Papas Nativas. Umile alimento o cibo degli dei?

Abbiamo visitato il Perù per assistere alla raccolta delle patate sacre, un’esperienza tanto terrena quanto paradisiaca.

Maggio è un periodo molto speciale in Perù, la stagione della raccolta delle patate selvatiche, le papas nativas, e altri tuberi come Oche del Perù, Mashuas e Ulluci, con le loro forme curiose e i loro colori incantevoli. E lo Chef Virgilio Martinez valorizza queste specialità nei suoi ristoranti Central a Lima e Mil a Cuzco. Ha anche creato un evento dedicato al raccolto al ristorante Kjolle, gestito da sua moglie, la chef Pia Leon, da poco entrata nel gotha dei 50 Best.

Per questo una visita al Central equivale a un tour gastronomico attraverso l’intero Paese, il suo clima, la sua biodiversità. La filosofia della casa è di portare nel piatto gli ecosistemi. Ogni ingrediente è rigorosamente nazionale e porta con sé il senso del luogo da cui proviene. Per esempio nel piatto chiamato “Cerdo en mashuas” i tuberi sono impiattati accanto alla fritillaria, un fiore che cresce solo ad alta quota. In un altro piatto chiamato “Las Alturas”, le oche e le mashuas sono servite insieme all’amaranto.

La valorizzazione delle patate selvatiche fa parte di un fenomeno più ampio nato negli anni ’70 e ’80, il Novo Andino, ossia la nuova cucina delle Ande. Iniziato da un gruppo di appassionati come il giornalista Bernardo Roccarei e lo chef Cucho La Rosa, questo trend era volto a riportare in auge gli ingredienti tipici delle Ande come patate ed altri tuberi.

Alcuni di questi innovatori iniziarono a ricercare gli ingredienti tipici delle Ande e dell’Amazzonia, ignorati dalla vita nella capitale, per reintrodurli nella cucina moderna.

Molti di questi ingredienti erano di fatto sconosciuti nelle cucine di Lima dove i ristoranti di fascia alta servivano soprattutto cucina francese, italiana o asiatica.

Nell’ambito della terza generazione di chef peruviani, probabilmente è Virgilio Martinez ad aver ottenuto la riconoscibilità più significativa su scala globale.

Attraverso la sua ricerca Martinez è riuscito a portare le tradizioni gastronomiche e l’interesse per gli ingredienti delle regioni più rurali e autentiche nei piatti dell’upper class di Lima.

Nelle città rurali attorno a Lima, gli agricoltori andini tramandano le tradizioni secolari dell’impero Inca. Continuano a lodare la Madre Terra, detta Pachamama, per tutto ciò che dona, e l’adorazione per le patate viene dall’incomparabile legame con la terra.

Axomama o Acsumama nella lingua Quechuan - una lingua esclusivamente orale in cui è possibile compitare le parole in diversi modi - è la dea delle patate e figlia di Pachamama o Madre Terra. Gli antichi Incas credevano addirittura che dopo la morte avrebbero dovuto essere sepolti accanto alle patate. Ancora oggi ogni comunità adora la propria Axomama. Ognuno ha le proprie storie e miti sulle patate, come quella secondo la quale le macchie scure sulla buccia siano occhi da rimuovere per non esserne catturati. Altre storie attribuiscono alle forme distorte delle patate una sorta di segno del destino per le donne che vogliono sposarsi.

Tra le mani di Virgilio, un ristorante di alto livello diventa parte di un ecosistema più ampio. La sua famosa espressione “oltre il piatto” rappresenta quella connessione unica tra il territorio e la tavola nell’ambito del contesto politico, culturale, agricolo ed anche spirituale.

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“La nostra narrazione abbraccia l’antropologia, la sociologia e l’arte. Essere sostenibili non è abbastanza ed essere trendy non ci interessa. Il nostro DNA è di essere unici, onesti ed autentici e nessuno ci obbliga a ostentare la posizione privilegiata in cui ci troviamo.” Questa è la conclusione a cui Virgilio è arrivato dopo numerosi viaggi in Perù, soprattutto nella regione di Cuzco.

“Sentivo che la passione connetteva le persone con la terra. Il modo in cui preservavano le tradizioni e il loro modo di concepire l’agricoltura.”

“Queste sono le persone che meritano la nostra attenzione. Non qualcuno che arriva dall’estero e cerca di insegnarci che tecnologie dobbiamo usare. È la disconnessione dalla terra che porta le persone ad essere dipendenti dalle mode. No, io preferisco l’incontro con una persona del luogo che tramanda le conoscenze che ha ricevuto dai suoi antenati da generazioni”.

Anche l’antropologo peruviano Francesco D’Angelo si è occupato di creare legami con le comunità locali di Cuzco. D’Angelo ha vissuto con gli indigeni per circa due anni diventando quasi come uno di famiglia. “Non si è mai trattato semplicemente di scoprire, ma di imparare e connettersi, di restituire e creare valore insieme.”

Noi di Tuorlo siamo stati invitati ad assistere al processo di raccolta, coordinato da Ysabel Quispe Lima della comunità agricola di Ancoto, nella provincia di Moray, Cuzco. Notevoli le sue trecce tiratissime e il suo portamento sicuro. Presto abbiamo raggiunto il resto della comunità, arrivando al campo brullo sovrastato da un cielo dell’azzurro più forte che abbiate mai visto. È un momento con una forte portata spirituale; i contadini di Ancoto si riuniscono attorno al raccolto per l’Ayni - un momento di condivisione e reciprocità in cui i vicini e gli amici si riuniscono per aiutarsi nel raccolto. Chiunque chieda aiuto ricambierà il favore offrendo la chicha de jora (una bevanda a base di mais fermentato, antenata della birra), del cibo e delle foglie di coca.

Gli uomini zappano per raccogliere patate, mashuas e altre varietà. Le donne selezionano le tipologie e i calibri dei frutti raccolti. I bambini aiutano i genitori. Tutta la famiglia è coinvolta. Il proprietario del campo si occupa di fare la huatia, un rituale tipico delle Ande peruviane che si celebra solo nei mesi di aprile e maggio. Rappresenta un momento importante per tutte le famiglie di Cuzco. Per preparare il rito, le curpas (zolle di terra) vengono raccolte per costruire un forno che viene poi riscaldato bruciando gli sterpi delle piante raccolte. Le curpas sono scaldate per circa un’ora e mezza. Le patate, insieme ad altri tuberi come oche e mashuas, mais peruviano, fagioli e il porcellino d’india, vengono avvolte nel cartoccio del mais e adagiate sulle curpas roventi. Infine, il forno viene coperto di terra per mantenere il calore. La cottura avviene in circa 45 minuti. Secondo il rito tradizionale, una piccola chicha de jora viene versata sulla huatia durante la cottura.

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È il momento di ringraziare Pachamama per il raccolto e sperare vada ancora meglio nella prossima stagione.

Il rito della huatia è celebrato solo durante la fase del raccolto, dal momento che alcuni ritengono che scongiuri le piogge.

La huatia viene servita con una salsa aromatica chiamata uchucuta nella lingua Quechuan.

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L’uchucuta è fatta con peperoncino Rocoto, sachatomate (pomodoro arboreo), chichipe (una pianta officinale antenata della calendula messicana), mais tostato, sale di Maras e a volte formaggio.

Uchu aji è una tecnica di macinazione del peperoncino Rocoto in un mortaio detto batàn.

“Le differenze di paesaggio tra Cuzco e Lima influiscono sulle abitudini alimentari delle 2 regioni.

Nonostante le patate non crescano sulle coste, sono parte integrante dell’alimentazione costiera. Le patate gialle e le patate bianche sono state molto diffuse nei mercati di Lima per tanto tempo. Ora sono disponibili anche tante altre varietà stagionali di tuberi selvatici, un tripudio di forme e colori.

Si tratta solo di un aspetto di un trend più ampio connesso al fatto che i peruviani hanno iniziato ad apprezzare i cibi autoctoni solo in conseguenza della rivoluzione gastronomica avvenuta negli ultimi due decenni”

come ci racconta Nicolas Gill, autore del libro Central. “L’impegno di chef come Pia Leon e Virgilio Martinez al Central è stato fondamentale nella riscoperta di questi ingredienti incredibili e nel valorizzare il lavoro di contadini come Manuel Choqque a Cuzco (citato anche nella 50 Best) e Edilberto Soto ad Ayacucho”.

Il Central è un ristorante da occasioni speciali per tutti i Limeños. Durante il lockdown, Martinez ha intravisto nelle restrizioni un’opportunità unica per creare qualcosa di nuovo, così ha adattato il menu, accorciandolo e rendendolo più interessante per una clientela locale.

Così i Limeños sono tornati. “È una questione culturale”, spiega Virgilio, “la mia generazione non poteva visitare l’Amazzonia, perciò noi non abbiamo una piena comprensione di cosa sia il Perù autentico. La nostra visione era limitata solo a Lima.”

Con l’impossibilità di viaggiare, Virgilio, solitamente abituato ad una clientela internazionale, aveva il timore che dopo la riapertura nessuno avrebbe frequentato il ristorante. In realtà è successo l’opposto. “Dopo il lockdown, la clientela locale ha iniziato a frequentare il Central, alla ricerca di un’esperienza carica di significato. Trascorrerebbero qui ore ed ore, cosa alquanto strana per la mentalità locale”.

L’attivismo di Martinez ha portato a un incredibile risultato. La clientela locale, pronta per vivere un’esperienza “oltre il piatto”, segna l’inizio di una nuova era del fine-dining, basata sulla ricerca dell’autenticità e la riscoperta della terra. 

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