Fare arte è come stare in cucina: l’Arte d’asporto di Paolo Cabrini arriva all’Osteria Alla Concorrenza
“Esiste una perfetta analogia tra la tipografia e la cucina.” Afferma Paolo Cabrini all’ingresso della sua bottega d’arte. “Entrambe hanno una tecnica che proviene dal passato. Entrambe utilizzano strumenti e l’approccio al risultato finale è garantito dal rispetto di tutti i passaggi, come quando si segue una ricetta. Il segreto, poi, è la manualità.”
Amore per la cucina, manifesti tipografici e xilografici di gusto artistico, provocatorio ed ironico che riflettono un po’ il suo modo di guardare il mondo: Paolo Cabrini è un artista incisore che impiega l’antica tecnica di stampa a caratteri mobili di Gutenberg per la produzione di libri, cartoline e manifesti. Il suo studio, Pratiche dello Yajè, si trova a Lasnigo, comune comasco che accoglie 459 abitanti, un ponte sul Lambro ed un vasto labirinto di strette vie dal sapore medievale.
Il poeta visivo decide di lasciare Milano, di assaggiare la vita lenta, di approcciarsi alla tipografia in modo esclusivamente manuale e di respingere ogni tentativo di rapporto con la realtà senza limiti del digitale. Per lavorare si serve di un torchio tipografico a mano, un tirabozze del 1925 che durante la guerra spargeva per le strade volantini di propaganda per la resistenza.
L’artista si avvicina al suo piano di lavoro, apre un grande raccoglitore e sfoglia i manifesti realizzati nel corso degli anni: un unico font per raccontare una storia, un ricordo, un aneddoto. L’ironia anima ogni opera in misura diversa varia a seconda di come lo spettatore la interpreta. In altre, invece, determinati cibi o brand di prodotti alimentari rivisitati e modificati dominano l’opera in chiave originale.
Il proprietario di Pratiche dello Yajè è un appassionato di cibo anche dal punto di vista sociale: dall’azione apparentemente istintiva del nutrire il proprio corpo si celano abitudini alimentari di una nazione, la qualità della vita di un popolo in un preciso momento storico, lo stile di vita, i gusti, la calorosità dei luoghi di ristoro. Un argomento affascinante, che Cabrini affronta raccontando un’esperienza drammatica e di forte potenza emotiva vissuta circa trent’anni fa.
Era il 1994 ed enormi mezzi militari lo conducevano in Nicaragua dove la guerra era appena finita. La quotidianità per strada era scandita da volti scavati dalla fame, volantini di propaganda realizzati con la stessa gomma delle suole delle scarpe e misere scodelle di zuppa di fagioli e riso. In quella povertà assoluta si poteva respirare il vivo entusiasmo di chi aveva vinto la guerra, l’accoglienza di un popolo esultante e il desiderio di ricercata libertà.
Dopo uno sguardo al passato, l’artista si avvicina ad uno strumento di dimensioni ridotte rispetto al tirabozze visto inizialmente. “Nelle ultime settimane ho trascorso tre intere giornate lavorando con una macchina tipografica anni Cinquanta, un modello Boston della Honer Hobo. Creatività e tanta, tanta pazienza, per realizzare mille stampe, mille opere d’arte, ognuna minuziosamente numerata a mano.”