Congratulazioni Valerio!
Abbiamo intervistato Valerio Serino del ristorante Térra di Copenaghen, un orgoglio nazionale che ha appena conseguito la prestigiosa Green Michelin Star. Ci ha raccontato di come è arrivato a questo risultato e cosa rappresenta per lui.
"Siamo davvero contenti ma così abbiamo ancora più responsabilità, non dobbiamo montarci la testa, ma puntare ancora più in alto. Questa cosa ci dà anche molta energia".
Il tuo percorso con Térra non è stato sempre facile. Raccontaci com'è andata.
"Quando abbiamo iniziato non avevamo un passato a livello di ristorazione. La Danimarca è un Paese all’avanguardia ma qui a Copenaghen c’è una competitività molto forte, quindi aprire senza avere una carriera alle spalle non è semplice. In più nell’ambito della ristorazione, da Italiani, eravamo vittime di uno stereotipo legato alla pasta e alla pizza.
Siamo partiti con una cucina più tradizionale per cominciare a farci conoscere. Poi la voglia di creatività che abbiamo dentro ha preso il sopravvento, ci ha spinto a provare e riprovare.
Abbiamo attraversato un periodo buio, il ristorante era sempre vuoto, le prenotazioni scarseggiavano. Ma abbiamo deciso di fare sacrifici e continuare per la nostra strada, io e Lucia abbiamo rinunciato al nostro stipendio e ci siamo trovati a lavorare anche di notte, spinti solo dalla passione."
Con la perseveranza avete ottenuto la Green Michelin Star. Che cosa rappresenta per voi?
"Per me è il massimo riconoscimento per quello che stiamo facendo. Non posso chiedere altro, posso solo impegnarmi e cercare di migliorarmi, ma soprattutto essere una persona rispettata per le mie scelte nel campo della sostenibilità e poter dare voce a quello che faccio. Il premio per me è un modo per essere più ascoltato, perchè vorrei essere pioniere in questo e trasmettere un messaggio. Il dialogo, lo scambio, lo sviluppo di progetti condivisi è sintomo di intelligenza. E questo è questo che dobbiamo fare."
La Danimarca ha preso 6 delle 9 stelle verdi assegnate, dimostrando di essere avanti con la sostenibilità anche nel fine dining. Secondo te è possibile raggiungere risultati analoghi anche in Italia?
"Noi italiani lo facciamo da sempre: le nostre nonne ci hanno insegnato a valorizzare e sfruttare l’ingrediente: conserve, sottaceti, sottoli sono la dimostrazione. Oggi va tanto di moda la fermentazione ma noi italiani l’abbiamo sempre fatta con le conserve, senza rendercene conto.
Certo si potrebbe studiare di più e farlo con più consapevolezza, soprattutto nella ristorazione; usare di più gli ingredienti locali invece di importare prodotti dal Cile o dalla Norvegia. Tanti ristoranti non è che non hanno la filosofia della sostenibilità, devono solo riscoprirla e riportarla al centro del loro lavoro.
E anche in termini di food cost se non fai attenzione spendi di più per avere un prodotto più scadente e nemmeno locale."
La sostenibilità ti è sempre appartenuta? O è iniziata ad un certo punto, con qualcuno o qualcosa che ti ha ispirato?
"Quando siano arrivati qui, la nostra prima attività è stata un pastificio, facevamo un prodotto che ha grande valore a livello culturale ma è fatto da elementi semplici come acqua e farina. Intorno a noi però vedevamo tanto sperpero, e abbiamo voluto concentrarci per evitare questo. Così è nato Tèrra, per dare valore a tutto quello che poi abbiamo pensato e vissuto, partendo da etica, rispetto degli ingredienti, riduzione del packaging e della plastica, riutilizzo delle cassette in cui riceviamo gli ingredienti. Insomma, tutto quello che eravamo capaci di fare ma che il tempo e le cattive abitudini ci avevano disabituato a fare.
Noi solo dopo aver lasciato l’italia abbiamo capito quanto l’Italia sia un Paese ricco e quanto siamo fortunati. Qui in Danimarca invece la disponibilità è limitata e da lì è scattato qualcosa. Partendo da questa consapevolezza poi il percorso è stato più in discesa."
Parliamo di spreco alimentare in cucina e a tavola. Voi come lo gestite?
"Noi siamo un ristorante 98% zero waste, il restante 2% è fibra che viene utilizzata nell’orto che abbiamo qui dietro. Poi abbiamo un accordo con un’azienda che fa compost da reimpiegare per usi agricoli.
Per quanto riguarda la tavola, secondo me devi saper dosare il menu. Se calibri la quantità di proteine in base a quanto una persona deve assumere capisci che il menu non può essere tutto proteico. Noi studiamo il menù per essere sostenibile ma anche soddisfacente, per questo è vegetale, leggero, ha meno grassi ed è più salubre."
Lì a Copenaghen riesci a fare filiera corta?
"Sì, a Copenaghen noi facciamo filiera corta con produttori locali che ci forniscono sia ortaggi che carne e latte, cambiando ingredienti in base alle stagioni. Cerchiamo produttori che abbiano rispetto anche del ciclo produttivo: se ho il maiale nel menu e quel maiale non è pronto dirò al cliente che non è ancora disponibile. Per quanto riguarda il bio posso dirti che è inutile comprare bio senza saperlo scegliere, bisogna sempre tener conto dell’etica, saper acquistare determinati prodotti."
Qual è stato il primo piatto che hai fatto senza produrre scarto?
"La coda di aguglia, un pesce azzurro che si trova anche nel Mediterraneo, in particolare in Sicilia. L’abbiamo guardato come un’opera d’arte e abbiamo pensato che non fosse giusto usare solo il filetto.
l nonni ci hanno insegnato che le parti più saporite sono la coda e la testa, e la sostenibilità è cultura. Quindi, oltre a lavorare il filetto, con la testa facciamo un brodetto di pesce, mentre la coda la cuociamo a vapore e la serviamo glassata con una riduzione di soia e balsamico, insieme al brodetto.
Nel precedente menu avevamo il maccarello: la parte delle spine l’abbiamo messa sotto sale e conservata per un anno, ricavando un katsuobushi che usiamo come insaporitore. Si mangia direttamente con le mani, per valorizzare ogni elemento. Così dimostriamo che un ristorante fine dining può servire pochi ingredienti presentandoli nel menu in modi diversi."
Nel fine dining si cerca sempre di ostentare usando ingredienti molto cari come l'oro o il caviale, e stupire ad ogni costo con menu molto elaborati e un food cost elevatissimo.
"Quel tipo di ristorazione va bene se rispecchia le persone che lo propongono. Ma nell’era in cui ci troviamo penso che bisogna anche porsi delle domande e riuscire a fare buoni piatti con pochi ingredienti, sempre per combattere lo spreco. E anche dal punto di vista del sapore per noi l’obiettivo è valorizzare il gusto essenziale."
La sostenibilità non è solo ambientale ma anche umana. Dal punto di vista delle tutele e dei diritti ci sono differenze tra Danimarca e Italia?
"Qui in Danimarca c’è un sistema molto responsabile verso il dipendente. Chiaramente bisogna far quadrare i conti, pertanto noi abbiamo scelto di avere pochi dipendenti e ci impegniamo nel rispettarli e gratificarli come meritano. Durante il lockown il governo ha dato l’opportunità di non licenziare e così noi abbiamo mantenuto tutto lo staff, in tal senso siamo stati fortunati."
Come cambieranno i ristoranti nei prossimi 5-10 anni? In conseguenza del cambiamento climatico e della pandemia?
"Vuoi sapere come li immagino o come vorrei che fossero? Per me si sta andando verso una strada giusta, il concetto di ristorazione anni 90 non è più in voga ed è giusto che qualcuno se ne accorga. Siamo piccole attività e dovremmo avere tutti una dimensione più familiare, meno aziendalista, con più rispetto. Spero che sarà così e vedo che ci sono segnali incoraggianti, il covid ha dato la possibilità di fare una certa pulizia, ha dato tempo alle persone di staccarsi dalla routine e di pensare, riflettere. Per quanto riguarda la sensibilizzazione è stato un fattore determinante, le persone sono più buone a livello di valori, di principi, c’è stata quasi una redenzione naturale."
Ci sono realtà in italia che sono come voi o simili sul tema zero waste?
"Ci sono ma non vengono documentate. Conosco delle attività che fanno vera sostenibilità ma non sanno valorizzarsi, in italia c’è il concetto di accontentarsi, in questo dovremmo imparare dai Paesi scandinavi."
In grandi metropoli ci sono concetti come Silos, come Tèrra. In Italia c’è qualcuno così?
"Gianfranco Pascucci a Roma fa un lavoro eticamente molto bello nel suo ristorante di Fiumicino."
Quando vedremo il tuo Térra in terra italiana?
"Stiamo gettando le basi perché sentiamo il dovere e il bisogno di tornare. Qui abbiamo avuto terreno fertile ma in italia abbiamo le nostre radici, il richiamo è forte."
Credi che il cliente italiano potrebbe capirti oppure dovresti iniziare da zero?
"Io ho avuto ospiti molti italiani, col palato allenato, amanti dell’alta gastronomia. Qui a Copenaghen va molto quello che è trendy, contano più le etichette, se sei recensito e sei famoso le persone vengono. Invece in Italia se un posto è buono è pieno."
Quando ti ho chiamato cosa stavi preparando?
"Mi è appena arrivato il pesce, stavo facendo dei tagli di pesce e il brodetto per la settimana. Con questo premio abbiamo ottenuto una buona visibilità e nei prossimi giorni abbiamo molte prenotazioni, quindi ci dobbiamo organizzare bene per partire a dovere."