Il gelataio che pianta alberi al Pigneto, a Roma
Pier Paolo Pasolini, che frequentò spesso il quartiere Pigneto a Roma e vi girò alcuni suoi film come Accattone, lo definì "la corona di spine che cinge la città di Dio". Oggi si potrebbe ribattezzare uno dei cuori pulsanti della movida romana, un triangolo di città diventato famoso per la sua vita notturna e per i progetti di rigenerazione urbana. Uno dei simboli di questo angolo di Roma è senza dubbio la Gelateria del Pigneto, che da quindici anni si è resa protagonista di numerose iniziative a favore del decoro e della bellezza del quartiere.
Per trovarla bisogna entrare in una traversa dell’isola pedonale del Pigneto, precisamente a Via Pesaro. La sensazione qui è quella di essere magicamente piombati nel giardino di una ricca palazzina del centro: alberi e aiuole circondano un piccolo locale, al quale si accede passando sotto un verdissimo pergolato. È la Gelateria del Pigneto. Dietro al lungo bancone, i capelli brizzolati e gli occhi azzurri di Filippo Ruggieri, un passato da topografo, un presente da artigiano del gusto e un futuro, forse, da imprenditore del sociale.
Tutto è nato 15 anni fa, quando ha deciso di lasciare il lavoro di geometra che ha svolto per vent’anni e che l’ha portato in giro per il mondo al fine di stabilizzare un po’ la famiglia e mettere radici. Ritornare, in un certo senso, alle origini: il piccolo locale nel cuore del Pigneto è un lascito della nonna di Filippo, figura centrale della sua vita, donna che fin da piccolo si divertiva ad aiutare e osservare in cucina. Con qualche metro quadro a disposizione e un bagaglio di esperienze da cui partire, Filippo decide di dedicarsi alla sua più grande passione, la gastronomia, e aprire una gelateria - all’epoca, racconta, non ce n’erano al Pigneto. Per imparare fa apprendistato con una gelataia di origini siciliane, che gli insegna a fare il gelato. O meglio, il suo tipo di gelato.
Filippo Ruggieri della Gelateria del Pigneto dietro il suo bancone
Oggi, in Italia, si può chiamare gelato artigianale anche quello industriale, basta che venga mantecato in gelateria. Ma da Filippo, il gelato è davvero artigianale, segue lui in persona tutto il processo: va direttamente a scegliere i prodotti che ritiene migliori, e li lavora a partire dalle materie prime. Una scelta che richiede impegno e dedizione: "I bilanciamenti delle ricette li ho fatti tutti io, devi capire la chimica del gelato e lavorarci su". Una scelta motivata da due ragioni: la prima è che un gelato davvero artigianale costa meno, si usano meno prodotti dell’industria, si eliminano intermediari e si necessita di minori spazi per il magazzino. La seconda, e la più importante, è che la qualità di un gelato fatto a partire dalle materie prime è inarrivabile. Lavorare con la merce fresca, e non con i prodotti dell’industria, ha portato a un’altra scelta e non di poco conto: seguire la stagionalità degli ingredienti. "Da me non trovi le fragole ad agosto. Dobbiamo poter avere tutto in qualsiasi momento dell’anno? Anche no. Ci perdiamo le nostre produzioni, la nostra cultura millenaria, per arricchire il mercato e mai le persone".
Basterebbero queste parole per capire che ci troviamo di fronte a un gelataio fuori dal comune, interessato tanto al gusto quanto al mondo e alle politiche che ci girano intorno. Ed è con lo stesso spirito con cui si è approcciato alla gelateria che ha deciso, nel 2020, di ampliare la vendita e allestire un piccolo emporio che, oltre a prodotti alimentari di prima necessità per chi è andato al supermercato e ha dimenticato qualcosa, è pieno di leccornie artigianali, scelti personalmente da Filippo nei suoi viaggi per la qualità dei prodotti e per sostenere realtà non industriali in cui crede. Ecco quindi che troviamo, ad esempio, le provole affumicate da Agerola, le mozzarelle di bufala da Paestum dell’azienda casearia Salti e le uova da agricoltura rigenerativa La Argentina da Magliano Romano. La sostanza è chiara: ce n’è per ogni intenditore.
Se c’è una terra con cui Filippo sembra avere un rapporto speciale, però, è la Campania. Sempre da questa regione infatti Filippo ha preso ispirazione per l’iniziativa del “gelato sospeso”, declinazione del noto caffè sospeso napoletano, grazie al quale Filippo offre ai suoi clienti la possibilità di pagare un gelato a chi non può permetterselo. Un’idea nata per portare "un po’ di allegria a bambini e anziani che non possono permetterselo e creare occasioni di socialità".
Le buone pratiche di questa gelateria non si fermano qui. Il recentissimo Progetto Kairos, vincitore di un bando della Regione Lazio, è un'iniziativa di avviamento professionale rivolto a ragazze richiedenti asilo e in casa famiglia, ma Filippo spera in futuro di poter lavorare anche con i detenuti. Oltre a insegnare un mestiere a chi appartiene a categorie più fragili, per il gelataio di via Pesaro questa è anche l’occasione per evitare che anni di ricerche, studi e ricette vengano dispersi, rimangano e anzi, si diffondano. Sono state formate già molte ragazze che, attraverso tirocini di quattro mesi, hanno carpito i segreti dei gelati e dell'appena fondato laboratorio di pasticceria e pasta fresca. Oggi a fare apprendistato ci sono Enireth dal Venezuela e Faith dalla Nigeria, e nel retrobottega della gelateria danno vita di volta in volta a ravioli, fusilli cilentani, cappellacci o tortelli. Ma anche a lingue di gatto, lune capresi, bocconotti o uno dei tantissimi altri dolci appresi da Filippo, che affollano i profili social Facebook e Instagram di golosi in cerca di desideri. Il sogno, per il futuro, sarebbe, magari con l’aiuto di qualche ente o bando pubblico, creare una cooperativa che dia vita ad un piccolo laboratorio artigianale di pasta fresca, così da far lavorare assieme le ragazze che ha conosciuto in questo anno e mezzo, ognuna secondo le sue qualità.
Filippo Ruggieri con Enireth e Faith, apprendiste nel laboratorio di pasta fresca e pasticceria
Alla richiesta di un consiglio per riconoscere un buon gelato, Filippo ci accontenta. "L’industria è molto brava a produrre cose che alla vista sono forse più belle. A volte l’unico fattore che si può vedere è il colore tenue, il colore tenue e naturale del gelato che ti vai a mangiare. Il colore spesso è un fattore di qualità: la fragola non può essere rosa, deve essere rossa perché le fragole quando le triti sono rosse". Inutile dire che qui tutti i gelati hanno i colori tenui, e non si può lasciare il locale senza aver assaggiato una delle sue delizie. Optiamo per l’assaggio del sorbetto pistacchio e alloro, tra le novità della gelateria e invenzione di Filippo. Del resto, come ci confida il gelataio, avendo il proprio laboratorio dove lavorare direttamente con le proprie mani gli ingredienti all’origine si ha ancora la possibilità di rischiare, di mettersi in gioco. E a volte le cose vanno bene, come in questo caso. Questo è solo l’ultimo dei tanti risultati felici, dentro la geria e fuori nel quartiere, di questo gelataio che semina comunità. Se è vero, come dice Filippo che questo quartiere “è come un serpente, cambia pelle di continuo”, è pur vero che alcune cose rimangono. Come la Gelateria del Pigneto, che ci ricorda quanto è vero che siamo ciò che mangiamo, e quanto sia anche vero che ciò che mangiamo - e come acquistiamo ciò che mangiamo - non solo ci cambia, ma può cambiare anche il mondo intorno a noi.
Del resto anche se questa via da quindici anni a questa parte è una piccola oasi di verde e natura, lo si deve soprattutto al nostro gelataio, che ricorda un po’ Elzéard Bouffier nella famosa opera L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono. Eh sì, perché non solo è Filippo spesso a piantare e curare il verde della via - come nel caso del piccolo orto didattico creato per far conoscere ai bambini come nasce, ad esempio una fragola - ma con l’associazione culturale senza scopo di lucro Vivo il Pigneto, di cui è uno dei co-fondatori, è riuscito a ottenere la piantumazione di circa 50 nuovi alberi per Via Macerata, nelle vicinanze della gelateria. Tenere le strade pulite e decorose anche in termini di arredo urbano è per Filippo un deterrente al degrado dato dallo spaccio e dalla criminalità. "Il degrado si combatte il 10% con la repressione, ma al 90% è la gente a combatterlo con le sue azioni". E la risposta della comunità, in tal senso, è molto forte: "Ci sono persone che mi portano le piante, persone che mi lasciano dei soldi e mi dicono “Filippo, compriamo quest’albero? Ecco, questa è la mia parte”. È un lavoro sociale, partecipato. La comunità, se ascoltata, porta sempre risultati".