Suggestioni
“Il tentativo maniacale di raggiungere la perfezione, delle volte, rischia di togliere l’anima e l’energia positiva che ognuno di noi ha quando fa un mestiere che gli piace. Quindi, viva l’imperfezione!” ci dice Matteo Baronetto nel suo Del Cambio.
“La perfezione abbrevia la vita artistica”. Parte così, parafrasando il suo volume “d’arte culinaria”, Iconiche similitudini(Maretti Editore), la cena tra amici che lo chef Matteo Baronetto intavola tra le volte originali del XVIII secolo nella Sala Pistoletto, intitolata all’artista che ne anima l’architettura, all’interno del ristorante Del Cambio.
“Il tentativo maniacale di raggiungere la perfezione, delle volte, rischia di togliere l’anima e l’energia positiva che ognuno di noi ha quando fa un mestiere che gli piace. Quindi, viva l’imperfezione!” questa l’accoglienza del cuoco prima di accendere i fuochi.
È cucina e cibo a finire sotto i riflettori ma è anche tanta arte ad aleggiare nell’aria, nella misura in cui si è circondati dalle, ben note, lastre specchianti che vorrebbero farti sentire parte del tutto, come le proposte dello chef, che sono prove, piatti non ancora in carta. Magari entreranno, magari no. Presentati dai capi partita, per dare un volto e una voce a chi c’è dietro ogni singola idea, proposta, slancio gustativo.
È un gioco un po’ ruffiano. È fiducia che si spera sia ricambiata, perché è l’errore che cercheremo in questo caso, il difetto, la nota stonata. È un quaderno di appunti che ci viene consegnato prima di iniziare a mangiare, una pagina per ogni corsa. Sei domande per ogni piatto: Dai un nome al piatto; Cosa ti piace o non ti piace; Estetica ed Evocazione; Considerazioni, Riflessioni, Suggestioni, Consigli; Cosa ti colpisce; Cosa ti ricorda? L’avevi già mangiato.
Una sorta di anteprima, come una sfilata di alta moda, alla quale solo pochi ospiti hanno accesso. Immaginate capi in vendita nella prossima stagione o, come in questo caso, piatti che al 90% nessuno, al di fuori delle brigate di sala e di cucina, aveva ancora neppure intravisto. “Non volevo una presentazione classica, ma un modo per capire dove stiamo sbagliando”.
L’apertura è un gioco simpatico. Pensate ad una Barca all you can eat. Ecco, impreziosita e servita senza bacchette. Un nigiri in cui un crudo di seppia, fatto asciugare in frigorifero, fino a compattarsi con le proprie proteine, prende il posto del riso. E poi una salsa allo zafferano, una cozza, l’ostrica rosa del Delta del Po, servita con una maionese al pompelmo rosa, un fiore di zucca, leggermente cotto al vapore e poi una carne tagliata sottile, servita con un cappero salato e una maionese al sugo di carne. Maionese classica e fondo di vitello, parte grassa su grassa.
Poi è la volta dell’insalata di fagiolini, servita con una granita al Barolo Chinato, leggermente amara ma capace in egual misura di rinfrescare. Perché dolce e perché i contrasti piacciono sempre. Soprattutto ai cuochi.
Arriva poi in sala Lorenzo Colombo, “è lui che mi aiuta a sollevare i pesi massimi” dichiara Matteo. È il suo secondo sous chef, accanto a Diego Giglio, il classico dei più classici, braccio destro e sinistro. A Lorenzo il compito di presentare un piatto. Uno scampo, appassito al vapore a 100° (!), servito con coriandolo fresco in purezza e una gelatina naturale di ciliegia. Per ottenerla si parte da un estratto a caldo dalla cottura delle ciliegie, la sua riduzione e poi il raffreddamento fa si che la sua pectina naturale la faccia gelificare. Chiude il tutto un olio alle nocciole. Amato Piemonte!
Alessandro Ambrosini, capo partita ai secondi, introduce una variante nata da un piatto della tradizione italiana, il risotto alla milanese, che per l’occasione diventa: gremolada, caviale e rucola. Avete presente la salsa gremolada che viene messa sul midollo del risotto prima di essere servito? Tipo. Base sedano, carota, tagliate alla brunoise, sfumata con il vino bianco e poi cotta con un juice di vitello, finita con prezzemolo tritato e limone. Il contrasto? La pungenza della rucola, saltata alla brace.
Poi il piatto che non ti aspetti: pasta, fagioli e cotiche, raccontato da Mattia Lanzafame, ai primi. Ma non come lo immaginate. Hanno ricreato il baccello del fagiolo, usando la barbabietola per dare colore, accanto una pancetta di agnello e all’interno i fagioli, cotti classici, bolliti con degli aromi. Chiuso il tutto in una pasta matta. Loro giocano così. Lo dichiarano, apertamente. E viva Dio.
Segue un raviolo di ostrica italiana, perla rosa del Delta del Po, corposa, grassa, dolce. Racchiusa in una pasta sottilissima, come fosse un nuovo guscio, ma per nulla spesso e coriaceo, un piccolo punto di marzapane che si contrappone al dolce e sapido dell’ostrica, che in questo caso diventa un dolce e amaro. Sul fondo un olio di brace, ottenuto per infusione con dei peperoni e delle cipolle, fatti arrostire a fuoco molto vivo. E del pepe nero, grattugiato fresco, a terminare.
Ci sono piatti che valgono tutto? Si. Il prossimo. Animella di cuore, mozzarella, basilico al burro e pomodorino.Essenziale, nessun condimento particolare. L’animella, appoggiata sulla mozzarella, prende uguale consistenza e umidità. Il basilico, al burro, sprigiona mille sentori e vorrebbe ricordare una salsa.
Peschiamo ancora dalla tradizione con il secondo che arriva dopo. A raccontarcelo Michele, capo partita dei secondi. Pensate al saltimbocca alla romana ma adattate il tutto ad un pesce. Diventa un saltimbocca di Sogliola alla romana, in pratica. Hanno preso il pesce lo hanno infarinato, cotto nel burro con della salvia. Sopra un prosciutto crudo, come vuole la benedetta tradizione. Accanto due verdure crude, condite con un leche de Tigre sudamericano, un classico che useresti per condire una ceviche.
Poi assaggi. Tanti assaggi. Come a richiamare all’ordine, per tornare allo scopo della serata. Non piatti finiti ma applicazioni e condimenti, sui quali è giusto porre attenzione. Come fossi uno della brigata di cucina, a cui passi la punta di un cucchiaio con su qualcosa. E la speranza è sempre che ti si incolli al palato. Per sempre. La Francia non è mai stata così vicina.
Filetto con lumache, cotte alla piemontese, passate al tritacarne, sale e prezzemolo.
Filetto crudo, sale, alga nori.
Piccione alla brace con polvere di cappero.
Omelette, albume cotto al vapore, avvolto da un tuorlo marinato, steso e fatto leggermente asciugare, fino a riprendere la montatura dell’omelette, invertendo però i ruoli, fiore di zucchina, condito con olio e sale.
Ricordo di una paella. Riso saltato, condito con sugo di arrosto, essenza di limone e avvolto in una sfoglia ottenuta dai coralli di capasanta, frullato, steso, fatto essiccare in modo che la parte del pesce si faccia involucro.
Giorgia introduce i dolci. Ma prima ci prende per mano e ci porta a fare un pic-nic, versione 2.0. Plastic free. Al centro un cubo di anguria, aromatizzato al ginger beer. Estate piena. Poi due posate, in teoria di plastica. In pratica un gelato allo yogurt, l’altro un fiordilatte aromatizzato al limone.
Considerazioni.
La chiusa? Baronetto al tavolo a raccogliere sensazioni. Un piatto finisce sulla graticola. Viene vivisezionato. Due per l’esattezza.
Quel caviale sulla variazione del risotto alla milanese, se pregiato, non rischia di perdersi, nel mezzo? “Se vuoi aggiungere valore usa un caviale più sapido. Se non ci fosse stato non saresti stata attratta da qualcosa. Poteva non esserci, era una scusa. Il protagonista è la rucola. Pensa al fondo di una pentola. Dovevi essere disturbata, infatti hai rivolto la tua attenzione sul caviale. Ma così il gioco è troppo facile. Diciamo che ho provato a spostare la golosità. Se avessi servito solo la rucola, sarebbe stato un pugno di aglio e di fumo. Il caviale rende il tutto scioglievole, come anche l’umidità dell’intingolo, la dolcezza della carota, il sugo di carne un po’ blando”.
Altra domanda. “Ma la cottura dello scampo appassito al vapore?” Sorride, come se l’aspettasse. “Pensa alla cadenza d’inganno… è una variante della cadenza perfetta. La cadenza perfetta chiude, mentre la cadenza d’inganno mantiene aperto il discorso armonico”. Un trucco. In pratica. “È un piatto che, come sapore completo, arriva dopo che hai mangiato lo scampo. L’olio di nocciole mi piace tanto, lo trovo più elegante di quello di noci e conferisce un po’ di legnosità al piatto. Il coriandolo? Pensa ad un ramen, vai in Oriente e torna veloce. Dietro la gelatina c’è un lavoro incredibile. Abbiamo preso 10 kg di ciliegie, le abbiamo snocciolate in una pentola che è come una caffettiera, capace di formare una condensa. Il coperchio è di vetro, quindi cade giù. Attaccato c’è un alambicco che recupera un brodo liquido, che poi noi facciamo ridurre piano, primo di metterlo in frigo e aspettare che diventi gelatina. Per replicare quella gelatina devi studiare tanto e non è detto che ti riesca. Perché io non ho fatto nulla, è la natura ad aver fatto il suo corso. Non c’è una scienza esatta, non ho aggiunto nulla, ha lavorato la pectina del frutto, e con un’altra ciliegia magari cambia il tempo necessario alla riduzione. Questo piatto lo hai mangiato solo questa sera, domani l’imperfezione che tu hai trovato sarà ancora diversa. Migliore? Chi lo sa!”.
Sta tutto lì, in definitiva, il senso di un simile lavoro e approccio. E probabilmente anche del nostro invito.
Rendere migliore un’imperfezione. Touché.