina e la Russia hanno sospeso le esportazioni, il primo comparto a subirne le conseguenze è stato quello del grano tenero (molto meno quello del grano duro).

Dall'Ucraina ne importiamo una quantità pari a 1 mln di tonnellate, mentre dal resto del mondo ne importiamo 1,3 mln di tonnellate. Quindi il dato in sé è significativo se rapportato ai nostri volumi, mentre se paragonato al mercato europeo, che produce 130 mln di tonnellate, è una piccolissima parte.

Chiaro che il mercato è un sistema di vasi comunicanti, per cui quando un paese smette di approvvigionarne un altro, quella fornitura andrà a impattare su un altro produttore, e questo non è un passaggio così immediato. Nel medio periodo poi c'è da affrontare il tema finanziario legato alle transazioni monetarie con la Russia. Anche se non si bloccassero i flussi di import export del comparto food, avremmo comunque le difficoltà legate ai pagamenti.

Ultimo capitolo è quello del mais e del girasole, su cui peserà la distruzione fisica provocata dalla guerra. Mentre la Russia non sta subendo danni perché non viene bombardata, l'Ucraina è costantemente sotto la pressione dei colpi russi, che sicuramente avranno ripercussioni nel settore agricolo, sia per quanto riguarda le infrastrutture, sia per quanto riguarda i campi ed anche la manodopera, nel senso che le braccia che prima si dedicavano ai campi, oggi sono in prima linea a combattere. Quanto durerà tutto questo, è difficile da dire.

Parliamo dei mercati. Si prevede un drastico e ulteriore aumento dei prezzi. Di che ordine di grandezza si può parlare?

A livello energetico, i fattori sono più che altro politici, e quindi di difficile previsione. Quello che si nota è una grandissima volatilità su tutte le materie prime. Il grano tenero ha già subito un forte aumento, ma resto ottimista, nel senso che creerà tensione sul mercato, almeno per il prossimo anno, ma non si arriverà a prezzi proibitivi.

Parlando di punti percentuale, il grano tenero al momento, registra un incremento di poco meno del 100%. Il grano duro ha registrato già prima del conflitto un'impennata spaventosa, perché soprattutto i paesi del Nord America hanno subito una riduzione della produzione del 50% (il dato più basso degli ultimi venti anni), data dal clima avverso. Quindi se le condizioni climatiche saranno più benevole, dovremmo tornare su produzioni normali.

L'impatto climatico ha influito nell'ultimo anno su tutto il mondo, dalla Spagna alla Turchia alla Russia stessa. Anche noi stessi, in Italia, registriamo temperature più alte e periodi di siccità prolungati. Al momento, il grano tenero e il grano duro non sembrano subire grandi variazioni in termini di resa, però se non tornasse a piovere (soprattutto al nord Italia, che ha visto meno precipitazioni rispetto al sud), sicuramente le cose cambieranno. 

I mugnai cosa possono fare per arginare l’aumento dei costi del grano? In concreto.

L'industria molitoria è estremamente efficiente e con pochi margini, che vanno dal 2% al 3%, quindi è molto difficile poter assorbire gli aumenti. L'esposizione finanziaria raddoppiata per l'acquisto della materia prima e la capacità di copertura sul lungo termine, sono fattori che mettono in crisi le attività, nonostante gli aiuti governativi, soprattutto sul tema energetico. L'entità del fenomeno ha una portata tale che non si può sperare che il governo riesca a coprire per intero il danno.

Consumatori e agricoltori. A chi la mazzata peggiore?

L'agricoltore dovrebbe trarre dei benefici dalla situazione: più alta è la richiesta e più alti sono i prezzi, maggiore è il guadagno. Anche se non sarà chiaramente così roseo lo scenario, perché parte degli introiti saranno vanificati dall'aumento dei costi di produzione e di trasporto. Basti pensare al petrolio o al costo dell'energia elettrica, che è quadruplicata. Se una volta quest'ultima era la terza voce nell'analisi dei costi di trasformazione di un mulino, oggi è la prima. Lo scenario è abbastanza preoccupante da questo punto di vista.

Aumentano i prezzi di importazione dei fertilizzanti (già raddoppiati nell’arco dell’ultimo anno), di cui la Federazione Russa è tra i principali produttori a livello globale. “Rischiamo” di non avere a disposizione le quantità necessarie di fertilizzanti per i prossimi raccolti?

Per quanto riguarda il grano, l'allarme è rientrato rispetto alla fine del 2021. La Russia, che è un importante produttore di fertilizzanti azotati e ha bloccato le esportazioni, potrebbe avere un’influenza rilevante sulle colture estive, tipo mais e girasole. Ad oggi è ancora difficile quantificare. Le previsioni sono in mano ai potenti della Terra. 

Un quinto del mais che nutre i nostri animali da allevamento proviene da Kiev. Cosa accade adesso?

Ad oggi l'esportazione è stata bloccata. Ci sono navi ferme nei porti e mais stoccato nei silos. L'anno scorso l'Europa ha importato 8 mln di tonnellate di mais, quindi parliamo di una quota importante. Se questa viene a mancare, o l'agricoltore sopperisce con altri cereali o li recupera da altre parti, incidendo in maniera importante sui costi. 

Dai dati che ci avete fornito abbiamo visto che il frumento sia esso tenero o duro importato da Russia e/o Ucraina è una percentuale bassissima rispetto al volume totale. Allora, perché tanta paura?

L'Europa protegge, da almeno quindici anni, le proprie produzioni di frumento di media qualità (quello per panificare, non per fare il Panettone, per capirci) e ci sono dei contingenti. Questo vuol dire che, come Europa, non abbiamo avuto un impatto diretto ma il mercato è tutto collegato. Tanto per fare degli esempi attuali, se il Canada non produce abbastanza grano per la richiesta africana, il nord Africa si riferirà all'Europa per l'approvvigionamento. Se la Russia non vende il grano all'Egitto, quest'ultima lo richiederà alla Romania o alla Francia. Di conseguenza, se viene a mancare quella quota, seppur piccola dell’Ucraina, bisognerà sostituirla con ricadute sul mercato mondiale. L'Italia è un paese che importa quasi tutto - l'unica cosa che esportiamo in maniera massiccia è il vino -, siamo forti importatori di grano tenero, buoni importatori di grano duro, e quindi è ovvio che se i flussi del commercio mondiale vengono, diventa un problema indiretto anche per noi. 

L'Italia importa materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori. Secondo lei è il momento di ragionare su come provare a garantirsi gli approvvigionamenti con prodotti nazionale attraverso i contratti di filiera?

Per quanto riguarda il grano, i contratti di filiera ci sono già. Quello che dobbiamo capire è che se anche si decidesse di pagare di più l'agricoltore, quel costo lo assorbirebbe il consumatore finale. Come posso far quadrare i conti allora? La risposta sta nella qualità. Posso pagare di più un produttore, a patto che realizzi un prodotto più buono, e non solo per la mera appartenenza ad una filiera. Il che ridurrebbe, ad esempio, la dipendenza dalle importazioni per il grano di alta qualità.

L'agricoltore d'altro canto ha due leve su cui lavorare: la resa e la qualità. È chiaro che se mi confronto con un tipo di agricoltura tipo quella canadese che ha una struttura tecnologica molto evoluta, utilizza foto satellitari, gestisce la concimazione attraverso algoritmi e ottimizza la produttività in maniera straordinaria, l'italiano ne uscirà sconfitto. E qui si dovrebbe aprire tutto un capitolo legato appunto alla grande sfida tecnica che dovremmo affrontare nei campi.

Al netto di ciò, l’unico “campo” su cui possiamo giocarcela è la qualità. Bisogna essere competitivi su un versante (la resa) o sull'altro (la qualità), tenere il buono che deriva dalla tradizione e portare avanti l’innovazione. Il concetto di rotazione ad esempio è antico, si usava quando non esistevano i concimi; oggi si può ancora ricorrere allo stesso metodo, rispettando i tempi naturali ma anche innovando, tenendo buoni i pregi del concetto, usando meno concimi e meno antiparassitari che portano ad avere un prodotto più buono, con rese più alte, nel rispetto del suolo e della natura.