ART EAT/Viaggio semiserio con Leonardo da Vinci e il suo rapporto con il cibo
Di Leonardo da Vinci conosciamo l’estro e il genio che lo portarono a creare alcune tra le più imponenti opere rinascimentali. Meno conosciuto è il suo rapporto con il cibo, che fu per la sua vita un elemento di tale importanza da condurlo a lavorare persino per un’osteria fiorentina. Nato nel 1452, l’interesse di Leonardo per il mondo della cucina cominciò da bambino, quando il nonno lo portava a visitare i mulini attorno a Vinci, suo paese natale. In famiglia, c’era anche un pasticcere, il suo patrigno Piero dal Vacca, che gli consentiva di entrare in laboratorio per vederlo all’opera. Il mondo dei dolci lo affascinava a tal punto che cominciò a creare delle formine mentre si dilettava a preparare delle leccornie di marzapane.
A 21 anni, quando già aveva cominciato ad affiancare il Verrocchio nella sua bottega, la passione e la curiosità di Leonardo verso il mondo della cucina erano aumentate, insieme al desiderio di impararne i segreti. Per questa ragione pare che si presentò alla Taverna delle Tre Lumache sul Ponte Vecchio e chiese di lavorare in cucina. Sembra che questa taverna fosse particolarmente frequentata dai mercanti e che, in realtà, il proprietario non necessitasse di nuovo personale; Leonardo però dovette fare un’ottima impressione, perché venne assunto. I racconti che sono giunti sino a oggi sono sfumati e appartengono a diversi scritti, fra cui il discusso Codice Romanoff.
Insieme a un da Vinci cuoco operava anche un altro personaggio dell’arte fiorentina, Sandro Botticelli, suo grande amico. Tutto proseguì normalmente finché non capitarono due vicende che rovesciarono le carte in tavola per da Vinci: i tre cuochi che lavoravano alla taverna morirono, forse avvelenati da un cibo che loro stesso stavano preparando. In seguito, inoltre, la taverna subì un grave incendio che la incenerì totalmente. Fu qui che Leonardo da Vinci e Sandro Botticelli decisero di aprire insieme un locale, che chiamarono “Le tre ranocchie da Sandro e Leonardo” (state forse sorridendo per il naming?). Rispetto al precedente locale ci fu una profonda rivisitazione dei piatti che, da unti e pesanti, divennero più leggeri e curati nell’impiattamento, con una particolare attenzione per l’aspetto estetico. Si puntò sulle affumicature e sui contrasti, con un interessante utilizzo di aromi e spezie, che fanno ipotizzare un Leonardo avanguardista anche nella nouvelle cuisine. Qui progettò anche dei macchinari che gli rendessero più veloce e agevole il lavoro: tra gli esempi, alcuni dei quali riportati dal Codice Atlantico conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, figurano un piccolo macinapepe, l’affetta uovo a vento, un girarrosto meccanico e l’antenato del cavatappi. Purtroppo, però, la cucina non venne compresa dagli affamati mercanti che frequentavano la locanda, e questo costrinse i due soci a chiudere l’attività.
Il grande amore di Leonardo per la cucina non si esaurì lì, anche a Milano si impegnò per l’organizzazione dell'inaugurazione del Castello Sforzesco, progettandone il banchetto. Spoiler: non finì benissimo. Leonardo aveva immaginato una festa all’insegna dei dolci, con una riproduzione fedele del palazzo proprio con una grande torta fatta di polenta rivestita di marzapane. Ogni elemento della scena doveva essere commestibile: porte dolci, sgabelli dolci, tavoli dolci. Un po’ Hansel e Gretel. Anche qui, per l’occasione, progettò dei macchinari che gli consentissero di automatizzare parte del lavoro, come un enorme spazzolone trainato da buoi che aveva la funzione di tenere pulito il pavimento. Ma l’evento fu un disastro a causa di una serie di fattori, primo fra tutti l’abbondante presenza di cibo nell’arredamento che attirò ratti e piccioni, costringendo la servitù a compiere una carneficina. Inoltre, i marchingegni creati da Leonardo crearono non poco disagio fra i presenti e i buoi, impauriti, correvano per la sala sporcando il pavimento con i loro escrementi: un vero fiasco che spinse Ludovico Il Moro, suo mecenate, a mandare Leonardo quanto più lontano possibile, direttamente al convento di Santa Maria delle Grazie.
A testimonianza della scarsa capacità culinaria di Leonardo, che continuava comunque a compiere bizzarri esperimenti, c'è una lettera del priore indirizzata proprio a Ludovico Il Moro: “Mio signore, sono passati due anni da quando mi avete inviato il maestro Leonardo; in tutto questo tempo io e i miei frati abbiamo patito la fame, costretti a consumare le orrende cose che lui stesso cucina e che vorrebbe affrescare sulla tavola del Signore e dei suoi apostoli". Permanenza non troppo apprezzata dai commensali, ma fu qui che Leonardo da Vinci trovò l’ispirazione per realizzare il suo dipinto più enigmatico e conosciuto, L’ultima cena. Una vita spesa con il cibo in testa, che forse allora non fu compresa, ma che probabilmente gli valse tanta dell’ispirazione per cui oggi possiamo ammirare i suoi capolavori.