Dal seme alla tazzina, tutto quello che dovete sapere sulla filiera del caffè

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Che noi Italiani siamo bevitori abituali di caffè non è certo una novità e anche i dati ce lo confermano. Secondo quanto emerge dall’ultima indagine svolta da AstraRicerche per il Consorzio Promozione del Caffè, quasi il 97% degli intervistati dichiara di berlo e sebbene questo avvenga soprattutto tra le mura domestiche, fuori casa è ancora il bar a rappresentare il luogo preferenziale di consumo della celebre bevanda nervina.

Energizzante rituale mattutino, pausa che scandisce la routine quotidiana e occasione di convivialità, la tazzina di caffè espresso al bar è da molti considerata un’abitudine irrinunciabile, che rischia però di essere messa in discussione dai recenti aumenti di prezzi che si sono registrati lungo tutta la penisola. Con l’aumento delle quotazioni delle materie prime e i maggiori costi di gestione a carico degli esercenti è facile aspettarsi una ricaduta sui portafogli dei consumatori, che secondo il presidente di Assoutenti potrebbe incrementare del +37,6% il prezzo medio della tazzina di caffè espresso, che passerebbe dall’attuale 1,09€ a 1,50€. Non è la prima volta che la questione finisce sulle pagine dei mass media, dove tra allarmismi e rassicurazioni prende vita anche il dibattito culturale sugli usi e costumi del caffè, e non mancano le voci di esperti e addetti al settore, come quella dell’Istituto Espresso Italiano (INEI) che così commenta il fenomeno: “Sembra inevitabile l'aumento del prezzo del caffè al bar. Eppure il peggior nemico dell'espresso potrebbe non essere un prezzo più elevato, quanto una qualità non sempre all'altezza delle aspettative del consumatore.” Il dibattito sul prezzo non può dunque esimersi dal prendere in considerazione altri fattori, i quali a loro volta ci offrono l’occasione per avviare una riflessione più ampia su uno dei prodotti agroalimentare più commercializzati nel mercato globale.

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Iniziamo il nostro viaggio nella filiera del caffè con una prima riflessione che nella sua semplicità rischia di sembrare persino banale: ricordiamoci che il caffè, ancora prima di essere bevanda e quindi cibo, è innanzitutto seme, frutto e pianta e che il nostro amato caffè espresso, bevanda celebre in tutto il mondo e icona di italianità, è tutto fuorché una produzione agricola nostrana. La pianta infatti trova terreni fertili e clima favorevole nelle zone tropicali e sub-tropicali del mondo: sono Brasile, Colombia e Vietnam i principali coltivatori di caffè, seguiti da Indonesia, Etiopia, Honduras, India, Uganda, Messico e Perù. Dalle piantagioni, dove i frutti vengono raccolti e sottoposti alle primissime fasi di lavorazione, i preziosi semi di caffè verde passano nelle mani degli esportatori locali che li convogliano verso le stazioni commerciali nazionali, sede delle trattative di compravendita con le imprese di import-export che operano nel mercato mondiale. Superate le delicate fasi di stoccaggio e trasporto, il caffè verde arriva alle torrefazioni dove viene tostato, miscelato, macinato e confezionato. Il caffè così trasformato è pronto per una nuova fase di commercializzazione, che solo a questo punto vede entrare in gioco grossisti e aziende di rivendita al dettaglio, realtà di vending e serving e gli esercenti del settore HO.RE.CA., dal quale proviene la tazzina di caffè espresso oggetto dei suddetti rincari.

Come si evince da questa rapida panoramica sulla filiera del caffè, il viaggio del seme dalle piantagioni alla tazzina è un percorso impervio che coinvolge innumerevoli intermediari: coltivatori, commercianti di materie prime, trasportatori, esportatori locali e internazionali, broker, importatori, torrefattori, distributori e consumatori finali.

In ognuna di queste fasi il caffè subisce diverse manipolazioni ed è oggetto di complesse trattative commerciali che non solo ne influenzano il prezzo e la qualità, ma dalle quali derivano i precari equilibri economici dei paesi produttori, alcuni dei quali in via di sviluppo e fortemente dipendenti dalle esportazioni del caffè verde, che rappresenta una delle commodity agricole più negoziate nel mercato globale. A tal proposito, si consideri che la maggior parte dei paesi produttori esporta quasi la totalità del caffè coltivato, come già detto sotto forma di caffè verde, affidando così alle economie dei paesi importatori le ben più remunerative fasi di lavorazione del prodotto che, una volta trasformato, viene nuovamente immesso nel mercato delle esportazioni, generando ulteriori profitti. A conferma di quanto appena scritto, i dati della così detta catena di valore della tazzina di caffè espresso, divulgati qualche anno fa dalla Federazione Italiana Pubblici Esercenti (FIPE), rilevano un incremento del costo del caffè di ben 16 volte dal produttore al consumatore finale, con un incremento di 11 volte dal produttore al torreffattore (da 0,016€ per il crudo a 0,18€ per il lavorato) e di 5 volte dal torreffattore all’esercente, arrivando così al prezzo finale della tazzina di espresso che all’epoca delle rilevazioni si aggirava mediamente attorno a 0,94€ (oggi già incrementato a 1,09€).

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Va detto che il mercato del caffè è sempre stato caratterizzato da una elevata instabilità dei prezzi e questo è in parte dovuto alla natura agricola del prodotto, la cui produzione può subire considerevoli fluttuazioni al variare dei fattori agronomici e ambientali, cui si sommano le più recenti preoccupazioni legate al cambiamento climatico. Tuttavia è stato con il venir meno dell’International Coffee Agreement (un accordo stipulato tra i paesi produttori e i paesi importatori di caffè con lo scopo di mantenere stabile il prezzo del caffè sui mercati) e con la conseguente liberalizzazione del mercato del caffè che si è iniziato ad assistere a un’incredibile volatilità dei prezzi, con un accentramento del potere e dei profitti nelle mani degli attori intermedi della filiera, a discapito degli agricoltori che hanno visto ridursi rapidamente le proprie quote sui prezzi di vendita al dettaglio.

Nel tentativo di arginare questo fenomeno sono fiorite negli anni diverse iniziative di solidarietà e un sistema di certificazioni che garantiscono standard minimi di sostenibilità sociale e ambientale. Tra i più noti vi è Fairtrade, marchio internazionale di certificazione del commercio equo e solidale, che promuove un sistema basato sul prezzo minimo, quello cioè che permette agli agricoltori di coprire almeno i costi necessari per una produzione sostenibile. A questo si aggiunge il premio, una somma di denaro che può essere investita nel miglioramente delle tecniche agricole o per altre attività a beneficio della comunità. The Common Code for the Coffee Community (4C) mira ad elevare le condizioni sociali ed economiche dei produttori di caffè, incoraggiando allo stesso tempo politiche di sostenibilità ambientale. Rainforest Alliance, che dal 2018 ha inglobato la certificazione UTZ, si impegna a proteggere le foreste e a mitigare la crisi climatica contribuendo altresì al miglioramento delle condizioni di vita degli agricoltori e delle comunità locali. Particolarmente interessante è poi la certificazione Bird Friendly, sviluppata dal Smithsonian’s National Zoo & Conservation Biology Institute in Connecticut, che sostiene quegli agricoltori impegnati in pratiche agricole biologiche che tutelano la sopravvivenza della natura selvatica, mettendo quindi al centro dell’attenzione la biodiversità e il cambiamento climatico. Secondo i ricercatori dello Smithsonian Migratory Bird Center il 75% del caffè disponibile sul commercio è infatti prodotto con sistemi che interferiscono seriamente con il ciclo di vita degli uccelli, quando addirittura non distruggono completamente le forest, il loro habitat naturale.

Tuttavia, anche in presenza di certificazioni che dovrebbero garantire all’agricoltore una quota maggiore sul prezzo finale pagato dal consumatore, a causa delle numerose tappe affrontate dal caffè lungo tutta la sua filiera, il guadagno effettivo rischia di risultare irrisorio. Speculazioni finanziarie e pratiche commerciali sleali, che purtroppo si verificano lungo tutta la filiera, si ripercuotono a monte con effetti devastanti sulle vite dei piccoli agricoltori e incidono a valle sui costi e sulla qualità del prodotto pagato dal consumatore finale, il quale sua volta rischia di vedersi servito un espresso più amaro al palato e più salato per il portafoglio.

Da queste riflessioni emergono con chiarezza sia gli aspetti umani che quelli più prettamente commerciali della filiera del caffè, all’interno della quale dinamiche sociali ed economiche si avvicendano tra loro dalle primissime fasi di produzione fino al consumo finale. A tal proposito è interessante quanto emerge dall’indagine AstraRicerche: il 39,4% degli intervistati si dichiara più attento alle tematiche di sostenibilità ambientale e sociale e presterà più attenzione a questi aspetti nella valutazione della marca.

E per quanto riguarda il prezzo del caffè al bar? Anche in questo caso i risultati del sondaggio sono incoraggianti e restituiscono un’immagine in parziale controtendenza rispetto ai titoli allarmistici che denunciano i rincari. Per il 41.5% degli intervistati infatti il caffè consumato al bar non è soltanto un rituale mattutino o una piacevole occasione di convivialità, ma è anche un modo per sostenere l’economia e i piccoli esercenti.

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Dal canto nostro ci auguriamo che l’aumento dei prezzi corrisponda anche a un’aumento della qualità del caffè, troppo spesso trascurata, forse a causa della scarsa conoscenza sul prodotto che contraddistingue il consumatore medio, che pur se ne dichiara un bevitore abituale. Se l’aumento del prezzo salta subito all’occhio, una diminuita qualità della bevanda può infatti non essere immediatamente percepita da chi non ha piena consapevolezza di quel che sta acquistando. Il rischio concreto infatti è che, a fronte di un aumento dei costi, la scelta di mantenere calmierato il prezzo della tazzina per evitare di contrariare la clientela abituale si ripercuota sulla qualità delle miscele o del servizio: del resto in qualche modo l’esercente dovrà pur far quadrare il suo bilancio!

Ci auspichiamo che in futuro sia soprattutto la qualità, più che il prezzo preso come parametro a sé stante, il metro di valutazione del caffè bevuto dentro e fuori dal bar. Se così fosse, probabilmente saremmo tutti più propensi a pagare maggiormente un servizio e un prodotto più meritevoli e forse, attraverso scelte di acquisto più consapevoli, potremmo persino dar avvio a un circolo virtuoso che a poco a poco potrebbe migliorare l’intera filiera del caffè.

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