World Wildlife Day: Quante occasioni abbiamo ancora per salvare il pianeta?
Il sovrasfruttamento delle risorse naturali ha alterato in modo significativo i tre quarti degli ecosistemi terrestri e i due terzi degli oceani, inquinando e distruggendo l’habitat naturale di migliaia di specie che sono ora a rischio d’estinzione.
Oggi si festeggia il World Wildlife Day o Giornata Mondiale per la Tutela della Natura Selvaggia, il cui tema è Recovering key species for ecosystem restoration ovvero Recuperare le specie chiave per il ripristino dell’ecosistema. Lo scopo della manifestazione è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di prevenire e contrastare il degrado degli ambienti naturali e di recuperare il loro delicato equilibrio, fortemente minacciato, quando non già gravemente compromesso, dall’impatto antropico.
L’urbanizzazione in rapida crescita, la corsa all’industrializzazione, i sistemi di allevamento e di agricoltura intensivi sviluppati per sostenere i fabbisogni nutritivi di una popolazione mondiale in costante crescita e più in generale il sovrasfruttamento delle risorse naturali hanno alterato in modo significativo i tre quarti degli ecosistemi terrestri e i due terzi degli oceani, inquinando e distruggendo l’habitat naturale di migliaia di specie che sono ora a rischio d’estinzione. Secondo i dati della Red List of Threatened Species dell’International Union for Conservation of Nature, la fonte di informazioni più completa al mondo sullo stato di rischio di estinzione globale delle specie animali, fungine e vegetali, le dimensioni di questa catastrofe sono impressionanti e testimoniano chiaramente che la biodiversità del pianeta è in declino. Delle oltre 142.500 specie censite infatti, più di 40.000 sarebbero a rischio estinzione: si tratta del 41% degli anfibi, del 37% degli squali e delle razze, del 34% delle conifere, del 33% dei coralli della barriera corallina, del 26% dei mammiferi e del 13% degli uccelli.
Ma che cosa sono le specie chiave e perché sono tanto importanti per la salvaguardia degli ecosistemi? Sono chiamate specie chiave quelle il cui impatto sull’ecosistema che abitano è sproporzionatamente ampio rispetto alla loro abbondanza, a tal punto che, se dovessero venire a mancare, tutti gli equilibri che da esse dipendono crollerebbero, avviando una serie di reazioni a catena che porterebbero al declino di altre specie e alla perdita della biodiversità. Un esempio di specie chiave altamente protetta è il lupo: in quanto predatore ai vertici della catena alimentare, il lupo mantiene sotto controllo la dimensione delle popolazioni delle sue prede regolando indirettamente la sopravvivenza e la crescita di quelle specie vegetali che a loro volta costituiscono fonte di nutrimento e benessere per altri abitanti dell’ecosistema. Risulta dunque più che evidente il rapporto di reciproca dipendenza fra tutte gli organismi viventi e di questi con l’ambiente che li sostiene. La nostra stessa esistenza dipende dalle risorse ambientali e dalla salute degli ecosistemi: l’ambiente infatti ci fornisce acqua, cibo, medicinali, tessuti, materiali e combustibili, tutti elementi necessari alla nostra sopravvivenza. Non meno trascurabili sono inoltre i meccanismi di regolazione climatica e il fenomeno dell’impollinazione, che ci garantisce quella biodiversità vegetale che costituisce la base dell’agricoltura.
Nonostante il nostro benessere dipenda in larga parte da quello degli ecosistemi, troppo spesso le attività umane sono manifestazione di una visione antropocentrica e specista che fatica ad arretrare anche di fronte all’evidenza delle sue più nefaste conseguenze. Il commercio illegale di animali e di piante selvatiche ne è un ulteriore esempio. Lungi dall’essere un fenomeno che si limita a uno manipolo di bracconieri e di contrabbandieri, questo tipo di commercio genera ogni anno un giro d’affari di miliardi di dollari e incide pesantemente sul degrado della biodiversità. Non solo animali e piante vivi, anche una vasta gamma di prodotti derivati quali pellame esotico, legname pregiato, souvenir turistici, rimedi salutistici e alimenti sono oggetto di scambi illeciti. Nel tentativo di arginare questo fenomeno, il 3 marzo del 1973 venne stipulato il Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora (CITES), un accordo il cui scopo è proprio quello di regolamentare il commercio internazionale di animali e di piante selvatici al fine di salvaguardare alcune specie dall'eccessivo sfruttamento e limitarne dunque i rischi per la sopravvivenza. Non è un caso dunque che a distanza di anni proprio questa data sia stata scelta per celebrare il World Wildlife Day.
Se l’uccisione di rinoceronti, elefanti e tigri per attività di commercio illegale può sembrarci (erroneamente) un problema troppo distante per avere ricadute sulle nostre vite, è bene sottolineare che il fenomeno del bracconaggio riguarda anche realtà a noi molto vicine. Secondo il Committee Against Bird Slaughter (CABS) “in pochi altri Paesi dell’Unione Europea la linea che divide i cacciatori con licenza dai bracconieri criminali è così sottile come in Italia. Il dato è emblematico: circa l'80% dei reati venatori sono consumati da persone titolari di licenza di caccia.” A finire nel mirino dei bracconieri è soprattutto la fauna protetta che molto spesso diventa “materia prima per il confezionamento di piatti illegali”. Si tratta soprattutto di piccoli uccelli migratori, di capinere e di pettirossi, ma anche di specie di grandi dimensioni come i turdidi. Non tutto ciò che viene cacciato illegalmente finisce però in padella, alcuni esemplari vengono catturati per scopi ornamentali, altri per essere utilizzati come richiami vivi nell’attività venatoria, altri ancora per i danni arrecati alle attività agricole. Tra l’avifauna, sono tre le specie di rapaci rari (l’aquila di Bonelli, il falco lanario e l’avvoltoio capovaccaio) che il WWF ha selezionato nell’ambito del progetto LIFE ConRaSi come specie chiave da salvare dall’estinzione, insieme agli habitat che li ospitano. A questi si affiancano l’orso bruno marsicano e il lupo, purtroppo ancora oggi vittima di bracconaggio nonostante i numerosi sforzi fatti per reintegrarlo nei territori alpini e appenninici.
In Italia l’impegno del WWF nell’ambito della tutela della natura selvaggia è esemplare e si concretizza nel progetto ReNature Italy che, oltre alla protezione delle specie chiave, punta anche anche al loro ripristino. Ne sono un esempio gli sforzi per il ripopolamento della lince europea e la reintroduzione in natura del cervo italico (il papà di Bambi, per intenderci). Per quanto riguarda la tutela degli ecosistemi, tra i progetti all’attivo rientrano la riqualificazione di lanche e rami laterali del fiume Po, aree verdi dell’Appennino Umbro-Marchigiano e alcune zone umide e aree forestali, habitat naturali di molte specie impollinatrici. In questo filone si inserisce anche il progetto TERRA BUONA in collaborazione con due aziende italiane leader dell’industria alimentare, Barilla e Mutti. Il focus in questo caso è il sovrasfruttamento dei suoli e delle risorse idriche causato dall’agricoltura intensiva che nel corso del tempo ha determinato una riduzione della fertilità dei terreni agricoli, giustificando così un massiccio ricorso a prodotti chimici con gravi conseguenze legate all’inquinamento ambientale. In entrambi i casi gli obiettivi da raggiungere e mantenere si concentrano sulla riduzione dell’impatto ambientale dei sistemi di produzione alimentare e sulla salvaguardia della biodiversità degli agro-ecosistemi.
Le tematiche alimentari, che come abbiamo visto sono strettamente connesse con il benessere degli ecosistemi e la biodiversità, sono centrali nel discorso del World Wildlife Day e si intrecciano con gli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, altrimenti noto come Agenda 2030, sui quali l’evento intende dirigere l’attenzione e gli sforzi di tutti. Tra questi infatti figurano non solo la protezione, il ripristino e l’uso sostenibile degli ambienti acquatici e terrestri e delle forme di vita che li popolano, così come la lotta al cambiamento climatico e la fine di ogni forma di povertà, ma anche la garanzia di modelli sostenibili di produzione e di consumo, la fine della fame e il raggiungimento della sicurezza alimentare. Molto più che una banale preoccupazione sollevata da qualche ambientalista, il declino degli ecosistemi ha già delle ricadute sulle nostre vite, come sottolinea Anne Larigauderie, Segretario Esecutivo dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES): “Il peggioramento del degrado della terra, causato dall'attività economica umana, sta già minando il benessere di due quinti di tutte le persone sul pianeta. Entro il 2050, si prevede che questo fenomeno, unitamente al cambiamento climatico, ridurrà la resa globale dei raccolti fino al 50% in alcune regioni.”
Nonostante il quadro generale non sia dei più confortanti, invertire la rotta è ancora possibile, a patto di agire immediatamente. Accogliamo dunque il monito del Segretario Generale delle Nazioni, Unite António Guterres, che, nel ricordarci ancora una volta quanto il nostro benessere dipende da quello del pianeta, ci invita “a preservare la nostra preziosa e insostituibile natura selvaggia per il beneficio e la gioia delle generazioni attuali e future”.