Il vero Identità Golose è quello dietro le quinte

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Dietro il mondo scintillante dei fari e dei piatti su megaschermo, ce n’è un altro sommesso e umano.

Identità Golose non è solo il palco da cui gli chef che abbiamo imparato ad amare e conoscere fanno sentire la propria voce, raccontano le proprie esperienze e condividono le loro opinioni. Il bello di Identità golose è nascosto: nelle sale in attesa degli interventi, nella preparazione degli interventi, nei frenetici saluti in giro per il padiglione.

Questa del 2021 è stata la sedicesima edizione del congresso di gastronomia più importante d’italia e dell’anno. Come ogni anno –escluso l’anno scorso, per ovvi motivi pandemici-, Identità Golose si costruisce su di un tema cuore attorno al quale gli interventi e gli eventi ricamano creando un poliedrico simposio capace di portare migliorie al complicato mondo della ristorazione.

Il tema di quest’anno è stato, quasi d’obbligo, il lavoro. Come ripartire? Cosa serve? Come si evolve la cucina dopo un anno che nemmeno le menti dei migliori veggenti della Grecia Antica sarebbero state in grado di predire? Una voce plurale che ha preteso di essere ascoltata nelle sale chiuse di un congresso, aperte agli appassionati, agli addetti del settore e ad alcune delle istituzioni, in veste istituzionale.

C’è un altro tema, però, che quest’anno si è fatto sentire più che mai e che di istituzionale ha molto poco: il lato umano, di tutti noi.

Essere a Identità Golose non significa saltare da una sala all’altra, da una conferenza all’altra e applaudire alla consegna dei premi. Non è quello il lato più brillante. È, come dicevo, stare dietro, osservare cosa accade nell’organizzazione delle cose. Guardare come questi mostri sacri nazionali e internazionali della cucina si preparano e preparano il proprio team.

C’è Massimo Bottura che ha appena finito il suo intervento. Ha parlato di bucce di banana che diventano guanciale, del nuovo menu in Osteria Francescana per celebrare le grandi menti e le grandi mani della cucina italiana. E poi, se si sgattaiola nel dietro le quinte, c’è un mondo di Bottura leggermente diverso. Taka, il suo sous chef, che sta per diventare papà, la brigata di ragazzi e ragazze energici e insieme stanchi che viene rincuorata. Le interviste a luci spente e una marcia di gran carriera per mangiare tutti insieme, cuochi, giornalisti, amici, un culatello fenomenale.

Michelangelo Mammoliti del bistellato La Madernassa in Roero spiega la sua cucina nascosta, piena di soprese: spaghetti che sanno di barbecue, pane e mortadella senza pane e senza mortadella e ogni genere di stupore gastronomico concepito al massimo dei livelli. Ma l’aspetto più interessante è l’emozione. Un’emozione che lo fa ragionare più del previsto, a volte gli fa tremolare un poco la voce rendendolo quello che è. Non una superstar su un palco, ma un essere umano. Un cuoco che parla attraverso un barbecue che non è un barbecue ma sa di barbecue.

Sono importanti i gesti, quelli piccoli. E i fuori onda che accadono sopra e fuori dallo stage, oltre i discorsi preparati per mesi e l’esecuzione tecnica di un piatto che fa venire l’acquolina in bocca. Questa surreale condizione per cui a un evento di cucina il piatto può essere solo osservato da uno schermo mentre il profumo attacca con vigore le narici affamate.
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Dicevamo i gesti, le espressioni. Mauro Uliassi, testa vorticosa e geniale fa da cicerone al suo pastry chef, altrettanto vorticoso e geniale, Mattia Casabianca. L’esecuzione e la spiegazione tecnica dei dolci di Mattia, 25enne che Uliassi ha voluto non appena rientrato dalle esperienze importanti all’estero come quella dai Roca, diventa un ping pong tra un ragazzo che sa tenere testa e trasformare in dolce qualsiasi cosa gli venga in mente. Ma, ancora una volta, non è il lato tecnico a interessare: è quello umano del suo chef e di Mattia stesso. Il primo ne tesse le lodi con la semplicità che si riserva ai pari. Il secondo risponde, creando una serpentina di dialogo che per qualche minuto ci ha fatti entrare nella cucina di Uliassi.

Niko Romito esce stanco da un’intervista, ma si ferma a fare due chiacchiere sulla colazione al suo ristorante. Giorgio Bargiani e Agostino Perrone, del Connaught Bar di Londra (primo bar al mondo per la 50 Best Bars, NdR) raccontano del loro Martini e, all’improvviso, si vedono arrivare Bottura, loro grande cliente, in un sipario molto reale e toccante –nel senso che si può toccare-; Alain Ducasse mette in mostra la propria austera professionalità ovunque si sposti. Insomma, un mosaico di emozioni e incontri che rendono la manifestazione davvero elettrizzante.

E poi i saluti. Ci si saluta, a Identità Golose. Con i colleghi e tutte quelle innumerevoli persone che contribuiscono alla macchina ristorativa di camminare e non zoppicare. Ecco Gennaro Nasti, che non vedevo dall’ultima volta che mi ha fatto mangiare pizze a non finire in quel di Parigi. Michael Silhavì, cuoco talentuosissimo di Verona, che annuncia felice e privatamente l’apertura del suo nuovo ristorante, “Fiola”, e pensi che aprire in tempo di incertezze è da veri eroi.

Si parla, si discute e ci si confronta. Non ci sono persone piccole e persone grandi. Rimangono solo le persone.

E le persone sono il tessuto che è il vero, perenne, tema, di Identità Golose.

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