Sète: alla scoperta della gastronomia della più italiana delle città francesi

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Adagiata all'ombra del Mont Saint-Clair, attraversata da numerosi canali e bagnata dalle acque del mar Mediterraneo e dall'Etang de Thau, Sète è il più importante porto peschereccio francese nel Mediterraneo, nonché la più italiana delle città francesi. Fondata nel 1666 da Luigi XIV con la creazione del porto ad opera dell’architetto Pierre-Paul Riquet, la città nacque con la vocazione di diventare un porto militare al fine di contrastare l'influenza britannica sul Mediterraneo. Oggi, è una delle destinazioni turistiche più famose della Francia, capolinea del suggestivo Canal du Midi che collega l’oceano Adriatico al mar Mediterraneo e mecca gastronomica per gli amanti delle ostriche e dei frutti di mare. Nulla, però, neppure le ragioni che hanno portato alla sua fondazione, hanno sconvolto l'anima della città come l'arrivo degli immigrati italiani dal sud Italia, e più precisamente dalle città di Gaeta (nel Lazio) e Cetara (in Campania).

Espatriati per ragioni economiche, e in particolare a causa dell’improvvisa mancanza di acciughe nel Mar Tirreno, i pescatori italiani scelsero Sète per le acque pescose, molto simili a quelle della loro terra di origine. Spesso poveri e analfabeti, furono vittime di un razzismo esacerbato ma la loro determinazione fu tale che riuscirono ben presto a integrarsi nella vita della città, monopolizzando i settori nautico e ittico e importando tecniche di pesca come quella al lamparo e a strascico, allora sconosciute dai pescatori locali. Ma la loro influenza non si limitò a questo. Insediatisi nella zona del Quartiere Alto - detto anche la Piccola Italia, all’ombra della venerata statua della Madonna della chiesa di Saint-Louis, le numerose famiglie italiane giunte massivamente tra il 1830 e il 1940, impregnarono l'identità culturale dei Sétois con le loro tradizioni, i loro usi e la loro lingua.

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Secondo il comune, infatti, più di un terzo degli abitanti di Sète è di origine italiana. Del resto, basta fare un salto all’affascinante cimitero marino, che il poeta Paul Valéry (anch’egli figlio di madre italiana) ha immortalato in una delle sue più celebri poesie, per capire quanto importante è stato il flusso migratorio in città. I cognomi presenti sulle varie lapidi in pietra, affacciate sul blu del mare con le loro sculture color crema, sono più italiani che francesi. La triste constatazione è che ad oggi molti Sétois, pur sentendo forte il legame con la cultura d’oltralpe, non conoscono affatto la storia delle proprie famiglie. Lo stesso Georges Brassens, celebre musicista originario della città, non sapeva granché della famiglia di sua madre napoletana e per un periodo è persino stato reticente nell’affermare le proprie origini. Fatta eccezione per “Santa Lucia”, infatti, le sue canzoni sono tutte state cantate in lingua francese in quanto “l’essere italiano non era considerato di buon gusto.” Per fortuna, complice l’arrivo di un maggior numero di turisti e di una sempre migliore integrazione degli immigrati nella cultura locale, la situazione cambiò radicalmente negli anni ’80, facendo di Sète quella che è oggi. Le case lungo il canale vennero ridipinte in colori sgargianti come nelle città di Portofino e Burano, le mamme ripresero ad asciugare il bucato alle finestre dei palazzi come erano solite fare in Italia, i nonni cominciarono a chiacchierare e raccontare le proprie storie seduti per strada di fronte alle porte delle loro case e i copiosi pranzi della domenica divennero una vera e propria moda. Ancora una volta, com’era accaduto per altri migranti in altre parti del mondo, la gastronomia aveva fatto da collante tra la comunità italiana e quella locale.

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Per capire al meglio quanto ancora oggi la gastronomia italiana abbia influenzato quella di Sète, ho quindi deciso di fare fare una passeggiata nel vibrante mercato coperto del centro: les Halles, il luogo perfetto per fare la spesa e al contempo chiacchierare con qualche amico bevendo vino e sgranocchiando taralli e frutti di mare crudi. È un po’ come ritornare in Italia e rivivere l’atmosfera dei mercati rionali. Fatta eccezione per i turisti, infatti, qui tutti si conoscono e i pescivendoli, i macellai, i panettieri e i fruttivendoli sembrano già sapere in anticipo quali saranno le richieste dei propri clienti più affezionati.

Tuttavia, ciò che più ha catturato la mia attenzione durante la prima visita a Sète, sono stati i numerosi venditori di Tielle sétoise, la specialità locale, famosa in tutta la Francia. Il nome non mi era affatto nuovo. Conoscevo già quel delizioso tortino rotondo cotto in padella, farcito di pesce fresco o verdura, tipico della città di Gaeta. La sua invenzione pare sia dovuta ai soldati spagnoli, che operando tra Lazio e Campania nel XVI e XVII secolo, decisero di creare una pietanza simile a una pizza con il coperchio, per far sì che il condimento riuscisse a conservarsi perfettamente senza asciugarsi troppo, durante i lunghi giorni di navigazione in mare. Si narra che addirittura il re Ferdinando IV di Borbone, che soleva trascorrere le proprie vacanze nel borgo marinaro, ne fosse un grande estimatore. Ma dopo la caduta del regno Borbonico, nel 1860, le classi più agiate presero a snobbarla e la tiella divenne il pasto principale di tutti gli emigranti che lasciavano la città alla ricerca di un lavoro. A Sète, in particolare, gli italiani che cercavano di sbarcare il lunario vendendo pesce, la utilizzavano per consumare gli scarti di polpo che nessuno voleva e dare da mangiare a bassissimo costo a tutta la famiglia. Fu solo nel 1937, che la giovane sposa di un immigrato italiano di nome Adrienne Virduci decise di commercializzarla, dando il via a una vera e propria tradizione che ancora oggi viene portata avanti dai suoi diretti discendenti che tengono alcuni dei negozi di Tielle (rigorosamente di polpo) più importanti della città.

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Ma la Tielle non è il solo piatto che gli italiani hanno portato in Linguadoca e reso famoso. Passeggiando tra le varie piccole gastronomie che popolano le Halles, non ho potuto non notare l’esposizione fiera delle cosiddette “brageoles”, gli involtini di carne al sugo conditi con aglio e prezzemolo conosciuti in Italia col nome di braciole, o ancora della macaronade, una specie di pasta al ragù napoletano (quello con i pezzi, per intenderci). In entrambi i casi il nome è un misto di dialetto campano e occitano, parlato anticamente nella comunità di pescatori di Sète, e la leggenda locale narra che ogni famiglia della città vanti una propria ricetta segreta. Per la macaronade in particolare, pare che esistano decine di varianti, a seconda della carne (salsiccia, involtini di vitello, guanciale, guancia di manzo), della salsa di pomodoro e del tipo di pasta utilizzato.

Ovviamente, non mancano poi le versioni locali delle acciughe marinate, delle cozze ripiene, della colatura di alici o delle “mouligiane” (melanzane) sott’olio, così come i numerosi venditori di pasta fresca che a Sète, proprio come in Italia, viene cucinata nei modi più disparati e chiamata con nomignoli derivanti ancora una volta dal dialetto napoletano come “Paste chiche”, pasta e ceci, “Paste patane”, pasta e patate, o ancora “Paste fasoule”, pasta e fagioli. E nonostante i dolci non figurino tra i piatti più celebri della città, pare che passeggiando tra le stradine del centro nel periodo di Pasqua, si possa ancora trovare qualche piccola pâtisserie che sforna la “pastière", una versione della pastiera a base di spaghetti cotti nel latte, caramello e uova, una ricetta in voga nelle cittadine dell'alto casertano e del basso Lazio, o la “torte”, una grande corona di taralli dolci ai semi di anice e vino bianco, glassata con bianco d’uovo e vaniglia, di cui si sta sfortunatamente perdendo la ricetta.

E seppur queste pietanze migranti non siano riuscite a ottenere la stessa fama internazionale di altri piatti più famosi come la pizza e le sue mille declinazioni, gli spaghetti con le polpette o le tanto discusse linguine all’Alfredo, una cosa è certa. In nessun altro luogo al mondo il legame culinario e culturale con la terra d’origine degli immigrati italiani è sentito come a Sète, una città fiera della sua storia e della sua gastronomia, che ha fatto di una ricetta italiana il proprio piatto simbolo.

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