Opera a Torino, a gourmet restaurant aiming for the stars
Se dovessimo immaginare il ristorante Opera di Torino come una persona, non potremmo che affermare, senza ombra di dubbio, che si tratti del tipico torinese. Di proprietà di Antonio Cometto, Opera dà l’idea di un luogo tanto riservato quanto intimo, proprio come il torinese DOC. Fedele all’imperativo sabaudo del ‘’non farsi notare’’, il torinese è come un’istrice: naturalmente diffidente verso il prossimo, ma curioso e aperto alla novità. Il parallelismo tra Torino e la simpatica bestiola è stato coniato dai Subsonica, ma si applica benissimo anche ai suoi abitanti: lentamente dà confidenza, si apre piano per non fermarsi più. A capo della brigata del ristorante, che sorge a Torino dal 2019 in una viuzza dell’elegante zona della Crocetta, c'è lo chef Stefano Sforza, classe 1986, che è entrato in città in punta di piedi ed ora è finalmente ripartito verso l’infinito e oltre.
La grande novità che ha portato con sé l'attesissima riapertura dopo il lungo periodo di lockdown, è una vera e propria presa di posizione verso un’unica direzione: la rivoluzione sostenibile della cucina contemporanea a Torino. Quello che stupisce in ogni piatto è la compresenza di frutta e verdura, che crea un connubio sensoriale e visivo fuori dal comune. Un’esplosione di colori e di sapori che strizzano l’occhio all’Oriente e al Sud America, mantenendo ben saldi e radicati i prodotti d’eccellenza italiani. Gli ingredienti provengono principalmente dalla fattoria di proprietà a Chieri, appena fuori Torino, dove si coltiva la maggior parte dei loro prodotti, o sono scelti direttamente dallo chef al mercato di Porta Palazzo, il più grande d’Europa.
La vera rivoluzione di Opera risponde alla chiamata etica del WWF, che racchiude il suo messaggio di svolta sostenibile nel mondo della ristorazione con l’hashtag #iocambiomenù. Concretamente, consiste nel non proporre più prodotti tanto golosi quanto insostenibili, come la pesca e l’allevamento di anguilla, rana pescatrice, cernia bruna, pesce spada e verdesca, ormai in via di estinzione, e la preparazione tutt’altro che etica del foie gras. Ultimo, ma non meno importante, è l’occhio di riguardo dello chef al tema del benessere e della salute dei propri clienti, con l’eliminazione dello zucchero raffinato, preferendo al suo posto lo sfruttamento delle naturali proprietà della frutta, per rendere i dessert non eccessivamente dolci.
Provare per credere: quando siamo andati a trovarli, da fuori l’unica cosa a notarsi è la frenesia della brigata in azione, indaffarata con le sue preparazioni, solo a guardarla emoziona e invoglia ad entrare. Appena si aprono le porte, si viene improvvisamente catapultati in un reame dove vive il contrasto tra il nuovo e l’antico, l’ambientazione è calda e accogliente.
Il team di sala è giovane e affiatato, il sommelier Carlo Salino è una vera e propria sentinella, sfreccia come una staffetta con le bottiglie di vino in mano tra la sala e la cantina, ed è evidentemente pronto per le prossime Olimpiadi. È lui che placa la sete e voglia di sperimentare dall’inizio alla fine della cena, facendo esplorare e assaporare alcune chicche della sua carta con grande maestria. Gualtiero Perlo, il maître di sala, è un ottimo padrone di casa, ci ha fatto sentire a nostro agio sin dal primo sorso del suo specialissimo elisir di benvenuto, un estratto di melograno che rinfresca il palato e lo prepara al percorso gustativo.
Lo chef di Opera Stefano Sforza propone una cucina netta, precisa nel sapore e ben delineata nei gusti. Due i menù degustazione: il menu Opera è un inno alla cucina contemporanea creativa, consta di 8 portate con accostamenti saporiti e inusuali; l’altro menù è 100% vegetale, 5 portate con la peculiarità di essere mono-ingrediente: in estate è stato esclusivamente dedicato al pomodoro, questo autunno alla zucca, e continuerà a cambiare a seconda delle stagioni. Il menù alla carta è un elogio all’essenzialità tipicamente sabauda, e consta di una scelta di 3 piatti per ogni portata, composti da soli 3 ingredienti ciascuno. Il piatto “wow”? Lo spaghettone al riccio, vermouth e cedro: una bomba umami leggemente alcolica.
Non fatevi ingannare dall’ambiente elegante, non è solo il ristorante “delle grandi occasioni” ma anche quello sobrio, della porta accanto. L’umiltà e la semplicità di Opera lo rendono un unicum nel panorama gastronomico torinese: si discosta dalla classica trattoria torinese (la cosiddetta piòla) ma anche dal localino “in” del momento. Opera nasce per restare e diventare un punto di riferimento della cultura culinaria sostenibile a Torino.
Il nostro consiglio è di aprire la porta e farsi trasportare dall’entusiasmo contagioso che si respira all’interno e dalla voglia di cambiamento per una ristorazione più etica e di livello, immergendosi in un universo di nuovi sapori e colori che non vi faranno rimpiangere il fegato grasso e sorprenderanno le vostre papille gustative.