«Devi assaggiare questo, è naturale. Vedrai, te ne accorgerai domani mattina». A risentirla ora, la bugia con cui mi venne propinato per la prima (e vorrei anche dire ultima, ma non è così) volta un “vino naturale”, suona più come una minaccia. Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa formato famiglia, che impiegò diversi Moment ad abbandonarmi. Mi sentii raggirata: avevo bevuto un quantitativo per me normale (leggi, una bottiglia in due a cena), mi era stato promesso che al risveglio sarei stata fresca come una rosa, mi pareva d’essere Courtney Love nel 1993. Non contenta – e soprattutto onde evitare di incorrere in pericolose generalizzazioni – ritentai in un paio d’occasioni, ma la storia si ripeté: l’hangover tornava puntuale il giorno successivo, e non mi dava tregua.
Partiamo dal principio, ossia dalla definizione. Che ridurrei ai minimi termini sia per non annoiare, sia perché non sono e non voglio spacciarmi per una che mastica pane ed enologia: le linee guida che definiscono un vino naturale sono l'agricoltura biologica e la manipolazione minima in cantina, ovvero il minor numero possibile di additivi, agenti chiarificanti e stabilizzanti aggiunti nella vasca di fermentazione. Tale approccio è in netto contrasto con la vinificazione convenzionale, che può legalmente utilizzare fino a diverse centinaia di ingredienti non a base di uva – tra cui zucchero, trucioli di legno, aromi artificiali e coloranti. Poi entra in gioco il nostro personale vissuto con l’aggettivo “naturale”: appena leggiamo, o veniamo messi al corrente, che un determinato prodotto è naturale, siamo portati a pensare che sia più digeribile, più leggero, più nutriente, in sintesi migliore per la salute. «È come paragonare il pane in cassetta del supermercato con ‘a lievitazione naturale’» ha spiegato Ilan Saltzman, sommelier di Bendito. Vinos y vinilos, il miglior wine bar naturale di Madrid, a Saveur. «La maggior parte delle persone riesce a digerire entrambi senza problemi, ma il secondo è nettamente superiore al primo».
Al di là dei giudizi chiaramente di parte, però, c’è di più. In Natural Wine: An introduction to organic and biodynamic wines made naturally, Isabelle Legeron scrive che i postumi di una sbornia riguardano il fegato, che scompone l'alcol in acetaldeide e acetato, a loro volta vengono escreti attraverso l'urina o la bile. Legeron cita uno studio del 2013 della Facoltà di Medicina di Nutrizione Clinica e Nutrigenomica dell'Università di Roma: bere vino naturale abbassa la quantità di acetaldeide nel sangue, dando al fegato meno lavoro da fare e permettendogli di eliminare le tossine a un ritmo più veloce. Se ciò fosse vero – la ricerca a cui si fa riferimento è irreperibile – le proprietà naturali del vino potrebbero dunque rallentare l'intossicazione, alleviando così i postumi di una sbornia.
I solfiti possono essere presenti sia naturalmente, sia aggiunti; nel caso del vino si formano naturalmente durante la fermentazione: i lieviti si nutrono degli zuccheri contenuti nel mosto, trasformandoli in alcol, e producendone delle piccole quantità. Data la loro naturale funzione antiossidante, i solfiti vengono aggiunti al vino per mantenere intatte le caratteristiche organolettiche e la qualità nel tempo, in particolare quando si ritiene che quelli presenti naturalmente non riescano ad assolvere pienamente tale complito. Per chiudere il cerchio, i vini bianchi contengono più solfiti rispetto ai vini rossi, in quanto i rossi sono già protetti dalle ossidazioni grazie all’azione dei tannini che si trovano nelle bucce delle uve a bacca rossa. Esiste una soglia massima di solfiti nel vino, che varia a seconda del Paese di produzione: in Europa si parla di 160mg/l per i vini rossi e di 210mg/l per i vini bianchi e rosati.
I solfiti non sono diventati famosi tanto per la loro tossicità, quanto perché con la direttiva 2003/89/CE, recepita dall'Italia nel 2006, sono entrati nell'elenco degli allergeni più pericolosi. Attenzione, però: l’ingresso nella lista non è direttamente legato alla nocività, bensì all’esistenza di numerose persone allergiche che potrebbero essere colpite da gravi crisi asmatiche o da shock anafilattico in seguito all’ingestione. Da qui, l’obbligo di specificarne la presenza, che scatta quando il quantitativo supera i 10mg per litro. I solfiti, insomma, sono in etichetta come lo è il glutine, le arachidi e tanti altri cibi innocui per la stragrande maggioranza delle persone, ma potenzialmente letali per i soggetti allergici. Il famigerato «Contiene solfiti» ha scatenato una specie di caccia alle streghe che ha generato fraintendimenti, equivoci e un grande (non avvalorato) mito urbano: poiché il vino naturale ha meno solfiti, berlo dovrebbe, in teoria, non dare mal di testa e diminuire gli effetti collaterali dell'alcol.
Senza contare che, paragonato a comunissimi cibi e bevande, il vino non regge il confronto: patatine fritte e frutta secca, ad esempio, contengono oltre mille volte più solfiti di un bicchiere di vino. In una ricerca del 2008 del National Center for Biotechnology Information, gli scienziati hanno stabilito che – anche nei soggetti che soffrono di asma allergica in seguito all'ingestione di solfiti – questi non causavano comunque mal di testa. In uno studio del 2014 comparso su Headache, la pubblicazione ufficiale della American Headache Society, è stato riscontrato che il collegamento tra solfiti e mal di testa è pura speculazione: «l'anidride solforosa, anche se presente nei vini, è molto più concentrata negli alimenti comuni che non provocano attacchi di mal di testa, come la frutta secca. (…) I vini biologici prodotti di recente contengono livelli più bassi di solfiti o non ne hanno affatto, ma la persistenza del potenziale scatenante del mal di testa rimane».
La verità è che la stragrande maggioranza dei produttori di vini – naturali e convenzionali – a un certo punto durante la produzione aggiunge solfiti per le loro proprietà antimicrobiche. E che la scienza non è finora riuscita a dimostrare una connessione tra vino, solfiti e mal di testa, anche perché far ubriacare le persone per la ricerca rappresenta forse il maggior problema a livello etico (qualcuno avanza l’ipotesi che le ammine biogene possano essere il fattore scatenante di cefalee ed emicranie, ma questo è un altro capitolo). Le domande relative a solfiti, mal di testa, postumi da sbornia e salute si collegano a un dibattito più ampio sulla percezione di ciò che è naturale e ciò che è “artificiale” nella vinificazione. L’Oxford Companion to Wine puntualizza che lo zolfo (da cui derivano i solfiti) «è stato usato come agente detergente e conservante per il vino sin dall'antichità». E gli agenti chiarificanti – come l'argilla bentonitica, la colla di pesce e gli albumi – sono più che naturali, nonostante il loro uso nella vinificazione sia ampiamente disapprovato dalla comunità dei vini naturali.
La guerra del vino naturale contro additivi chimici e coadiuvanti tecnologici, secondo Diana Lynne Hawkins, consulente enologica ed ex sommelier con un master in scienze del vino, potrebbe creare il falso storico che questi siano intrinsecamente dannosi. Hawkins racconta su Saveur: «Ho parecchio rispetto per i vini naturali, che richiedono enologi molto esperti e una dedizione fanatica alla pulizia della cantina, ma voglio sottolineare che questi conservanti e altri agenti sono al 100% sicuri per gli alimenti e non più spaventosi di quelli usati in altri cibi e bevande che consumiamo tutti i giorni», aggiungendo poi che non è stato stabilito alcun collegamento tra tali additivi e hangover.
Morale? L'alcol resta la causa principale dei postumi di una sbornia: più ne ingurgitiamo, in particolare a stomaco vuoto, più mal di testa avremo. Questo, ovviamente, insieme alla qualità di ciò che beviamo: una bottiglia scadente è destinata a lasciare il segno – in termini di ibuprofene e antidolorifici vari – mentre una buona etichetta tenderà a passare più inosservata. Il vino naturale ha generalmente un contenuto alcolico inferiore rispetto al vino “normale”, il che può aiutare a spiegare perché a volte dia l’impressione di un conto meno salato da pagare. Sempre di coincidenze e di una tollerabilità molto personale si parla: prendetevela con chi preferite, insomma, ma che da oggi in poi nessuno tocchi più i poveri solfiti e provi a millantare mattine libere dalla sofferenza. Chi di Moment ferisce, di Moment… ok, l’avete capito.