Domenico Marotta: Curiosità e Materia

Come spesso ripete, Domenico “è nato” in un ristorante. Da bambino giocare tra le padelle e con i clienti della pizzeria dei genitori era una quotidianità che, anni dopo, verrà trasformata in professione.

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Ci troviamo a Squille, piccolo paese in provincia di Caserta, a due passi da Caiazzo. In questo luogo, ricco di natura, lo chef Domenico Marotta, 33 anni, ha deciso di portare avanti il progetto del suo Marotta Ristorante.

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Foto di Lorenzo Palmieri

Come spesso ripete, Domenico “è nato” in un ristorante. Da bambino giocare tra le padelle e con i clienti della pizzeria dei genitori era una quotidianità che, anni dopo, verrà trasformata in professione.

Con la crescita dell’attività familiare, circa una trentina di anni fa, è nata Villa La Collinetta: il complesso per eventi dove oggi, al primo piano, si trova il ristorante.

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Foto di Lorenzo Palmieri

Dopo le prime esperienze nel locale di famiglia, lo chef campano si avventura verso le cucine di alto livello esordendo al Bar del Trussardi alla Scala, al tempo gestito da Andrea Berton. In seguito al periodo di stage, viene invitato ad entrare nella brigata del Ristorante vero e proprio che, nei tre anni di permanenza di Marotta, viene insignito prima di una, poi di due stelle Michelin.

Per il giovane è un battesimo di fuoco, è la prima volta a contatto con le guide, i riconoscimenti e la cucina d’autore.

Una volta terminato questo primo periodo chiave per la propria educazione Marotta, interessato alla cucina francese, si reca a Parigi presso l’Épicure di Éric Frechon, da poco tristellato. Lì, vi rimarrà due anni e mezzo nei quali vedrà la forza trionfante della contemporaneità francese al massimo della sua espressione.

Il mondo vegetale è però sempre stato al primo posto nella filosofia di cucina del giovane. Ed è quindi dopo questa prima esperienza parigina che decide di sterzare clamorosamente e delineare nettamente la rotta: è il momento perfetto per Alain Passard.

All’Arpège passa un anno rivoluzionario, vitale. L’andare nell’orto a contatto con la materia, i menù che cambiano frequentemente, la sincerità di un’erba o di una verdura colta e cucinata: un mondo che lo segnerà in maniera decisiva.

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Foto di Lorenzo Palmieri

Ma se è vero che la sete di conoscenza di Marotta è sempre stata infinita, portandolo successivamente verso altri stage nei paesi nordici, è altrettanto vero come l’Italia abbia sempre rappresentato la sua meta finale.

Ed è con questo desiderio in mente, che viene naturalmente attratto dal radioso microcosmo albese di Enrico Crippa: Piazza Duomo.

Così si trasferisce in Piemonte per tre anni e mezzo, imparando nuovi modi di gestire i vegetali e girando tutte le partite.

Inutile forse scrivere quanto l’approccio di Crippa lo abbia formato ed influenzato; ma se c’è un qualcosa di probabilmente inaspettato, è la nascita della fascinazione per l’oriente.

Cosicché, terminando in bellezza il periodo di formazione ufficiale, si reca anche in Giappone per tre mesi, presso il RyuGin di Seiji Yamamoto, tre stelle Michelin.

“Ciò che mi ha profondamente colpito di questa esperienza giapponese è stato il rigore, la precisione ed il minimalismo assoluto del gusto. Mi mancava questo tassello per dare finalmente forma alla mia cucina.”
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Foto di Lorenzo Palmieri

Arriviamo dunque al giugno 2019, quando il progetto del Marotta Ristorante prende forma.

La forza espressiva del territorio e la vastissima quantità di piccoli produttori illuminati permettono alle tecniche cosmopolite di tornare al servizio del gusto nostrano, natale. La proposta si declina in tre degustazioni alla cieca, differenti per numero di portate, ed in una piccola carta.

La denominazione “Radici&Innesti” dei percorsi non è casuale: simboleggia l'impossibilità di discostarsi da ciò che siamo ed anche di chiudersi alle bellezze altrui, rubandole sapientemente. I piatti di Marotta sono un’inno alla curiosità, emettono energia e solarità, si bilanciano nel loro essere aperti al mondo.

Lo chef, anche se non ama definirsi così, ripete spesso quanto fortunato sia stato a trovarsi in una delle zone più ricche al mondo in termini di ingredienti: dalla meravigliosa Costiera ai colli e monti dell’Alto Casertano.

Capire, studiare ed applicare. Essere italiani in quanto incarnare coloro che hanno giovato del maggior numero di influenze e cambiamenti, nella cultura come a tavola. Nascono così delle preziose alleanze tra conforto e stimolo, tra memoria e scoperta.

Vedi, ad esempio, i “Plin di coniglio all’ischitana” o l’ “Agnello Laticauda, sedano rapa, cumino e limone”.

“Essere locali con testa. Non si dovrebbe porre un limite alla propria creatività. Se trovo un ingrediente interessante non me ne vorrei mai privare. Ovviamente in modo garbato.”
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Foto di Lorenzo Palmieri

Nascono così piatti delicati ma possenti e profondamente intrisi, per i più attenti, di tutte le esperienze fatte nel mondo. Una visione appena nata, quella di Marotta, ma che deriva da una grandissima consapevolezza interiore.

Vi è sconfinata attenzione alla precisione delle cotture, delle consistenze e delle centralità delle singole componenti, rispettati nella loro anima.

Accostamenti, sapori e conclusioni estetiche essenziali ma molto vive, rispecchianti a pieno il carattere di un cuoco molto riservato, mai esuberante.

Ritorna l’arte dell’attesa, del silenzio in un mondo cacofonico, dell’agire prima di comunicare; ritorna l’umiltà necessaria ad apprendere l’ignoto e riutilizzarne solo il necessario, senza snaturarlo.

Ritorna anche la misura precisa della tecnica e della sua effettiva applicabilità ad un territorio, oltre la ricerca dell’elemento straniante che si riassume nel coraggio di essere se stessi resistendo all’omologazione delle idee.

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Foto di Lorenzo Palmieri

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