Moreno Cedroni

Moreno

Senigallia è famosa per le sue spiagge di velluto, perché il mare incontra la collina ma soprattutto è famosa per i suoi cuochi, interpreti assoluti di un territorio che si è fatto destinazione.

Altro giro, altro spicchio del Mediterraneo. Navighiamo a vista nell’Adriatico. Al timone, Moreno Cedroni, alfiere della cucina italiana, lui e i suoi piatti che non necessitano di essere spiegati, come del buon jazz, maturo e imprevedibile. Dentro c’è tutto ciò che t’aspetti. Lui che tocca punti di minimalismo estremo prima di riempirti il palato e la testa di sapori che per essere così completi necessitano di un sapiente utilizzo delle tecniche più disparate. Rigorosamente al servizio del talento cristallino. Puro, come quel mare del quale Moreno è figlio prediletto.

the tunnel foto di Lorenzo Cicconi Massi (4)

Chef, che rapporto hai con il mare?

Che invito a nozze! Il mio rapporto con il mare è molto intenso, ci sono quasi nato dentro. Adesso vi spiego come andò quel giorno.

Sul lungomare di Senigallia c’era l’abitudine di raccogliere vongole e cannelli. Mia madre ne era una raccoglitrice seriale. Nonostante fosse incinta di otto mesi entrava in acqua fino alle ginocchia cercando cannelli e un giorno nel prenderne uno con le mani, si tagliò un dito. Vide il sangue, si agitò e per poco non ruppe le acque proprio lì, nel mare. Nacqui poco dopo, di otto mesi, per questo motivo.

Ho sempre vissuto al mare, la mia casa è sempre stata vista mare e la Madonnina è stata la piazza dei miei giochi. Conosco tutte le dinamiche del mio mare, le cose belle e quelle brutte che ci sono state nel corso degli anni.

A 15 km da noi c’è una raffineria, quando ero ragazzino le misure di depurazione erano scarse e dopo ogni mareggiata la nostra spiaggia si riempiva di catrame, dovevamo stare attenti a non sporcarci le scarpe, la pelle. Poi c’è stato il periodo delle alghe, delle cozze che non andavano bene… sono state tante le trasformazioni, fin quando ad Ancona hanno costruito un piccolo porto pubblico, “cementificando” l’acqua. Una parte del mare si è sfogato verso nord e qui da noi è andata via la sabbia. La trovi nell’acqua ma non più al di fuori, in poco tempo è stata sostituita dalla ghiaia.

So tutto di questo pezzo di mondo. L’ho vissuto come pescatore di cannelli e vongole. A 12 anni facevo il marinaio con un pescatore che aveva una piccola imbarcazione. Acciaccavo i granchi e facevo piccoli lavoretti per una paghetta che poteva essere la sogliola per mia nonna. Andavo a vendere i cannelli che pescavo alle signore di Marzocca, dieci lire l’uno. Ho vissuto tutto con spensieratezza, il mare era la mia cornice ed è questo contesto che mi ha portato poi all’Istituto Nautico. Volevo diventare capitano di navi mercantili. Invece a 20 anni ho aperto il ristorante.

Moreno PH Brambilla Serrani

Come sta il nostro Mediterraneo e come sta il tuo mare Adriatico?

Dopo le misure prese negli ultimi anni, la raffineria non da più problemi, le acque sono molto pulite tanto che la zona si guadagna, da anni, la bandiera blu, ma c’è stato un peggioramento in alcune specie animali. Sono affezionato ai cannelli, anni fa arrivarono delle nuove barche, da San Benedetto, che non aravano il mare, la sabbia, per pescare ma soffiavano e aspiravano. Uccisero tutte le uova che c’erano e nel giro di due, tre anni sparirono i cannelli. Non ne abbiamo più qui e mi mancano tantissimo.

L’uomo a volte è la rovina delle cose, della natura stessa. Sono comunque andato a fondo sulla questione, in quegli anni erano state concesse in Italia, dico un numero a caso ma rende bene la proporzione, 100 licenze di queste “nuove” barche e 70 erano nelle Marche. C’era stata una lobby che aveva spinto in quella direzione, la stessa che ha permesso l’uccisione dei cannelli che ora noi dobbiamo andare a comprare in Olanda, perché allora qualcuno sbagliò decisione.

Quanto la vicinanza del mare ha influito sulla formazione dell’uomo e dello chef?

Al 100%. Nonna aveva gli animali da cortile e l’orto e poi c’era il mare che incideva oltre il 50%. Sono cresciuto con quei sapori, con quelle ricette. Sono state delle basi talmente solide che adesso posso surfare a occhi chiusi tra quei sapori. Ho fatto un brodetto quest’anno che è il migliore tra quelli che io abbia mai fatto ma parte da lì, da quello dell’infanzia.

Il Mare è selvaggio, è natura… non lo contieni ma la cucina, i cuochi riescono in qualche modo a concentrarlo e a raccontarlo. Che forme ha la tua cucina?

Sono partito con una forma circolare, la cucina di casa la definisco tale. Lo spaghetto alle vongole della nonna, toni sapidi e dolci, raramente entra il piccante o l’acido, l’amaro. Nel corso della maturità, complici anche i miei viaggi e le contaminazioni vissute, da circolare è diventata più lunga di un ovale… rettangolare no, perché non ci sono angoli a 90°. Pensa ad un mondo allungato, tipo palla da rugby, allungo dei gusti, li “aumento”. Acido e piccante dialogano con il resto, con tranquillità. La forma è cambiata ed è cambiata la nostra mentalità, le tecnologie, i metodi di estrazione ma anche i sapori e certi gusti. È come se i colori fossero aumentati e ora potessi dare più sfumature.

Idealmente sei l’alfiere di una porzione di Mediterraneo. Tu, sei sull’Adriatico. Qual è la filosofia, la storia di quel mare ancor prima dei tuoi piatti?

L’Adriatico nel commercio ha richiamato tutto quello che arrivava da Oriente anche se poi le navi attraccavano, magari, a Venezia. È un mare più chiuso, meno profondo di certe porzioni del Mediterraneo ma più concentrato. Ha favorito un uso costante delle sue materie prime, ha mantenuto il rispetto delle tradizioni, del pescato.

La Madonnina, Il Clandestino, il Tunnel, l’orto marittimo, cosa ci sarà dopo e quale spirito anima e alimenta ogni singolo progetto che hai pensato e realizzato e portato poi a compimento in tutti questi anni?

La mia curiosità mi ha portato ad affrontare ogni aspetto del cibo. Il Clandestino e l’evoluzione sul crudo che quest’anno si è fatto sushi movie, con piatti ispirati a film che hanno parlato di cibo. L’espressione dei salumi di pesce, iniziata 20 anni fa, è stata capofila di molte poi altre interpretazioni, i panini di pesce del 2001, quanti posti da allora hanno aperto con quel focus? Le conserve, mi ero invaghito dell’immortalità del cibo: mantengo quelle che ho fatto, sono buone. Poi il tunnel, il laboratorio di ricerca e sviluppo dove esploriamo nuove vie, dalle distillazioni, alle liofilizzazioni, fino alle maturazioni con le frollature del pesce, lavoro partito 2 anni fa. Ho iniziato ad allevare delle microalghe, progetto questo dove ho richiesto l’aiuto dell’Università di biologia marina di Ancona. Ho talmente tante idee in testa. Anche altri colleghi stanno lavorando con le microalghe, vuol dire che sono sulla strada giusta e che è un filone che può dare delle soddisfazioni.

L’orto marino è il completamento romantico di questo giro intorno al mare. Mia nonna raccoglieva le erbe lungo quella fascia di ghiaia, con qualche ceppo verde, e io? Ho provato a ricreare quel momento lì. Nascono così una ventina di erbe aromatiche dal gusto salmastro. Il nostro 60% del fabbisogno lo prendiamo da lì.

Con l’orto e le alghe il cerchio si sta chiudendo. Possiamo dare tanto e fare una grande ricerca. Vorrei arrivare a ricreare l’umidità che il pesce ha quando è in mare. Stiamo facendo grandi studi con il nostro chimico, è in questa direzione che va la mia ricerca oggi, e spero di riuscire a dare ai colleghi indicazioni precise di quello che stiamo facendo. Non voglio brevettare chissà cosa, cerco informazioni su argomenti che trattiamo tutti e per me sarà un piacere poi, diffonderle.

Come si lavora dopo una pandemia? Come si mangia dopo una pandemia?

Il primo lockdown ci ha preso un po’ alla sprovvista, dopo il secondo ci siamo ripresi, organizzati. Si lavora comunque bene, non vedo cambiamenti. Ci eravamo fatte tante paranoie, “diminuiamo i menù?”, “la gente è stanca di stare troppo seduta!” e si è rivelato tutto il contrario, la gente aveva una voglia pazza di tornare al ristorante, sedersi e non andare più via. Non è cambiato nulla. C’è più gente propensa a pranzare fuori.

Hai problemi a reclutare ragazzi?

I recruiting normalmente li faccio a novembre, dicembre e lì non ci sono problemi. Capita che ti serve una persona in più, come successo al Clandestino, e lo cerchi a maggio-giugno e lì non lo trovi. Naturalmente il problema c’è anche se credo che al nostro livello lo si senta meno perché la gente crede nelle nostre professionalità. Dovremmo tutti noi fare delle modifiche in termini di vivibilità, cercare di rendere questo lavoro, il più bello della vita, quello che ci fa star bene, vivibile per noi, per le nostre famiglie e per i nostri dipendenti.

Quando eravamo giovani noi, nessuno però ci pensava. A rendere la vita più vivibile.

Nessuno ci pensava, anzi più ti spremevano meglio era. Ci sta che le cose cambino, fa parte della sostenibilità di cui tutti parlano che va a finire nella qualità del lavoro e della vita delle persone. Essere sostenibili non è solo non sprecare.

Sono contento di partecipare a questo cambiamento. Naturalmente per noi le cose erano diverse, avevamo più fame, racimolare le diecimila lire era più difficile. Oggi a volte sembra che tutto sia dovuto. Resta inteso che ciò che è migliorabile, sarà migliorato, almeno da parte mia. Credo nel mio team e quindi farò di tutto per poterlo mantenere al meglio.

Cosa rende destinazione un ristorante… visto che tu sei una destinazione.

L’unicità di quello che fa. Se è solo il ristorante la destinazione dura poco, è corta. Come accade in Toscana e Piemonte, per fare due esempi illuminanti, la destinazione del ristorante ha bisogno di un’altra componente che è il vino.

Cibo e vino completano la destinazione. Negli ultimi anni le cantine delle Marche sono cresciute tantissimo e con esse anche i ristoranti; quindi, ci troviamo anche noi a creare una destinazione. Il ristorante ha poi modo di raccontare delle storie diverse, importanti, intorno al suo territorio, dove è possibile assaggiare vini unici che non trovi in altri territori. Poi c’è il fattore cultura che è alla base di tutto e che nelle Marche non manca.

Chi vive sul Mediterraneo, si nutre degli stessi ingredienti: a distinguerci, sono le nostre usanze e le nostre tradizioni.

Nelle Marche le tradizioni sono fatte di piccole cose. Sicuramente legano, essendo poi mare e collina vicini, molte ricette vanno bene sia per la carne che per il pesce. Vedi il potacchio che te lo ritrovi nella coda di rospo e nel coniglio, o la porchetta che te la ritrovi nelle lumache di mare e nel maiale. Poi ci sono le tradizioni sulla griglia, sul carbone, anche se stanno un po’ scomparendo da quando tutti sono andati a vivere in appartamento e non possono più grigliare.

Chef, ce ne siamo accorti, lo sa?

Di cosa?

Che ci sta lavorando! (alla terza Stella Michelin)

Adesso l’ho capita. No, non ci stiamo lavorando. Stiamo lavorando bene, questo già mi soddisfa, anche perché poi non ci ho mai creduto a questa cosa che “ci lavori”. La prima arrivò nel ’95 che non sapevo neppure cosa fosse, nel 2006 lo sapevo bene. Ho sempre lavorato per migliorare tutto: locale, cucina, staff, piatti. Non ho mai pensato “faccio questo per quello”. Procedo con la mia linea di miglioramenti, non c’è nessuna bramosia o un fine unico.

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