Non sono un soldato, sono un panettiere

Fin dai primi giorni della guerra, Pavlo Servetnyk ha deciso di aiutare il popolo ucraino facendo quello che gli riesce meglio - fare del pane.

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Kherson, una delle città assediate dall’esercito russo in Ucraina, ha iniziato a soffrire una forte carenza di cibo, con scaffali vuoti e cittadini che lasciano le loro case in preda al panico a meno che non siano medici o volontari. Gli autobus attraversano la città fino alle tre del pomeriggio: di tanto in tanto, si sentono spari ed esplosioni.

Solo alcuni bar offrono pasti caldi. Il sindaco di Kherson, ogni giorno, sul suo canale telegram, esorta imprenditori e dipendenti ad andare a lavoro, per rivitalizzare la città. Nel frattempo, chi sta ancora a Kherson, cerca di aiutarsi a vicenda: gli chef della città danno da mangiare ai medici del posto e ai più bisognosi.

Abbiamo incontrato Pavlo Servetnyk, vincitore dell’edizione ucraina “MasterChef: the Professionals”. Prima di dedicarsi alla cucina, ha suonato, ha fatto sport, si è dedicato all’arte e si è laureato come programmatore. All’età di 23 anni, ha deciso di cimentarsi in MasterChef, riuscendo a vincere un importante premio in denaro, speso interamente viaggiando nelle migliori cucine del mondo per lavorare in stage. Tra questi, il Celler de Can Roca in Spagna e il Gaggan Anand a Bangkok.

Durante il lockdown, ha trovato un suo modo di fare il pane: sentiva la necessità di iniziare a fare una qualsiasi cosa, mentre i ristoranti erano costretti a chiudere. Nei cinque mesi dopo il lockdown, è riuscito ad aprire due panetterie a Kherson.

Fin dal primo giorno di questi terribili eventi che stanno scuotendo la terra ucraina, Pavlo Servetnyk ha deciso di aiutare le persone facendo ciò che sa fare meglio: preparando il pane, gratis, per tutti quelli che vanno nel suo negozio.

Mentre si trovava nella sua città natale, il 24 febbraio, intorno alle 5.45 del mattino, ha avuto la notizia dal suo manager, che gli diceva “Pasha, è iniziata la guerra.”

“Non riuscivo a pensare lucidamente, mi ricordo che il nostro manager si stava precipitando a tornare a casa dai parenti. Poi mi sono dato una svegliata: ho controllato i social e scoperto che quello che mi diceva era vero. La finestra della mia stanza guarda in direzione Crimea, e guardando fuori ho visto una solida colonna di fumo. Quindi ho chiamato mio padre, che ha detto che si trattava di una struttura militare a Novaya Kahovka. Ho immediatamente chiamato un mio amico che stava lì nei dintorni, che mi ha detto che quel posto era completamente distrutto.

È stato allora che mi sono reso conto che la guerra era iniziata.”

Lo Chef ricorda il primo giorno di guerra come una “follia totale”: i suoi genitori si rifiutavano di lasciare le loro case per raggiungere un luogo più sicuro, perché “credevano che presto ci sarebbe stata una tregua o un qualche sviluppo positivo”. Poi ha deciso di restare anche lui in città, assieme a sua moglie, nel suo negozio, pieno di prodotti che quel giorno non gli erano stati consegnati.

Quando ha raggiunto il negozio, ha notato una fila senza precedenti di persone in attesa di pane.

“Quel giorno la gente non era andata a lavoro: la città era in preda al panico, la fabbrica del pane non funzionava altrettanto bene, nessuno dei negozi era aperto. Ho capito che il pane che la gente aspettava non sarebbe mai arrivato. Non sono un soldato, sono un panettiere ed è quello che ho deciso di fare.”

Si è trasferito nel negozio, che dispone di un ampio seminterrato, per stare più al sicuro e poter lavorare a tempo pieno.

La prima notte, in squadre di cinque, hanno iniziato a cuocere fino alle due del mattino, dormendo su duri tavoli da cucina.

Tra i continui rumori di sparatorie e bombardamenti, ha cucinato circa 1000 filoni di pane nelle notti seguenti. Moltissime persone sono venute ad aiutarlo, donando sale e farina, mentre Pavel raccontava il suo lavoro sui social media.

“Dopo un po’, ho notato che anche 1500 filoni di pane non erano abbastanza, andava tutto sold out immediatamente.”

In tempi di pace, il pane a Kherson veniva consegnato da tre fabbriche: Kyiv, Nicolaev, e quella locale. Adesso, nessuna delle tre è più attiva. Pavel è riuscito a portare a compimento un’idea per massimizzare la quantità di pane coinvolgendo la fabbrica locale.

È riuscito a raccogliere fondi sufficienti tramite Instagram per poter avviare una produzione su scala più ampia. Insieme ai fondi, ha raccolto 100 tonnellate di cereali e 4 tonnellate di lievito da un uomo d’affari locale che voleva aiutare. Subito dopo furono distribuiti circa 65000 filoni di pane alla gente di Kherson.

Oltre a finanziare la produzione del pane nella fabbrica locale, ha continuato il lavoro in proprio, utilizzando il lievito e le farine donate e mettendo a punto ricette semplificate.

“Ci sono due tipi di persone: quelle come me e le altre. Non cerco profitto nella guerra: altri tipi di persone cercano di beneficiare da questi eventi orribili. Alcuni ristoranti hanno congelato i prodotti rimanenti e alla riapertura rivendevano tutto questo cibo allo stesso prezzo. Hanno scelto i profitti rispetto agli aiuti umanitari… io non potevo farlo. Sono l’unico in città ad avere attiva una fornitura di pane - se non lo faccio io, non c’è nessuno che possa farlo”.

Poi continua “È evidente la carenza di cibo in città: i grandi rifornimenti di cibo non sempre raggiungono la città, è difficile trovare gli ingredienti primari. Sopravviviamo qui perché le persone sono molto gentili. Stamattina sono andato di pattuglia e delle persone hanno iniziato a lavorare gratis nel mio negozio.”

La situazione a Kherson rimane tesa: la maggior parte delle persone ha paura di uscire di casa, e alcuni restano in coda per il cibo.

“Ho sentito una storia di recente: un mio amico è tornato a casa e ha trovato la porta aperta, e ha notato che in cucina non c’era il borsch che aveva preparato anticipatamente. Vicino a casa sua c’era un posto di guardia dell’esercito; è andato lì a chiedere di restituire la pentola e gliel’hanno restituita.”

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