Cibo, corpo e rappresentazione: ne parliamo con Edoardo Mocini

Il cibo è sempre ovunque, come la politica, il sesso e il nuovo rosa di Valentino. Come le persone e i loro corpi. E proprio perché nella moda di cibo non se ne parla molto, abbiamo parlato di cibo, corpo e rappresentazione con Edoardo Mocini.

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A Milano anche questo settembre abbiamo archiviato la Fashion Week: Gucci ci ha commosso con un’alterità piena di significato, Dolce e Gabbana hanno rispolverato l’archivio in chiave Kardashian con diversi rimandi all’italianità d’autore (spaghetti compresi), Versace ci ha mostrato delle spose fluo che sfidano eroicamente qualsiasi manuale d’uso del buongusto e i nomi emergenti ci hanno sorpreso con reinterpretazioni più o meno rassicuranti del confezionamento Made in Italy. Tirando le somme, le passerelle di Milano hanno impiattato dualismi di nuovo e vecchio, ricco e povero, femminile e maschile.

Ma cosa c'entra la moda? Questo non era Tuorlo? Cibo, territorio e sostenibilità? Beh, il cibo è sempre ovunque, come la politica, il sesso e il nuovo rosa di Valentino. Come le persone e i loro corpi. 

E proprio perché nella moda di cibo non se ne parla molto se non per polarizzare il dibattito sulle taglie o per produrre editoriali un po’ selvaggi dove viene servito di tutto, corpi compresi, eccoci qui. A parlare non di Baguette di Fendi, ma di cosa succede nella nostra testa quando passiamo dal piatto, allo schermo, allo specchio.

Ne ho discusso con Edoardo Mocini, laureato in Medicina e Chirurgia presso l’università La Sapienza, che di corpi e di cibo se ne intende. Mocini è specialista in alimentazione, gestisce una community dedicata al mangiar sano – ma buono – con Sofia Fabiani, in arte @cucinare_stanca, e ha creato Medicina Inclusiva, un portale che raccoglie professionisti accomunati dallo stesso approccio, portale che offre anche due sportelli pro-bono dedicati al benessere psicologico e sull’identità di genere.

Di recente ha anche pubblicato il suo primo libro: “Fatti i piatti tuoi” che lui definisce “il mio tentativo come medico di essere un buon alleato delle persone che hanno sofferto o soffrono per la cultura della dieta”.

Gli ho fatto un paio di domande su cibo, medicina, dieta mediterranea, rappresentazione e Beyoncé. Perché sì.

Qual è il peso dei modelli intesi come canoni oggi? È diverso dal peso che avevano ieri? Penso a chi vediamo sfilare, cantare, partecipare a una gara e così via.

“É importante ricordare che i modelli non sono modelli di vita, sono rappresentazione. Nella moda, per esempio, le persone tendono a vedere corpi molto magri e a giudicarli come sbagliati, lo stesso vale per i corpi grassi che vengono ritenuti malati. Il problema in realtà consiste nel mostrare un solo tipo di corpo.

È vero che i modelli estetici sono sempre esistiti, possiamo consciamente saperlo, ma a livello inconscio si crea un immaginario molto escludente di corpi desiderabili che a tutt* fa malissimo. Per questo se non esiste una rappresentazione varia è un problema che pesa anche sulla nostra salute e sul nostro rapporto con il cibo.”

In merito alla rappresentazione qual è la responsabilità dei media? Te lo chiedo perché Tuorlo in primis produce immagini.

“I media hanno un ruolo nella creazione del nostro immaginario e questo lo stiamo scoprendo forse oggi più di ieri. Oggi parliamo di modelli estetici su mezzi nuovissimi: il peso psicologico dei social media è immensamente più grande rispetto a quello della Venere di Botticelli e il David di Michelangelo. L’esposizione multimediale con i social media è perpetua. Tu potresti non notarlo, ma il tuo cervello non può farne a meno: si crea un immaginario passivo di corpi possibili – che di fatto sono impossibili per la maggior parte delle persone. E non finisce sui social: se tu cammini in un reparto di intimo maschile o femminile le immagini dei corpi sono tutte uguali. Almeno il 50% dei corpi che vediamo non sono raggiungibili tra selezioni escludenti e Photoshop. Questo ci rende sempre ostaggio dei modelli, anche se noi razionalmente possiamo sapere che un corpo grasso o magro non è un problema. Percezione e consapevolezza sono due cose diverse. Per questo, oltre all’educazione, i media sono fondamentali: mostrare tutti i corpi serve anche ai corpi magri, perché si crea un immaginario di realtà che fa bene anche alla persona magra che magari ha il terrore di ingrassare. Chi produce immagini è molto indietro circa la consapevolezza di tutto questo. In Italia ci sono 3 milioni di persone con disturbi alimentare e sono patologie che danneggiano gravemente la salute delle persone. Questo ha molto a che fare con l’immaginario che abbiamo costruito.”

Come impatta questo sul nostro rapporto con il cibo?

“Questa pressione dell’immagine, unita alla preoccupazione della comunità medica per il generale aumento del peso, ha mandato in tilt il rapporto che abbiamo con il corpo e con il cibo. Oggi il cibo è sempre disponibile, lo abbiamo anche spesso sotto gli occhi. Sappiamo poi che, nella società in cui viviamo, generalmente più si consuma e meglio è, quindi è fisiologico che si creino dei rapporti conflittuali tra noi e il piatto.

Il cibo è un bisogno primario, come il sonno o la sessualità, e, mentre a proposito del sesso stiamo esplorando tutti gli aspetti sociologici, antropologici e psicologici, l’alimentazione non è consapevole, non è stata resa tale. Il mangiare è qualcosa di talmente vicino a noi che non lo osserviamo bene, non ci poniamo delle domande chiave. Il fatto che esistano dei problemi comportamentali con il cibo è reale e questa cosa dipende anche dal fatto che questo rapporto non siamo minimamente in grado di gestirlo se non dicendo alle persone di mangiare di meno. È un rapporto tutt’altro che semplice.”

C’è differenza nel dire che un corpo è grasso e che una persona è grassa? 

“Secondo me la vera differenza è tra grasso e obesità. Tra obesità e corpo grasso c’è una differenza: l’obesità è una malattia e la diagnosticano i medici, poi però è diventato un insulto che anche le persone che non si occupano di medicina utilizzano con chi non ha chiesto nessuna diagnosi. Se io ti vedo le analisi e non sono un medico, magari vedo che la tua glicemia è alle stelle e posso supporre un diabete, però non ti posso fare una diagnosi e prescrivere una cura. Invece la gente tende a far combaciare patologia, grasso e colpa. Il grasso non è una colpa, è una caratteristica del corpo che dipende da un’infinità di variabili, alcune volte può rappresentare il sintomo di una patologia, l’obesità, anch’essa legata a un’infinità di variabili, e nessuna di queste cose ha a che fare con una questione morale.”

C’è una dieta che libera tutti i corpi?

“Ovviamente è un discorso complesso, ma possiamo dire che la dieta mediterranea è ottima, non solo per la qualità del cibo. Per esempio uno degli aspetti di aderenza alla dieta mediterranea, patrimonio dell'Unesco, è la convivialità: mangiare in compagnia migliora la tua salute, è stato studiato. La convivialità cambia il senso di quello che mangiamo e allo stesso tempo quello che mangiamo  cambia il modo in cui lo condividiamo. Questo aspetto sembra banale, ma in realtà ha un impatto sulla nostra salute fisica e mentale.

A meno che non ci siano patologie, la dieta mediterranea va bene per tutti i corpi, ma in chiave di sostenibilità sappiamo, per esempio, che si può andare anche oltre. Per esempio riducendo i prodotti di origine animale.”

Dove dovrebbe stare il dibattito sulla salute oggi? Qual è il suo ruolo?

“Al di là della dimensione medica, la rappresentazione di tutti i corpi è salute mentale e i media devono accettare questa responsabilità. È una questione di salute, punto! Dovrebbe essere quasi il ministero ad interfacciarsi con il mondo audiovisivo su questo tema, almeno quello pubblico.

La rappresentazione poi non deve essere mirabolante, non bisogna lasciare che un corpo rappresenti un'eccezione, ma mostrare come sia parte di una sana varietà. Si deve imparare a esprimere bellezza rappresentando i corpi nella loro elasticità, altrimenti ci stiamo facendo del male, non è una questione di pietismo, è qualcosa che riguarda chiunque abbia un corpo, un corpo che cambia.”

Sulla rappresentazione dei corpi, ti viene in mente un esempio virtuoso?

“Savage X Fenty Show ha una rappresentazione molto libera e variegata, dimostrazione che questa è possibile. A proposito di questo è importante iniziare a chiedere alle persone come vogliono essere rappresentate, le dobbiamo coinvolgere e rendere protagoniste, non solo oggetti ma soggetti. Circa l’autodeterminazione attraverso la rappresentazione si scade spesso nel “Voi non sapete di cosa avete bisogno, quindi ve lo diciamo noi”, invece qualsiasi tipo di percorso vuole il coinvolgimento delle persone che poi quel percorso lo devono effettivamente intraprendere.”

Nella rappresentazione il corpo diventa una personalità: un corpo grasso e un corpo magro diventano connotanti di un personaggio. L’unica eccezione che mi viene in mente su due piedi è Kat Hernandez di Euphoria, che ne pensi?

“Sì, spesso ci fermiamo al magro è buono e grasso è cattivo, così come alto è buono e basso è cattivo. Non possiamo fare finta che non esista un immaginario costruito intorno al corpo grasso di pigrizia, cattiveria, ingordigia o comicità. La stessa identica cosa esiste nell’audiovisivo. È dura trovare un personaggio, protagonista o no, la cui storia non dipenda tutta dal proprio grasso.”

Oltre alla discriminazione legata all’immagine, su cosa dobbiamo lavorare?

“Il corpo grasso non è stato liberato dal pregiudizio medico, cosa che invece è avvenuta per altri tipi di discriminazioni sistemiche, come quelle circa l'orientamento sessuale. Allo stesso modo non esiste una vera comunità di corpi grassi, anche se c’è l’attivismo. I corpi grassi sono ancora soli e questo non aiuta.”

Qual è la differenza tra la discriminazione tra corpi considerati troppo grassi e troppo magri?

“La grassofobia è sistemica. Certamente anche i corpi magri possono essere bullizzati per un elemento di difformità rispetto al gruppo, ma è innegabile, per esempio, che i sedili degli aerei e quelli dei cinema siano fatti per corpi magri. Allo stesso modo il medico non ti dirà mai che tutti i tuoi problemi dipendono dalla tua magrezza a meno che non ci sia una condizione clinica veramente estrema. É profondamente ingiusto e sbagliato costruire una gerarchia della sofferenza, ma dobbiamo renderci conto che nel caso dei corpi grassi la discriminazione è sistemica. Tutto il mondo ti ricorda costantemente che il grasso non va bene.”

Esiste un rapporto tra il modo in cui guardiamo al grasso e quello in cui guardiamo alla razza? Penso a Kim Kardashian o Beyoncé i cui corpi formosi vengono accettati nelle loro forme in quanto donne nere.

“Molta della grassofobia ha origine dal razzismo. Indubbiamente alcune etnie tendono ad accumulare l’adipe di più e in maniera diversa rispetto ai corpi caucasici. Questa cosa per assurdo ha permesso alla comunità nera di vivere in maniera diversa il peso, ma non si può generalizzare chiamandola autodeterminazione considerando che appunto è legata ad uno sguardo razzista. Parliamo comunque di corpi estremamente conformi nei modelli mainstream, ugualmente inarrivabili – e qui il razzismo si interseca anche con il classismo.”

Psicologicamente come ti fa sentire il lavoro che fai?

“Che bella domanda. Sento una forte responsabilità, ma sono anche molto felice dei feedback che ricevo. Le persone mi dicono che molte delle cose che dico le aiutano: riescono ad accettare aspetti della loro vita o, in certi casi, ad iniziare percorsi di cura dove per cura intendo in primis cura della persona. Spero di fare il mio. 

A proposito di chi ha voglia di discutere in modo poco costruttivo, a volte è faticoso parlare di questo e sentirsi sempre messo in discussione da persone che non sanno nemmeno quello che dicono, ma penso sia importante imparare a prendere le distanze e non soffrire troppo per questo, è un atteggiamento professionale.”

Da questo prezioso confronto mi porto a casa che la varietà educa, quindi è importante mostrarla, coinvolgerla e sapere che parla con voce propria. Non è sufficiente sapere che esiste. 

Di conseguenza raccontare il cibo e chi lo mangia non può essere un’operazione di spin doctoring della “taglia ideale” e nemmeno una propaganda dell’amore per il proprio corpo. L’obiettivo non è parlare di positivity, ma di neutrality, anche quando parliamo di corpi. 

Il vario è neutrale perché è una rappresentazione verosimile, possibile e non polarizzata della realtà. E, a proposito di poli, è vero che il corpo è politico, ma vogliamo che lo sia per sempre?

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